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MONDO

Mobilitazioni moltitudinarie per le riforme sociali in Colombia

Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza lo scorso 18 marzo in tante città per sostenere le riforme sociali proposte dal governo ma bloccate dal Congresso. Una giornata di lotta che rilancia la contesa politica verso la Consulta Popular in uno scenario difficile

Dalla capitale andina Bogotà fino a Barranquilla, la più grande città della costa del Caribe, da Cartagena a Manizales, da Cali, capitale del Valle del Cauca, fino a Medellin, da Bucaramanga a Popayan fino a Leticia e ai territori amazzonici, il 18 marzo scorso è stata una giornata di lotta e mobilitazione assolutamente importante per la contesa politica per il cambiamento in Colombia. In ogni territorio una composizione sociale e politica significativa dal punto di vista della trasversalità e dell’eterogeneità si è incontrata nelle strade rivendicando le riforme sociali, rilanciando le mobilitazioni popolari dopo gli scorsi mesi difficili per il paese, attraversato da una crescente polarizzazione e tensione politica e dalla ripresa dei conflitti armati in diverse zone del paese.

«Las cuchas tienen razón»

Lo scorso anno si era chiuso con il ritrovamento, da parte della JEP, la Giurisdizione speciale per la Pace, delle fosse comuni nella località la Escombrera, nella Comuna 13 di Medellin, dove sono stati trovati i resti di 502 vittime di desaparición forzata relativi all’epoca del confitto armato nell’ambito delle operazioni contro-insorgenti e paramilitari durante il governo di estrema destra di Álvaro Uribe di inizio anni Duemila (la Unidad de Búsqueda ha informato che solo a Medellìn si contano 5.912 persone desaparecide). Denunciate dalle Madres buscadoras, le madri di persone desaparecide che hanno denunciato per oltre quindici anni le sparizioni forzate e i crimini contro l’umanità commessi dalle forze militari e paramilitari, la scoperta delle fosse comuni ha creato una forte ondata di rabbia e di sdegno nel paese, e lo slogan «Las cuchas tienen razón» («Le anziane hanno ragione», in riferimento alle Madres buscadoras) è apparso su decine e decine di muri, su striscioni e sulle reti sociali e sui media, per mesi, in tutte le città del paese, denunciando i legami tra oligarchia, politica tradizionale e paramilitarismo.

La scritta alla Universidad Nacional

Crisi e conflitto armato nel Catatumbo

L’anno nuovo è iniziato invece con la precipitazione della crisi umanitaria nel Catatumbo, regione nel nord est del paese, al confine con il Venezuela, con la ripresa dei combattimenti tra le dissidenze delle ex-FARC e l’ELN – Esercito di Liberazione Nazionale – formazioni armate con cui il governo Petro aveva iniziato i negoziati di pace subito dopo l’inizio del governo.

Gli scontri armati tra le diverse fazioni hanno causato circa 100 morti e oltre 50mila sfollati, il governo ha risposto con l’interruzione dei negoziati di pace, la dichiarazione dello stato di emergenza e l’intervento militare, una serie di situazioni precipitate nel giro di poche settimane che hanno comportato soprattutto una gravissima emergenza umanitaria per gli abitanti della regione. Movimenti sociali e organizzazioni comunitarie hanno fatto appello al cessate il fuoco e denunciato la violenza di tutti i gruppi armati che si contendono il controllo del territorio.

Pochi giorni fa sono cominciati anche i bombardamenti dell’esercito colombiano contro diversi accampamenti del cosiddetto Clan del Golfo, la più grande organizzazione narco-paramilitare del paese, che sta espandendo fortemente la sua influenza nel paese dopo gli accordi di Pace con le FARC nel 2016, contendendo ad altre formazioni armate il controllo delle miniere illegali e del narcotraffico. Il tentativo di aprire dei negoziati nell’ambito del processo della Pace Totale con le organizzazioni narco-paramilitari o con gruppi armati minori nei diversi territori sta incontrando significative difficoltà, mentre diversi processi di negoziazione sono a rischio dopo mesi di tregua e cessate il fuoco. Nel complesso, una situazione difficile che mette a dura prova la prosecuzione del processo di pace e l’obiettivo dichiarato del governo della Paz Total, una questione politica assolutamente centrale nel paese e nella regione.

Murales alla Universidad Nacional

Limiti del governo del cambiamento  

Il governo colombiano si sta confrontando con diversi limiti, strutturali, oggettivi e soggettivi, interni ed esterni, emersi in maniera significativa nell’ultimo periodo: da una parte i limiti di una istituzionalità statale storicamente in mano all’oligarchia, dal carattere fortemente neoliberale e strutturata in modo tale da impedire cambiamenti radicali in termini di redistribuzione e giustizia sociale, dall’altra un significativo blocco di potere politico corporativo e mediatico in mano alle élite del paese, con i partiti tradizionali che bloccano i processi di riforma al Congresso e al Senato.

In secondo luogo, si confronta con i propri limiti interni, di capacità di implementazione dei programmi e di personale politico, con l’assenza di una maggioranza parlamentare e con le negoziazioni ed alleanze politiche necessarie per governare: a inizio febbraio, in un consiglio dei ministri in diretta televisiva, il presidente Petro ha deciso significativi cambiamenti in quasi tutti i Ministeri, incorporando nuove figure chiave e causando forti tensioni politiche interne al governo.

Infine, va tenuto conto del difficile contesto internazionale segnato dall’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, protagonista di un forte scontro politico con il presidente Petro proprio sulle espulsioni di migranti colombiani, fino alle conseguenze dei tagli ai finanziamenti alla cooperazione internazionale che hanno avuto un impatto drammatico nel paese in diversi contesti territoriali.

In piazza per le riforme sociali

In questo scenario, la mobilitazione dello scorso 18 marzo segna una importante riapertura della contesa politica popolare e di classe contro il potere politico ed economico concentrato nel paese: tante e diverse soggettività sono scese in piazza per rivendicare un riformismo sociale che hanno votato nelle urne, dopo decenni di lotte e dopo la sollevazione popolare del 2021, ma che oggi al Congresso, nelle mani dell’opposizione che fa capo all’élite oligarchica del paese, viene costantemente bloccato. Le strade sono state inondate da lavoratori e lavoratrici, da diverse organizzazioni sindacali, da maestri e docenti, da studenti e studentesse, dal movimento femminista a quello ecologista, con un significativa e importante presenza dei popoli indigeni e afro discendenti, delle organizzazioni sociali e politiche della sinistra e dei movimenti sociali.

La Guardia Indigena

La rivendicazione della possibilità di un cambiamento sociale e politico emergeva dai cartelli e dagli slogan: un cambiamento nato dalle mobilitazioni popolari degli scorsi anni, dagli Accordi di Pace dell’Avana e dall’estallido social, che si è poi tradotto nell’esperienza del primo governo popolare e progressista della storia del paese, nell’ambito di una costante tensione con i poteri economico-politici dell’oligarchia, con il sistema mediatico corporativo e la politica tradizionale.

Il presidente Gustavo Petro ha dichiarato il 18 marzo “giornata civica” a livello nazionale, per permettere a chi volesse di poter scendere in piazza per sostenere le riforme sociali, decisione ha creato tensione con sindaci e governatori dell’opposizione, che, così come molti imprenditori nei posti di lavoro, che hanno minacciato dipendenti, lavoratori e lavoratrici di sanzioni e persecuzioni se avessero partecipato alle mobilitazioni. Nonostante questo, e con pochissimi giorni di preavviso, la giornata è stato un successo dal punto di vista della capacità di mobilitazione: nella capitale, di fronte al Parque Nacional, migliaia di manifestanti si sono concentrati fin dalle prime ore del mattino. 

Diverse organizzazioni sociali indigene, con delegazioni dalle regioni dell’altopiano andino, delle pianure orientali e delle aree amazzoniche, sono scese in piazza organizzate con la Guardia Indigena, rivendicando il diritto alla terra, alla vita e alla dignità. Dalle principali università pubbliche della capitale, la Universidad Distrital e la Nacional, si sono mossi i cortei studenteschi, mentre lavoratori e lavoratrici della salute, sindacati delle scuole, del lavoro informale e degli enti previdenziali avanzavano al ritmo della batucada e da altri ritmi musicali più disparati.

Diversi senatori e deputati del Pacto Histórico, alcuni ministri e lo stesso Gustavo Petro hanno partecipato alla manifestazione, sia a Bogotà che nelle diverse città del paese, come la vice-presidenta Francia Márquez che ha partecipato al corteo di Cali. Solamente a Bogotà sono stati sei i cortei che da diversi punti della città si sono mossi per convergere sulla centralissima Plaza Bolivar, di fonte al palazzo del governo, piena fin dal mattino, dove, poco dopo mezzogiorno, ha tenuto il suo discorso il presidente Gustavo Petro. Subito dopo sui maxischermi, davanti a migliaia di persone, dove si sono alternati momenti di musica con diversi artisti e artiste, con interventi di senatrici e deputate del Pacto Histórico che dal palco aggiornavano sul dibattito politico in corso, è stato proiettato il dibattito alla Commissione Settima del Senato.

Verso la Consulta Popular

La mobilitazione è nata come sostegno sindacale, popolare e sociale alla proposta della Consulta Popular lanciata dal presidente Gustavo Petro, nel pieno dell’impasse parlamentare delle riforme del lavoro e della salute. Proprio durante la mobilitazione, la Commissione Settima del Senato ha bocciato la proposta di riforma del lavoro, un avanzamento minimo sulla dignità del lavoro in un paese tra i più ineguali un materia. La riforma si propone infatti di limitare la precarietà dei contratti, riconosce aumenti salariali per il lavoro nelle ore notturne, ridefinendo gli orari di lavoro notturni dalle 6 pm alle 6 am e introducendo miglioramenti salariali nei giorni festivi. Inoltre, mette al centro la garanzia del riconoscimento e della protezione dei diritti sindacali, oltre a una serie di misure concrete contro le violenze di genere nei luoghi di lavoro e all’aumento della licenza di paternità. Inoltre, propone di introdurre miglioramenti nelle condizione del lavoro comunitario, svolto in gran parte dalle donne, e la formalizzazione del lavoro domestico, del lavoro delle madri comunitarie, delle lavoratrici delle mense popolari, del settore agricolo e dei trasporti.

Edgar Mojica, sindacalista della Conferederazione Unitaria dei Lavoratori, il principale sindacato del paese, intervistato da Colombia Informa, ha affermato che “la borghesia, il potere economico, la classe imprenditoriale colombiana non hanno voluto accettare nemmeno queste riforme minime che consistevano solamente nel ridare alcuni diritti di base che sono stati tolti ai lavoratori e alle lavoratrici negli ultimi trent’anni di neoliberismo”. Ricostruendo gli oltre sette mesi di lavoro nei tavoli di negoziazione con la ministra del lavoro Gloria Ramírez, ha rivendicato l’importanza delle proposte e ha chiesto che il governo promulghi per decreto alcuni aspetti della riforma, senza passare dal Congresso, per portare avanti effettivamente quel cambiamento votato alle urne dalla maggioranza del paese. 

Con la campagna per la Consulta Popular – referendum popolare propositivo inedito in Colombia –  con cui il governo intende promuovere a livello di legge le riforme bloccate al Senato, si rilancia la mobilitazione popolare e il dibattito politico nel paese. La Consulta, che però dovrà essere approvata al Senato – questione per nulla scontata – e poi ottenere la maggioranza alle urne, rappresenta una mossa politica significativa per ribaltare il piano del discorso e dello scenario politico, e provare ad andare oltre i limiti dell’esperienza stessa del governo, mettendo al centro le rivendicazioni popolari di giustizia sociale nel paese sudamericano, tra i più diseguali al mondo, attraversato strutturalmente dalla guerra e dalla violenza delle forme di accumulazione del capitale, legali e illegali.

Se questa importante mossa politica del presidente Petro rilancia nelle strade la costruzione di una forza popolare con l’obiettivo di ottenere le riforme sociali e rafforzare il processo di cambiamento, la sfida per organizzazioni sociali e movimenti popolari è decisiva per rafforzare una possibilità politica costituente che possa promuovere e rilanciare un processo di trasformazione sociale e politica nel Paese. Perché attraverso la contesa referendaria entra di fatto nel vivo, a partire dalle rivendicazioni sociali popolari, anche la campagna elettorale, in vista delle prossime elezioni presidenziali e legislative del 2026, in un clima di crescente tensione politica nel Paese e nella regione.

Le immagini dalla manifestazione di Bogotà a cura di Alioscia Castronovo e Natalia Hernandez per Dinamopress.

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