ITALIA
Per una mobilitazione contro i decreti sicurezza: il report della due giorni di “Energie in Movimento”
Dall’assemblea nazionale di “Energie in Movimento”, il resoconto delle discussioni dei tavoli tematici su clima, diritto all’abitare, accoglienza e frontiere, libertà di movimento, spazi sociali, diritto alla città e ruolo dei giovani. E due proposte di mobilitazioni: il 26 ottobre giornata di azioni e un corteo nazionale il 9 novembre per l’abrogazione dei Decreti Sicurezza
Abbiamo provato a mettere in movimento le energie migliori, dandoci uno spazio di confronto e discussione a partire dai temi, definendo convergenze e traiettorie di ampio respiro per costruire alternative e mobilitazioni condivise.
I temi trattati? Clima, diritto all’abitare, accoglienza e frontiere, libertà di movimento, spazi sociali, diritto alla città e ruolo dei giovani. Insomma i tavoli di lavoro proposti di cui di seguito pubblichiamo i report, affinché tutt* possano contribuire alla costruzione del processo che vorremmo continuare a portare avanti nei prossimi mesi.
La ricchezza della discussione che è emersa, l’allargamento degli orizzonti e la costruzione di relazioni ci consegna, quindi, il dato che la sfida che ci eravamo post*, come Restiamo Umani e Roma non si chiude quando abbiamo immaginato la 2 giorni “Energie in Movimento”, sia stata raccolta con successo!
Per questo vogliamo ringraziare tutt* coloro che hanno partecipato alle discussioni che si sono svolte presso l’occupazione abitativa di via del Caravaggio sabato 14 e poi ancora domenica 15 a Lucha y Siesta, entrambe occupazioni sotto sgombero che, nonostante la resistenza quotidiana che portano avanti da mesi, hanno accolto e ospitato nel migliore dei modi la due giorni di Energie in Movimento.
Nel corso dell’assemblea plenaria si è ragionato su una finestra temporale di iniziative comuni tra fine ottobre e inizio dicembre. Per questo si è deciso di approfondire la questione in una successiva skype call (svolta il 25 settembre scorso) da cui è uscita la proposta di una giornata di azioni dislocate nei territori e un corteo nazionale.
Gli impegni che ci siamo assunti collettivamente per i prossimi mesi sono:
- Continuare ad opporci alla campagna di sgomberi in tutto il paese. Anche per questo saremo in piazza il prossimo 18 ottobre davanti al Ministero delle infrastrutture.
- Intensificare l’impegno sul fronte delle mobilitazioni per il clima e supportare gli scioperi sul clima.
- Promuovere una mobilitazione nazionale per l’abrogazione delle leggi Salvini sulla sicurezza; provvedimenti conseguenti dal precedente Ministero Minniti, perché siamo consapevoli che il problema rimane il sistema e non ci sono governi amici.
Perché vogliamo ribadire la contrarietà all’intero contenuto di quei provvedimenti e la necessità di definire nuove e differenti politiche che garantiscano la libertà di movimento di tutt*.
Anche per questo saremo in piazza il prossimo 12 ottobre a Milano.
A partire da questi ragionamenti vogliamo condividere la proposta emersa da tutti gli ambiti di discussione e definita nella successiva riunione via skype: una mobilitazione nazionale contro i decreti sicurezza. Per questo proponiamo a tutt* di valutare la costruzione di una giornata di azioni in tutti i territori per il 26 ottobre e un corteo nazionale il 9 novembre.
Per fare ciò e per aprire la partecipazione e la discussione in merito parteciperemo al prossimo appuntamento di “Indivisibili” il prossimo 6 ottobre.
Riteniamo fondamentale costruire connessioni in merito a questa proposta con il movimento transfemminista Non Una di Meno, assumendone l’ottica di intersezionalità delle lotte e in una prospettiva di processualità verso il corteo contro la violenza maschile e di genere del 23 novembre. Valorizziamo il confronto sulle proposte, sulle pratiche – in particolare rispetto allo sciopero – e sui nuovi terreni di conflitto aperti dal movimento transfemminista e ecologista negli ambiti assembleari in programma.
Rimaniamo in ascolto dei dibattiti che nei vari ambiti si svilupperanno, convint* che uno dell’obiettivi fondamentali in questa fase, sia costruire un processo collettivo largo ed includente.
Che si scateni l’energia e generi movimento!
Di seguito i report dei tavoli
Report tavolo “Emergenza climatica: policy globali e locali e prospettive di movimento”
Data la complessità e la quantità degli interventi fatti, ci è sembrato opportuno individuare una serie di punti comuni e provare a riportarli tenendo presente che la discussione ha da subito presentato una complessità di livello molto avanzato.
Il tavolo sul clima è partito dalla necessità di individuare non tanto una serie di date di mobilitazione per le prossime settimane e i prossimi mesi, perché i movimenti ecologisti già hanno un calendario ben definito al quale bisogna provare ad apportare ragionamenti di livello politico e approfondimento teorico.
Un presupposto necessario è stato piuttosto una critica comune alla Green Economy, legata quanto mai al sistema produttivo, attraverso il mantra dello sviluppo sostenibile, analizzate da tutt* come risposte insufficienti, persino dannose e incapaci di rispondere al problema del cambiamento climatico.
Non ci si è limitat* a criticarne esclusivamente l’efficienza o i risultati, ma come elementi strutturali da mettere in relazione con il tema della giustizia sociale e della democrazia energetica.
Partendo da queste premesse, un elemento interessante è stata la messa in discussione della retorica secondo la quale il cambiamento climatico è qualcosa che riguarda il Futuro: il cambiamento climatico è ora, è oggi, i suoi effetti si vedono già nel nostro presente e comportano ricadute ed effetti sociali abbastanza importanti. È quindi necessario iniziare a trattarlo come un tema del Presente.
In termini di elaborazione propositiva, dobbiamo tenere ben chiari obiettivi, sia di breve che di lungo periodo, e, di conseguenza, gli avversari:da una parte lo Stato, i Governi, dall’altro l’avversario Privato, le Multinazionali e l’Alta Finanza.
Rispetto ai Governi, c’è l’urgenza di mettere in discussione la pratica della dichiarazione di emergenza climatica: non tanto perché sia sbagliata come concetto ma perché, se non inserita in una più ampia strategia, può diventare strumento a favore dei Governi stessi.
È inoltre necessario iniziare ad interrogarci sui processi di finanziarizzazione privata e pubblica delle Grandi Opere, prendendo come principale punto di riferimento la Cassa Depositi e Prestiti, provando ad immaginare di indirizzarne la politica di investimento che sostenga progetti di giustizia sociale e giustizia climatica, facendo quindi gli interessi della società e non del mondo privato.
Rispetto invece alle Multinazionali, abbiamo due attori, ENI e ENEL, contro i quali la nostra azione deve prendere forma, sia rispetto a quello che può essere definito il mondo del Fossile, considerando il fatto che non vi è tanto un processo di decarbonizzazione reale, ma che va nella direzione del Gas, sia rispetto alla questione del greenwashing nel settore;
in merito a ciò, sono usciti due spunti riguardo strumenti di tipo giuridico:
1) La proposta della campagna di Giudizio Universale, che vedrà in autunno il deposito della prima causa contro lo Stato italiano in quanto inefficiente a garantire la salute e la tutela della popolazione e dell’ambiente al cambiamento climatico e ai disastri ambientali;
2) Costruzione di una discussione sulle dinamiche del diritto internazionale e sui meccanismi di impunità che garantiscono le grandi Multinazionali, all’interno del sistema di Governance globale.
Proprio perché parliamo di un problema internazionale è urgente interconnettersi con le lotte internazionali.
Ciò in parte sta già avvenendo per quanto riguarda le pratiche e il linguaggio, proprio perché il tema è talmente trasversale da connettersi con altri movimenti di lotta.
È necessario sorpassare l’elemento dello stato nazionale ed interconnettersi con le lotte transfemministe e le lotte antirazziste, sia perché si parte da una matrice comune, ossia la critica allo sviluppo di tipo capitalista e patriarcale, sia per contrastare i nostri avversari che a volte prendono la stessa forma: le forze negazioniste spesso ricalcano le forze reazionarie sessiste e razziste.
Rispetto a ciò è quindi necessario interconnettersi e rafforzare i movimenti internazionali: a Venezia, durante il Climate Camp, abbiamo visto che si è creata una forte sinergia ma, abbiamo sentito l’importanza di essere noi stessi a rinforzare e sostenere le lotte che soprattutto in Europa, e non solo, stanno prendendo forma.
In termini propositivi, sono uscite diverse linee da sviluppare: da un lato vi è l’urgenza di ottenere una vittoria nel breve periodo, e la lotta contro gli incentivi ai combustibili fossili può essere una battaglia importante da perseguire, partendo ovviamente dal presupposto che bisogna rinforzare le lotte che già si muovono sul tema, allargando questa battaglia ai nuovi movimenti per il clima che si stanno affacciando.
Report Frontiere interne, migrazioni, confini nelle città
Contesto:
Di fronte ad un’offensiva drammatica è necessario valorizzare e rendere replicabile azioni e strategie date nella complessità degli spazi di organizzazione e solidarietà, conflitto e vertenza, che a livello locale si stanno muovendo in risposta allo sradicamento dei diritti fondamentali, attraverso normative, decreti, azioni di governo locale, prassi illegittime, razzismo istituzionale e sociale che rappresentano frontiere tra le persone e i loro diritti, da qui frontiere interne.
Metodologia di lavoro – focus su due piani:
1) Aspetto vertenziale: partendo dalle azioni che hanno cambiato la vite delle persone, da un punto di vista di riconquista dei diritti e dei servizi.
2) Come questo modo ha determinato accoglienza dal basso, garantito servizi in termini di supporto, e costruzione di linguaggio nuovo rispetto all’egemonia razzista, sovranista.
Il contesto normativo che fonda il pacchetto dei tre decreti, decreto Minniti e decreti Salvini sicurezza deve essere il punto di attacco, la linea di continuità, l’obiettivo comune che ci si pone alla base delle diverse esperienze. I confini sono un’esperienza plurale ma non solo quelli dove il potere ce li mostra. Contestare in maniera collettiva, rivendicando abrogazione decreti significa opporsi alla definizione della società sulla linea della discriminazione. I punti che fondano questa campagna conflittuale partono dalle criticità più acute che vertenzialmente si identificano a partire da
• Ripristino della protezione umanitaria
• Accesso alla iscrizione anagrafica (puntando all’abrogazione dell’art 5 pacchetto lupi)
Il contesto nel quale tali azioni strategiche e conflittuali nascono deve partire da una narrazione – vertenzialità abbia come punto centrale il superamento dell’antisalvinismo come antidoto evidenziando le ampie tracce di continuità e restituendo l’idea che l’ultimo governo è stato solo una parentesi.
Ridefinire concetti quali:
• Libertà di scelta e diritti di cittadinanza che sappiano coniugarsi con un concetto differente di accoglienza (che oggi è certamente riconducibile ad un sistema di ricezione sistema totalizzate e di produzione di welfare differenziale) e che tenga come punto fermo la campagna contro i CPR. Per la quale proponiamo una ampia partecipazione alla mobilitazione del 12 ottobre a Milano.
• Diritto di soggiorno e libertà di movimento che sappiano coniugare nuovi percorsi di emersione e mantenimento della regolarità ammnistrativa, rivendicando dispositivi regolarizzazione permanenti e da subito regolarizzazione che possa garantire il diritto di soggiorno di chi ha perso il permesso oppure di non lo ha mai avuto.
Le azioni vertenziali possono essere legate al contesto narrativo, anche all’interno di specifiche campagne come per esempio azioni contro le bad practice attuate dalle questure, sotto forma di mobbing nei confronti di richiedenti e titolari, determinazioni di forme di accoglienza dal basso che sappiano disobbedire alla privazione della libera scelta di muoversi e ai diritti fondamentali quali il diritto all’abitare.
Lo spazio di agibilità, oggi gravemente minato dalle norme di stato che privano i movimenti della libertà di azione e di espressione, riparte dunque dalla costruzione forme di azioni di confitto che siano leggibili dall’esterno, praticabili, su piani diversi, da tutti, e che occupino spazio fisico pubblico o privato in rete o in forme di coordinamento, che abbiano la vocazione profonda di agire tutele civili legali e sociali. I nodi di questa rete, di queste reti, devono aprirsi e annodarsi alle esperienze che non siano immediatamente riconducibili ai nostri mondi, come per esempio le forme autorganizzate dei migranti nell’ambito della conquista dei diritti del lavoro, oppure le occupazioni spontanee. Questo vuol dire leggere il territorio sul terreno di un protagonismo sociale da valorizzare e con il quale connettersi.
I decreti sicurezza aggrediscono direttamente la libertà di movimento non solo come libertà di scegliere dove vivere ma anche come pratica di opposizione ed esercizio del conflitto sociale. Le norme che mirano a chiudere gli spazi di agibilità e di azione dei movimenti contenute nei decreti sicurezza consentono di coniugare immediatamente la battaglia sul terreno dei diritti dei migranti
Con quella sul terreno dei diritti collettivi di critica e di opposizione. Tale congiunzione ci restituisce un campo di azione comune denso di potenzialità e prospettive.
Report del tavolo frontiere esterne, migrazioni e libertà di movimento
Dalla discussione è subito emersa la centralità dell’Europa come spazio politico e come interlocutore verso cui indirizzare la nostra azione. Il contesto comunitario rappresenta infatti ormai da anni il luogo principale di produzione di dispositivi di controllo delle frontiere e di modelli di controllo della mobilità umana nello spazio europeo, che fornisce la cornice complessiva entro la quale vengono elaborate anche le politiche migratorie dei singoli Stati membri, Italia compresa. Il progressivo processo di esternalizzazione delle frontiere esterne, la centralità in questo processo – nel Mediterraneo – del ruolo della Libia, il mantenimento e l’evoluzione del sistema hotspot, gli investimenti nei rimpatri e negli accordi bilaterali con i paesi d’origine e di transito, l’utilizzo della detenzione per i migranti, sono tutti punti che mostrano una sostanziale continuità nell’approccio alle migrazioni di questi ultimi anni, continuità portata avanti nel nostro Paese, da governi di diverso colore (è da questa prospettiva che vanno interpretati ad esempio l’accordo con la Libia del PD di Minniti e la politica dei porti chiusi di Salvini).
Per questo è fondamentale fin da subito attaccare ed inserirsi nelle contraddizioni che emergeranno dalla nuova Commissione europea a guida Von Der Leyen. Il programma delle cosiddette “ricollocazioni temporanee” per i migranti soccorsi in mare, programma che verrà discusso il prossimo 23 settembre a Malta, sembra delineare un nuovo passaggio nella gestione delle frontiere esterne, che vede l’obiettivo di una gestione rafforzata e condivisa di queste ultime non solo nei paesi di origine e di transito, ma anche nel mare Mediterraneo. In questo contesto, gli hotspot assumeranno un nuovo ruolo di centrale importanza, fungendo da dispositivi di selezione, esclusione e inclusione differenziata, non più solo operando la distinzione fra i cosiddetti “migranti economici” e richiedenti asilo ma intervenendo anche in quel sistema di interviste volte alla selezione per la redistribuzione nei diversi Paesi europei. Su questo tema, così come su quello – direttamente collegato – dell’annunciata riforma del regolamento di Dublino, è necessario inserirsi subito, a partire dalla consapevolezza che il concetto di “redistribuzione” ha sempre alla base l’idea di poter disporre liberamente della vita delle persone. Non è di una riforma di Dublino che c’è bisogno. Dublino va semplicemente abolito. E dal tavolo è emersa a più riprese la necessità di portare avanti con forza una battaglia per un permesso di soggiorno europeo incondizionato, strumento che potrebbe andare verso l’obiettivo di un’effettiva libertà di movimento per tutte e tutti, che tenga conto della possibilità per i singoli soggetti di scegliere liberamente e incondizionatamente dove andare e dove restare.
Più interventi hanno posto particolare attenzione al tema della Libia. E’ emersa la necessità di affrontare la questione tenendo conto del complessivo contesto geopolitico e della varietà degli attori in campo. necessario inoltre non dimenticare l’inevitabile dovere di azione e presa di parola che parte da una spinta etica: quale che siano le cause, gli effetti hanno a che fare immediatamente con la vita di centinaia di migliaia di persone torturate, violentate, schiavizzate, uccise, a poche miglia dalle nostre coste. Le successive mobilitazioni di questo autunno dovranno pienamente assumere questo tema nel quadro soprattutto delle più ampie responsabilità europee. Bisogna chiedere con forza lo stralcio degli accordi sottoscritti con le autorità libiche e, più in generale, azzerare ogni iniziativa finalizzata alla cooperazione con il paese nordafricano che abbia come scopo il blocco delle partenze attraverso il confinamento dei cittadini stranieri nei lager per migranti e il rafforzamento della cosiddetta “Guardia Costiera” libica.
Anche in questo tavolo si è ribadita la necessità di chiedere l’abolizione dei decreti sicurezza, senza possibili proposte di riforme o limature di questi. In questo senso, la lotta per la chiusura dei CPR, che vedrà un importante appuntamento nella giornata di mobilitazione del 12 ottobre a Milano, rappresenta un asse di intervento centrale nell’attacco a questi decreti.
Inoltre l’abolizione di questi decreti rappresenta la precondizione necessaria per l’attivazione di un qualsiasi piano di lotta e pratiche di resistenza che vedano coinvolti i corpi, e per continuare a sfidare i limiti dei cosiddetti “delitti di solidarietà” attraverso l’azione concreta.
Centralità è stata data anche alle questioni delle deportazioni e in generale all’importanza del luogo fisico di frontiera degli aeroporti, e non solo dei porti. In questo senso, è emersa l’idea di organizzarsi per dar vita ad una campagna contro le deportazioni da strutturare in rete a livello nazionale ed europeo. La necessità di riallacciare e rafforzare le relazioni con reti di attivisti tanto in Europa quanto nei paesi di transito e di origine è fondamentale sia per l’efficacia dell’intervento politico, sia per la costruzione di una narrazione delle migrazioni diversa, capace di ricollegarsi direttamente anche ad altre macro questioni affrontate nei tavoli di questa due giorni (lavoro, clima etc).
Ricominciare a parlare di migrazione come fenomeno che comprende anche l’emigrazione (e non solo l’immigrazione), raccontare il ruolo delle multinazionali nello sfruttamento delle risorse nei paesi di origine e i danni economici e ambientali da queste prodotte, lasciare spazio a un’autonarrazione da parte dei migranti che permetta una rappresentazione non vittimizzante, sono tutti elementi che permettono di farci uscire dai recinti semantici in cui spesso siamo rinchiusi e che meglio ci permettono di individuare il campo dell’intervento politico.
Quanto esposto è una bozza di agenda da sviluppare in successivi appuntamenti e attraverso gli strumenti per mantenersi in contatto che il tavolo si darà.
Report tavolo “Decoro e attraversamento giovanile delle città”
Il tavolo “Contro il decoro – Nos mueve el deseo” ha trattato di svariate tematiche tutte intrecciate tra loro, a partire dall’assunto che è complesso perimetrare la categoria “giovani”, sempre tirata da una parte e dall’altra, una volta choosy, l’altra bambocciona, l’altra ancora invisibilizzata e narrata da altri che giovani non sono evidentemente più. Come è complicato allo stesso tempo trattare del tema del decoro e delle politiche urbane fatte di gentrification, speculazione e processi di turistificazione.
La categoria giovani e la forma di vita giovane è complessa e sempre striata, per questo, forti di tre anni di movimento transfemminista, abbiamo adottato una prospettiva sempre intersezionale che ragioni sui tanti privilegi che ci attraversano, sulle tante condizioni sociali e economiche di partenza che ci differenziano l’uno dall’altra.
Consapevoli che il tema sia ampio e frastagliato dalle linee della classe, del genere e del colore ci siamo chiest* come costruire una nuova narrazione della condizione giovanile in Italia, cercando da una parte di rompere la retorica salviniana dell’invasione, evidenziando il fatto che siamo un paese di emigrazione più che di immigrazione e dall’altra come connettere invece le varie esperienze di lotta sperimentate negli ultimi anni in Italia, lotte che alludono alla costruzione di un immaginario e una realtà alternativa alle politiche governative che ci parlano di attacco ad ogni forma di socialità libera e autodeterminata e soprattutto di mancanza di possibilità di forme di autonomia e indipendenza economica per i così detti soggetti giovani.
Il tavolo si è quindi concentrato su tre particolari temi.
Da un lato ci siamo confrontat* sulle nostre condizioni lavorative che dalle grandi città, ai piccoli centri, alle province fino alle periferie, caratterizzano la nostra vita: siamo la generazione più povera dal dopoguerra, e tra i giovani europei siamo quell* che lavorano di più, con un salario più basso e con le minori tutele welfaristiche a fronte di un costo della vita sempre più alto.
Ci dividiamo tra lavoro gratuito o sottopagato e precarietà esistenziale, sempre alla ricerca di una promessa di futuro che sappiamo già mancata.
Dall’altro lato l’attacco alle forme di socialità collettive, l’ossessione per il decoro che colpisce forme di vita fuori norma, umane e non umane, le ordinanze anti-movida e l’assenza di luoghi di aggregazione e spazi verdi (soprattutto nelle periferie) acuiscono ancora di più le sensazioni di disagio, gli stati di ansia, la depressione e la solitudine, passioni tristi prodotte anche dalle condizioni materiali di cui sopra.
Infine abbiamo avviato un ragionamento sul gigantesco tema dell’accesso alla cultura, assumendo le tante pratiche portate avanti nelle varie città negli ultimi mesi come le autoriduzioni ai concerti e la riappropriazione di piazze e strade altrimenti consegnate a AirBnb, grandi marche e turistificazione.
Per questo la nostra discussione si è concentrata sulla politicizzazione delle nostre forme di vita, sulla riappropriazione di spazi e tempo libero, sganciato dallo sfruttamento lavorativo, sulla rimozione del senso di colpa e più in generale sull’invenzione del futuro.
Il fatto che la nostra discussione si sia data su temi poco affrontati negli ultimi anni in ambiti di movimento ha fatto sì che non abbiamo prodotto immediatamente proposte di mobilitazione, assumendo però la necessità di continuare nei singoli territori a ragionare su queste tematiche e di convocare nei prossimi mesi un nuovo momento di discussione nel quale provare a immaginare campagne più concrete sui seguenti macrotemi:
– Controllo decoro sicurezza divieti ordinanze
– Questione abitativa gentrification e turistificazione delle città
– accesso alla cultura e formazione
– mobilità interna/ internazionale e sud/provincia
– Salario/welfare/lavoro/reddito/costo della vita
– famiglia/genere/relazioni/affettività
– Ecologia catastrofe estinzione e costruzione del futuro
– solitudine/depressione/ansia /panico
Report tavolo diritto all’abitare – Con ogni mezzo necessario
Se un peccato originale sulla svendita del patrimonio e sulla svolta securitaria, negli ultimi sei anni, si vuole trovare sia nel c.d. piano casa Renzi/Lupi del 2014, che ha poi aperto la strada ai decreti sicurezza Minniti prima, e Salvini 1 e 2 dopo. Il governo attuale non riteniamo possa mettere in discussione tutto questo data la sua natura fortemente condizionata dai governi che l’hanno preceduta, l’abrogazione di questi dispositivi di legge è il punto di partenza che deve accumunare la discussione generale, sia per l’attacco alle pratiche di lotta sia alla colpevolizzazione della solidarietà.
La discussione poi è partita con l’elaborazione collettiva del concetto di diritto all’abitare come appunto un diritto di tutti e tutte e non come un’emergenza.
Questo ribalterebbe il paradigma che vede trattato un diritto primario, in questo momento, come una concessione che viene elargita in forma assistenziale. Abbiamo provato a trovare delle connessioni tra le vertenze e le problematiche di ogni realtà territoriale presente al tavolo e verificato come la legislazione locale spesso utilizzata in deroga alla normativa nazionale, tende a peggiorare le già difficili condizioni dell’abitare pubblico. In questo senso ci sembra necessaria immaginare una mobilitazione di carattere nazionale che investa il ministero delle infrastrutture (proponiamo una manifestazione il 18/10) e che può essere costruita con mobilitazioni di avvicinamento territoriali nella settimana precedente.
L’idea è quella di arrivare a questa mobilitazione con una piattaforma che rimetta al centro la necessità risorse per nuove case popolari, puntando sull’invenduto privato, sul patrimonio pubblico già esistente (spesso in dismissione), sugli stabili sottratti alla criminalità e sul patrimonio demaniale. In questo modo affrontiamo anche la questione del consumo di suolo e della cementificazione.
Abbiamo immaginato una serie di proposte da approfondire per il reperimento delle risorse necessarie. Si è ragionato intorno a una “Nuova GESCAL”, proposta che va analizzata anche con il mondo del lavoro e sull’invenduto privato oggi non gravato da alcuna tassazione che invece potrebbe essere “sanzionato” in forma progressiva o con la richiesta di messa a disposizione delle necessità abitative delle amministrazioni locali. Anche per superare il paradosso che le aziende regionali (ex IACP) si debbano indebitare con l pagamento dell’IMU ai comuni a differenza della proprietà privata che sull’invenduto non ha nessun tipo di onere e spesso non onora neanche gli oneri accessori.
Le proposte di autonomia regionale inaspriranno le differenze nord-sud e aumenteranno l’esclusione sociale, in quanto la tendenza che già riscontriamo è quella di considerare come aventi diritto solo i disperati (le cosiddette fragilità) e allargare invece la proposta di un housing sociale privatizzato a discapito dell’ERP sovvenzionata. Pensiamo che vada ribaltata la questione e che il diritto ad una casa debba essere legato alle capacità reddituali del nucleo e non alla posizione geografica dello stabile. Affermando in questo modo che la garanzia dell’alloggio è a tutti gli effetti una forma di reddito indiretto universale. A proposito delle dinamiche che hanno visto sempre più svuotati i centri storici con l’allontanamento dei suoi abitanti verso le periferie, sia per motivi economici che legati alla trasformazione in vetrine di molti quadranti cittadini (locali, case vacanze, a/r b&b, ecc..), riteniamo invece non rinunciabile il diritto alla città anche dei più poveri senza dover assistere a vere e proprie forme di urbanizzazione che favoriscono la rendita.
Alla luce di tutto questo pensiamo che debbano essere riprese iniziative di riappropriazione, che sottraggano terreno alla speculazione. Inoltre abbiamo deciso di proseguire questo spazio di dibattito sulle questioni abitative su un piano nazionale, che approfondisca i temi sollevati oggi.
Report tavolo “lavoro e welfare”
La discussione del tavolo lavoro e welfare è stata particolarmente ricca e si è incentrata su molteplici questioni legate alle trasformazioni che hanno investito l’organizzazione e il mercato del lavoro: a partire da questo sono emerse numerose proposte di possibili convergenze programmatiche.
Tanti sono stati gli elementi appena accennati ma fondamentali: innovazione tecnologica ed automazione, lavoro agricolo, privatizzazione e mercificazione del welfare, femminilizzazione del lavoro e sfruttamento intensivo in alcuni settori, come quello di cura, gender pay gap,elementi che meritano un maggiore approfondimento e sviluppo e su cui sarà necessario dotarci di ulteriori momenti di confronto.
La discussione ha però tentato di andare oltre un semplice elenco di rivendicazioni, individuando alcuni terreni di mobilitazione e di lotta potenzialmente in grado di svolgere una funzione ricompositiva tra i soggetti direttamente investiti dai livelli di sfruttamento analizzati.
Non bisogna dimenticare che molti di questi ragionamenti già vivono in molteplici forme all’interno di lotte sociali e movimenti dispiegati, come Il movimento transfemminista globale e le lotte per la giustizia climatica, e fondamentale sarà alimentare il dibattito e creare connessioni anche all’interno di questi spazi, cogliendo gli elementi di novità nei linguaggi e nelle pratiche che questi movimenti sono stati in grado di sviluppare.
Dal punto di vista dei possibili terreni di mobilitazione comune tutti gli interventi hanno evidenziato la necessità di sviluppare un percorso di lotta sulle questioni del reddito e del salario minimo. Queste rivendicazioni vanno tenute insieme per essere in grado di ricostruire adeguati rapporti di forza, e dovranno rappresentare un campo di battaglia e di ripresa d’iniziativa da parte dei movimenti, per impedire che rimangano semplici elementi di propaganda, incapaci di cogliere le reali necessità di lavoratrici, lavoratori, precari e disoccupati.
Inoltre, è stata individuata come priorità rovesciare la retorica diffusa rispetto alla colpevolizzazione di chi si trova costretto a lavorare in nero o di chi, a causa di situazioni di estremo ricatto, viene inserito in percorsi di “attivazione” che altro non sono che livelli di sfruttamento coatto e intensivo: una campagna che sia in grado di segnalare i soggetti che utilizzano il lavoro nero sarebbe in grado amplificare e di entrare all’interno di queste contraddizioni.
Numerosi interventi hanno esplicitato come sia necessario slegare il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno dal contratto di lavoro, per eliminare il doppio ricatto a cui sono soggetti lavoratori migranti e contemporaneamente la necessità di una regolarizzazione per tutti quelli già presenti sul territorio.
L’obiettivo dovrà essere quello di unire la rivendicazione di un reddito, molto diverso da quello varato dal movimento 5 stelle, a quella di un salario minimo. Da un lato evidenziare le criticità e i meccanismi distorti, allargare le maglie della misura attuale rispetto all’accesso, negato a chi non ha una residenza, o a un grandissimo numero di cittadini migranti, alle sanzioni, alla condizionalità, agli strumenti di misura e valutazione (come ad esempio L’ISEE), e dell’altro quella di un salario minimo che non deve essere in nessun modo un’elemosina nè un provvedimento chiuso all’interno dei meccanismi concertativi delegati ai sindacati confederali e Confindustria.
Su questo terreno la prossima settimana partirà una campagna che investirà in particolare i territori del centro sud e che tiene insieme queste rivendicazioni: sarà interessante riuscire a immaginare un meccanismo di coordinamento tra tutti i territori allargandone i perimetri e mettendo in comunicazione parole d’ordine e rivendicazioni in grado di integrare specificità territoriali e elementi rivendicativi generali.
Queste indicazioni non possono essere slegate, infine, dalla necessità, emersa da tutti gli interventi, di impegnarci per la costruzione di una mobilitazione nazionale che contrasti e chieda l’immediata abrogazione dei “decreti sicurezza”, che oltre alle ben note conseguenze sulla vita dei migranti si ripercuotono su moltissime delle pratiche, attraverso l’aggravamento delle sanzioni penali, che i movimenti e le lotte di lavoratrici, lavoratori e disoccupati hanno utilizzato negli ultimi anni: picchetti, blocchi stradali, battaglie sul terreno del welfare.
Report tavolo “Guerra all’autogestione e diritto alla città – organizziamoci contro il Nulla che avanza”
Grazie all’ex Ministro dell’Interno, quest’estate, gli Spazi sono tornati alla ribalta come nemico politico: ora, però, bisogna capire qual è il nostro spazio d’azione e di opposizione sociale, che rischia di scomparire a seguito dei cambiamenti che si sono verificati, inserendolo sempre nell’ottica secondo cui non esistono Governi amici.
I decreti sicurezza, approvati prima e durante il Governo Giallo-Verde, rimangono elemento centrale dell’attacco cui dobbiamo cercare risposta, ma non si possono tralasciare i risultati delle politiche neoliberiste e liberticide, portate avanti negli ultimi anni: dai piani di trasformazione urbanistica di messa a valore dei territori, anche quelli urbani, passando per il loro disciplinamento e la loro normalizzazione sociale e politica.
Nei diversi territori, da un lato ci confrontiamo con questa normalizzazione, che ci incita a cercare una legittimazione e un riconoscimento in modi assolutamente variegati dal punto di vista amministrativo e politico. Dall’altro, parte di questo processo è contraddistinto dall’eterogeneità con cui gli spazi sociali sono oggi riconosciuti e percepiti. Motivo per cui una delle domande che ci poniamo è se possano continuare ad esprimere una forza reale, potenzialmente in grado di trovare una forma organizzativa comune.
Al netto di queste considerazioni generali, ci sono alcuni punti su cui si è focalizzata la riflessione:
1) Il primo punto parte da una suggestione rispetto al concetto di Autogestione: se il piano difensivo delle nostre esperienze non può venire a mancare, sembra sensato costruirne il rilancio attraverso la valorizzazione delle nostre differenze che, nel corso degli anni, hanno declinato e messo in pratica l’Autogestione, in modi assolutamente non omogenei.
Non è automatico sul piano dei rapporti di forza che ci si porranno davanti, ma questa valorizzazione dovrebbe essere il presupposto della risposta che possiamo e vogliamo dare assieme, accomunati, come Spazi, da questo baricentro.
Autogestione va quindi ricercata nella sua definita complessità. Come si fa a fare in modo che venga riconosciuta come pratica replicabile, riempiendo i territori in cui siamo inseriti?
2) Nel cercare un metodo che rendesse più facile la ricerca di una risposta, è emerso un secondo punto, condiviso da più parti: una riflessione sul Linguaggio, visto come un campo non neutro ma di conflitto e di ricerca, fatto di parole, pratiche, traduzioni.
Si è ammesso un importante sviluppo di pratiche, sempre più complesse e diversificate, cui è venuta a mancare l’evoluzione di un linguaggio che avesse pari intensità, adatto alla narrazione dei nuovi immaginari attorno a noi, con i quali dovremmo riuscire a contaminarci.
3) E’ stato poi ripreso più volte il concetto di Comune.
Esiste una terza via, che include tantissime esperienze di cui gli spazi sociali sono riferimento, e che prende le mosse da ipotesi storiche riconosciute perfino dall’Assemblea Costituente. Sappiamo quanto possa essere pervasiva la sua elaborazione in termini di aggregazione e allargamento, il caso dei “Beni Comuni” ne è stato esempio positivo, che però va difeso definito, per evitare strumentalizzazioni e svuotamenti di senso sempre più diffuse. La Casa delle Donne Lucha y Siesta, dove si è svolta l’Assemblea Plenaria di Energie in Movimento, è in questo momento caso emblematico, perché partendo dall’assunto che la normalizzazione non può che essere patriarcale, ha dato vita al Comitato popolare “Lucha alla Città”, che mette in discussione il concetto stesso di proprietà nella ricerca di una vera Autonomia.
4) Infine, abbiamo riflettuto sulla nostra forza, in relazione al territorio data da reti sia di difesa che di costruzione di conflitto, di produzione politica. Gli spazi al tempo stesso sono cambiati radicalmente rispetto agli anni ‘90, è cambiata la relazione rispetto al territorio e le sue funzioni. Proprio perché nei momenti di mobilitazione allargata degli ultimi anni siamo spesso superati da numeri e partecipazione che va ben oltre il nostro perimetro, bisogna immaginare una simbiosi positiva per gli spazi stessi e per questi movimenti. Abbiamo la capacità di garantire questa relazione reciproca? Abbiamo ambizioni di adattamento e stimolo mutuo?
Essendo stato estremamente difficile sintetizzare in poche frasi la ricchezza di questa discussione, il Tavolo desidera promuovere l’apertura di un ambito di discussione che parta dalle parole, che includa quella necessaria rivoluzione del linguaggio evidenziata e che si contamini con i movimenti che stanno attorno a noi (transfemminista e ambientalista in primis) di cui gli Spazi sono co-attori, stimolo, ma non più unici motori.