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OPINIONI
Milei, l’ultradestra che accelera: Miguel Mellino dialoga con Diego Sztulwark – seconda parte
La seconda parte del dialogo di Miguel Mellino con Diego Sztulwark si interroga sul rapporto tra Milei e i corpi come un intralcio alla velocità del capitale, riflette sull’uso di Gramsci da parte delle destre ed infine ricorda Toni Negri e la sua influenza in Argentina
Quanto dici risuona molto anche nello scenario italiano, direi anche europeo. Le destre, o ultradestre, hanno saputo leggere bene questo limite, e non è un caso che sono uscite dalla pandemia quasi dappertutto appropriandosi del diritto alla libertà. Certo, bisogna dire che non si tratta di un qualcosa di totalmente nuovo, da sempre, le destre radicali, anche il fascismo, come insegnano testi oramai classici, e penso a qui a Le strutture psicologiche del fascismo di Bataille, e soprattutto a Nascita dell’ideologia fascista di Zev Sternhell, hanno promosso un loro concetto di libertà, la libertà del diritto al dominio del più forte, come risultato naturale di quella liberazione delle forze produttive di cui prima parlavi come parte centrale del discorso di Milei…
Un altro elemento importante che vorrei aggiungere a quanto stiamo dicendo è qualcosa su cui ha insistito Bifo, ma vorrei citare qui la cantante e filosofa argentina Liliana Herrero. Qualche giorno fa Liliana lo ha spiegato in una trasmissione televisiva in modo brillante: durante la quarantena non abbiamo subito una chiusura, ma una doppia chiusura. Durante la prima chiusura, ci hanno rinchiuso tuttx a casa, e da questa chiusura, in molti sono usciti da casa gridando viva la libertad carajo!, ovvero vi è stata una convergenza sociale importante su questo concetto di libertà, sulla libertà come nuovo significante vuoto, per dirla con il nostro amico Ernesto Laclau. La libertà rivendicata contro chi ci ha tenuto a casa, contro chi non ci ha lasciato avere una sessualità aperta, contro chi non ci ha consentito di lavorare quando avevamo bisogno, ecc.
La seconda chiusura, ricorda Liliana, e su questo vorrei porre l’accento, ha più a che vedere con una chiusura nel linguaggio degli schermi, degli algoritmi, delle tecnologie divenute dominanti durante la pandemia, e da questa chiusura penso non ne siamo affatto usciti. Siamo rimasti intrappolati in queste forme della comunicazione, in queste forme di economia, in queste forme di scambi e pagamento, che hanno avuto un effetto piuttosto negativo sui corpi.
E qui torniamo a quanto abbiamo detto all’inizio sul rapporto tra Milei e i corpi: i corpi sono lenti, fastidiosi, un intralcio alla velocità del capitale. La presenza delle persone irrita, viaggiare è molesto, se uno ha un computer, un cellulare, una forma virtuale scambio e di pagamento, mezzi che divengono l’epicentro del nostro movimento, si può sognare che il proprio corpo smetta di essere un peso. Penso che non siamo usciti da questo linguaggio a cui la pandemia ci ha costretto. Con questo mi pare ti stia rispondendo anche alla tua domanda sulla composizione sociale del voto a Milei.
Si, la tua risposta completa in modo suggestivo quanto dicevi prima sulla composizione sociale del voto a Milei. Le cose che ci dici poi non chiudono la questione in una certezza autoconsolatoria, che tanto piace a una certa sinistra benpensante, per così dire, anzi, chiedono ulteriori ragionamenti per capire cosa opponiamo alla proposta di Milei e delle ultradestre in generale dal punto di vista materiale, se così si può dire, cosa opponiamo al di là della condanna morale di tutto ciò che rappresenta. Penso sia importante ribadirlo, una parte importante delle classi medio-basse, dei ceti popolari, lo ha votato, perché sta chiedendo delle cose, sta reclamando. Visto che parliamo di pensare una resistenza politica a Milei, ti volevo chiedere proprio questo, cosa si sta muovendo contro il governo. Sta cominciando marzo, l’8M vi è stata l’imponente manifestazione femminista di NUDM, il 12/3 ci saranno una serie di blocchi stradali indetti dai movimenti sociali contro la fame a cui questo governo sta portando una parte importante dei ceti popolari, il 14/3 ci sarà lo sciopero generale del mondo universitario, si annunciano altri scioperi dei docenti, lo sciopero federale che sta promuovendo la CGT e altri sindacati, e infine il 24/3 ci sarà quella tradizionale di tutti gli anni di condanna ai crimini della dittatura. Vi è qualcosa di non visibile ancora che si sta muovendo contro Milei.
Sicuramente sì e sta venendo fuori. Così come tutti i 19 e 20 dicembre, nelle manifestazioni in memoria della grande insorgenza del 2001 e della brutale repressione statale finita con 35 morti, scendiamo in piazza per incontrarci, per contarci, per capire cosa si sta muovendo, nonostante le solite condanne e minacce dei media, che vaticinano altri saccheggi, furti e violenze, queste iniziative che hai ricordato avranno lo stesso scopo. L’ultimo 20 dicembre, la ministra della sicurezza Bullrich ha voluto impedire queste manifestazioni dispiegando un imponente dispositivo repressivo, ma le manifestazioni ci sono state lo stesso. E sono state importanti. Anche quella dell’8M delle donne ha visto lo stesso imponente dispiegamento di forze repressive, ma è stata moltitudinaria lo stesso. Si può aggiungere che quando Milei ha annunciato i primi provvedimenti, il Decreto nazionale di urgenza (DNU) e la legge omnibus vi è stato un cacerolazo immediato in diverse zone del paese. Tutte queste manifestazioni e iniziative, ma specialmente quella dell’8M e quella del 24M, sono importanti; è importante occupare e bloccare le strade, perché così come uno dei pilastri della politica di Milei è la deregolamentazione economica, l’altro, come annunciato dal protocollo per la sicurezza di Bullrich, è l’ordine sociale, l’ordine nelle strade, che vuol dire repressione.
Le grandi manifestazioni sono molto importanti, per superare la paura e per opporsi alla durissima repressione che sta già dispiegando questo governo, ma anche per superare la frustrazione, l’impossibilità di incontrarsi con altri in un momento così desolante come questo, in cui si mescolano rabbia e una crisi economica brutale. Abbiamo la necessità di mostrare le nostre forze, e non poterlo fare demoralizza. L’8M è stato folgorante da questo punto di vista, poiché ha saputo incardinare una convergenza generalizzata a cui hanno aderito e partecipato molte altre istanze e soggetti politici, partiti, sindacati e movimenti.
In Argentina, il femminismo garantisce da tempo un confronto aperto con il governo e con lo stato, e da un punto di vista materialista, se si vuole. Quella del 24M sarà uguale, ma ancora più grande, perché anche qui per la prima volta vi sarà una manifestazione unica, e non più due come tutti gli anni, una del peronismo e un’altra delle sinistre, e per questo si annuncia sintomatica e promettente, quindi un appuntamento davvero moltitudinario.
Anche perché la lotta per i diritti umani in Argentina è un’istanza davvero trasversale…
Sì, e ho l’impressione che l’asse dei diritti umani resti ancora un asse di enorme importanza strategica, tanto nella costruzione della resistenza politica argentina quanto della soggettività militante e questo è sempre più ovvio, perché non si tratta di un ricordo e della semplice memoria del passato, ma porta con sé da sempre, un’esigenza di attualizzazione. La lotta per i diritti umani in Argentina, a partire dalla lotta contro i crimini della dittatura, parla sempre al presente, chiede sempre una sua traduzione materiale e politica nella realtà di tutti i giorni. Quest’anno vedremo di che tipo di attualizzazione siamo capaci, cosa chiederemo come traduzione dei diritti umani oggi.
Tradizionalmente in Argentina, la lotta per i diritti umani incrocia le lotte politiche del presente, il confronto sulla situazione sociale attuale, sulle questioni della repressione istituzionale che qui sono sempre all’ordine del giorno, quindi per le militanze questa volta più che mai il 24M potrebbe significare l’assunzione di un nuovo periodo, e non una mera ritualizzazione delle lotte del passato.
E tuttavia non dobbiamo esagerare: manifestazioni moltitudinarie significa qui che vi sarà un’opportunità importante per incontrarsi per tanti settori, ma questo, almeno per ora, difficilmente influirà sul confronto politico più largo, sul processo di governo di Milei. Sarò solo l’inizio.
Tornando al discorso di Milei al congresso ti volevo chiedere qualcosa sul conflitto attuale del governo con le province (regioni), mi pare una cosa inedita nella storia recente, per trovare qualcosa di simile occorre tornare all’Ottocento, allo scontro tra Federales e Unitarios che ha segnato la nascita dello stato nazionale. Mi sembra un tema molto delicato, perché l’acceleratore di Milei su questo fronte rischia davvero di essere piuttosto esplosivo. Nel congresso, Milei ha offerto ai governatori un nuovo “patto di maggio”, data con molte implicanze simboliche se uno guarda la storia argentina (l’inizio del processo dell’indipendenza dalla Spagna), ma che in realtà non ha nulla che assomigli a un patto. Si tratta di una semplice estorsione: se appoggiate in parlamento la legge omnibus, vi do qualcosa, non vi toglierò i fondi nazionali. Quindi anche qui, anche se diversi governatori negozieranno qualcosa, mi pare un vicolo cieco. E le regioni resteranno prima o poi senza finanziamenti statali, il che tradotto significa la loro bancarotta economica, l’impossibilità reale di pagare gli stipendi e i servizi pubblici. Come contromisura, alcuni governatori hanno già annunciato che, se il governo va avanti, chiuderanno i rubinetti del gas, del petrolio e anche dell’elettricità che affluisce a Buenos Aires. Uno scenario quasi distopico.
Domanda importantissima, ma a cui è difficile rispondere, perché siamo tutti perplessi e scioccati, lo sono anche i governatori, da questo nuovo scenario. Milei da una parte mette pressione sui governatori in un modo inedito. Mi torna in mente quanto il filosofo Horacio González diceva dei personaggi de Los Siete Locos di Roberto Arlt: ci sono o ci fanno? Milei è un pazzo o ci fa? È lucido, è un’idiota, finge di essere una cosa o l’altra? Ha un piano straordinariamente audace o è solo uno sciocco, che come il maestro giardiniere del film di Schrader parla in modo ossessivo solo di piante; allo stesso modo Milei ha solo due idee e va avanti con il paraocchi? Mi sembra che al momento, questo interrogativo non può avere una risposta chiara e per questo dubito di tutto quanto dico.
Ripassiamo un po’ il gioco di forze politico. Prima cosa: il partito di Milei non ha alcun governatore. Domanda: Milei verrà riassorbito dal sistema politico istituzionale o lo rivoluzionerà? Possibile risposta: quando Milei ha inviato la legge omnibus in parlamento con i suoi 600 articoli, che sembrava una riforma costituzionale di rifondazione dello stato più che una legge con nuovi provvedimenti, i governatori hanno votato contro. Quindi una possibilità è che Milei abbia tratto una lezione da questo fatto, che si sia detto di portare avanti alcuni processi, come il riequilibro fiscale, la riduzione della spesa pubblica, il pagamento del debito estero, con o senza i governatori, e che non negozierà con le dinamiche legislative e istituzionali tradizionali. Pensiamo qui che i governatori controllano una parte importante del parlamento e delle due camere, poiché hanno un impegno diretto con la gestione delle regioni da cui provengono. Quando i governatori delle regioni gli votano contro, ciò che Milei capisce è che i governatori stanno cercando di addomesticarlo, per questo riassetta la sua retorica contro la casta, contro l’apparato istituzionale e la scaglia contro i governatori: siete voi che non volete il cambiamento, lo sviluppo economico, la dollarizzazione, il pagamento del debito, ecc. Questa è una pressione molto forte che sta imprimendo al confronto e che punta a uno scontro frontale, diretto, a somma zero.
Sì, e si potrebbe aggiungere che è questo che lo rende forte anche di fronte al potere istituzionale, sa che costruendo politicamente lo scontro in questo modo, l’outsider puro contro una macchina statale-istituzionale corrotta e che guarda solo ai propri benefici, avrà per ora il sostegno di una parte importante dell’elettorato. Come hai detto tu prima, sa giocarsi il suo mandato elettorale, non è un pazzo…
Esatto, e Milei ribadisce sempre il suo stesso discorso: io dico le cose come stanno, senza peli sulla lingua, non ci sono più soldi, non ho nulla da perdere e, se perdo, me ne vado dalla politica, non sono un politico. E se perdo dirò alla gente che la casta non vuole mollare la presa sullo stato e vediamo, rivolto ai governatori, se reggete lo scontro. Milei non ha un potere istituzionale, ma estorce il potere istituzionale con un credito politico, un consenso suo, che oggi il potere istituzionale non ha più. D’altra parte, nel discorso al congresso ha fatto loro un richiamo esplicito a negoziare, ha convocato i governatori il 25 maggio a Córdoba, cioè in una regione dove ha preso il 75% dei voti, per firmare un patto, che consta di 10 punti.
10 punti di un neoliberalismo ortodosso, estremo e senza mediazioni. Riforma lavorativa, diminuzione delle tasse, accelerazione sull’estrattivismo, deficit fiscale zero, riaggiustamento della spesa pubblica. Chi firmerà, avrà un alleggerimento fiscale, avrà dunque una qualche risorsa economica per andare avanti, non verrà strangolato, avrà fondi almeno per pagare gli stipendi a insegnanti, impiegati e poliziotti. Mi chiedo, ci chiediamo tutti, è su questo accordo estorsivo che spera di gettare le basi di una nuova architettura istituzionale per l’Argentina?
Cosa faranno i governatori, si presenteranno a Córdoba? Quanti firmeranno? Tutti, qualcuno? Se va una maggioranza, cosa succede alla minoranza che non accetta? Cosa faranno i governatori che rispondono a Macri? Negozieranno (e bisogna ricordare che buona parte di loro sono d’accordo con il neoliberalismo di Milei), o faranno ciò che hanno fatto la settimana scorsa?
La settimana scorsa il governo di Milei si è rifiutato di trasferire dei fondi che corrispondevano per legge a una provincia del Sud, Chubut, perché questa provincia ha dei debiti. Con questo rifiuto, è come se il governo-creditore si fosse ripreso un debito. Il governatore di questa provincia, che è una regione petrolifera, ha risposto che se non arriveranno i soldi, chiuderà i rubinetti del petrolio. Il gesto di questo governatore è stato forte e ha avuto il sostegno di molti altri, che hanno rialzato ancora la posta in gioco, avvertendo Milei: attenzione, che l’Argentina come paese è l’effetto di un accordo tra province. La produzione economica in Argentina è regionale, lo stato nazionale non controlla l’economia produttiva e quindi le esportazioni di grano, per esempio, potranno uscire da porti regionali e non più da Buenos Aires, le corporazioni dell’agro-business potrebbero smettere di pagare tasse nazionali, e quindi si avrebbe una contrazione regionale del paese, molto pericolosa. Abbiamo quindi una frattura nazionale molto seria, come dicevi prima, che ci riporta alla costituzione storica stessa dello stato nazionale. Queste province possono confederarsi in un insieme nazionale, oppure no. Vi è stato un documento sottoscritto da tutte le province patagoniche e firmato come “las provincias unidas del sur”, come recita l’inno nazionale.
Questa non sarebbe più l’Argentina che abbiamo conosciuto. Si tratta di accordo tra regioni, dissolverebbe in qualche modo lo stato nazionale. E anche a questo livello la politica di Milei imprime una sua velocità feroce, disgregativa e per mezzo di un’aggressività squadrista, brutale, ricorrendo consapevolmente a un maltrattamento piuttosto umiliante verso una parte dell’apparato istituzionale, verso i parlamentari, i sindaci, i governatori, ecc., riproponendo una divisione assoluta del mondo e del tempo politico in due, tra coloro che “la ven”, come recita il suo slogan, e cioè tra coloro che riescono a salire sul suo carro, la gente perbene, e quelli che “non la ven”, e che resteranno indietro, che vi soffriranno le conseguenze immediate o, se egli non dovesse andare avanti, resteranno con un paese ingovernabile. Questo è il suo pensiero.
La situazione che descrivi mi fa venire in mente tante cose. In primo luogo un paradosso, dato che Milei ha massimizzato una parte importante, forse la più importante, del suo risultato elettorale proprio con il voto nelle province, dove ha stravinto quasi dappertutto. La seconda è che io vedo una colonialità profonda nel progetto di Milei, l’Argentina “mitica” che lui evoca nei suoi discorsi è chiaramente quella di inizio XX secolo, accentrata su Buenos Aires, ovvero sulla parte più bianca ed europea del paese, soprattutto quella governata dall’oligarchia agro-esportatrice tradizionale, quella pre-populista, per stare al suo stesso discorso. Infine, mi riporta in mente alcuni lavori di Saskia Sassen, che già diversi anni fa premetteva che il processo di globalizzazione economica avrebbe tagliato trasversalmente, disaggregandoli, i confini sovrani degli stati-nazione moderni per riaggregare i diversi territori dell’economia globale in altri assemblaggi post-statali e post-nazionali, se così si può dire.
Vi è infatti anche questo aspetto in gioco qui. Milei ha aperto un mondo di affari economici e finanziari vincolati all’energia, al petrolio, al gas e ad altre risorse, al litio e anche alla stessa vendita di terre, che è ancora poco trasparente e che ha che vedere con la ricostituzione del modo in cui le province con risorse energetiche si reintegreranno nel mercato mondiale. La domanda è: lo faranno come regioni, o attraverso lo stato nazionale? Attraverso imprese e corridoi regionali, o attraverso mediazioni nazionali? Di questo si parla poco e bisogna essere uno specialista sull’argomento per dire qualcosa di certo, per sapere che tipi di contratti si stanno firmando, quali sono i capitali statunitensi che sta mobilitando Milei, quali sono invece i capitali dei paesi del golfo arabo che Macri sta cercando di portare in questi affari e privatizzazioni a venire.
Qui è in gioco una riconfigurazione dell’inserimento dell’Argentina nel mercato mondiale che avrà conseguenze notevoli sul futuro di tutti noi, poiché vi è una sorta di scontro tra due diversi modelli economici dentro una stessa visione, uno scontro tra capitali diversi.
E il Sud, la Patagonia, è una zona strategica, poiché qui si concentra la maggior produzione energetica del paese, dell’energia che si potrebbe esportare. Ma è difficile capire ora cosa succederà, fino a che punto dietro questo scontro sulla struttura federale del paese vi sia uno scontro di capitali diversi.
Ti volevo chiedere ora qualcosa di cui abbiamo parlato nelle nostre conversazioni e che penso sia interessante dire qualcosa anche rispetto al pubblico in Italia. Mi riferisco all’uso di Gramsci che Milei e la sua squadra, i suoi intellettuali organici, per così dire, fanno dei concetti gramsciani, che sono ridiventati molto popolari, in un paese in cui lo sono comunque sempre stati. Qualche sera fa vedevo in TV il Canale La nación+, che fa riferimento alla destra di Macri e a un importante blocco di potere storico del paese, e mi sono trovato con uno schema in cui si spiegava il concetto di egemonia di Gramsci e anche cosa intendeva Althusser con apparati ideologici di stato. La cosa era assurda, ovviamente, ma mi colpiva il modo in cui spiegavano questi concetti e prospettive: molto sinteticamente, lo schema dietro la spiegazione era che Gramsci e Althusser mostrano come la sinistra ha sempre pensato il suo progetto di potere politico, ovvero attraverso l’occupazione dei luoghi chiave dello stato, della comunicazione, le università e le scuole e da lì, si dice, passare a manipolare l’intera società a partire dalla propria visione del mondo. Parlavano di Gramsci e di Althusser come delle specie di Orwell più sofisticati, che progettavano la costituzione di un super 1984 di sinistra, socialista, marxista, ecc. Secondo la visione di questa nuova destra o ultradestra, è proprio questo che ha fatto il kirchnerismo in Argentina e la sinistra culturale altrove, anche attraverso gli studi decoloniali e postcoloniali, che mi toccano da vicino. Tu hai scritto cose molto belle su questo, volevo dicessi qualcosa.
Lo hai riassunto molto bene. Per chi viene dalle scienze sociali, o dalla militanza politica, questa diffusione di Gramsci, e ora anche di Althusser, è uno spettacolo sconcertante. Questi parlano degli autori che abbiamo letto tutta la vita, ma che comunque nominavano solo in modo marginale. Uno poteva leggere Gramsci e Althusser, ma poi nella vita di tutti i giorni non vi facevi riferimento. Potevi parlare di calcio o applicare ciò che leggevi di questi autori alla costruzione di una prospettiva politica, ma certo non ne parlavi molto fuori da alcuni circoli, nei bar parlavi piuttosto di calcio, o di altre cose, non certo di Althusser e Gramsci. Anche perché se tu dicevi ho letto Althusser e Gramsci in un modo diverso, la gente ti guardava sconcertata. Ora invece questi autori cominciano a comparire come se tutti sapessero chi sono, cosa hanno detto, ecc.
Vi è all’opera una pedagogia molto veloce, in cui Gramsci appare sempre come un tecnico della comunicazione di massa, come un manipolatore che in un certo momento avrebbe insegnato alla sinistra come risorgere dopo una sconfitta politica, dopo una battaglia politica o di classe aperta e persa, e che ciò che avrebbe insegnato è come infiltrarsi nel mondo della cultura, del linguaggio, nella scuola e nelle università e negli apparati dello stato, ecc.
Rispetto ad Althusser, non lo diremo qui in modo dettagliato, si coglie il fatto che l’occupazione dello stato interpella la popolazione, attraverso una certa gestione-manipolazione dei discorsi, e questa cosa per loro è chiarissima: vi è una sinistra sconfitta, che si infiltra nella cultura e che trova negli apparati di comunicazione ed educazione il luogo privilegiato per arrivare e manipolare le persone.
Una visione che si sposa piuttosto bene con quel complottismo ideologico che muove un certo uomo-medio frustrato e risentito nelle sue aspirazioni, un soggetto che attribuisce i propri fallimenti alla manipolazione di una certa élite di potere che controlla ogni cosa e ne trae benefici solo per sé…
Certo, e quando uno ascolta tutto questo vorrebbe reagire e portare complessità al dibattito, dire la verità su chi erano Gramsci e Althusser. Cose minime, che Gramsci è morto in una prigione fascista e che quando noi leggiamo Gramsci pensiamo a lui e pensiamo anche al fatto che potremmo morire anche noi, come lui, in un carcere di Milei, poiché egli sta proponendo il suo programma come se fosse una specie di tavola biblica e criminalizzando ogni opposizione o pensiero diverso. La realtà appare qui invertita, tra ciò che accade dentro di noi e come vengono letti questi autori dall’ultradestra. Può essere interessante ricordare che dopo la fine della dittatura militare nel 1983, questa lettura esisteva già.
Quadri importanti delle forze armate e di quelle formazioni politiche che le sostenevano vedevano i processi di Alfonsín contro la giunta genocida come parte di un disegno e di un’infiltrazione gramsciana e marxista nella vita politica e culturale argentina. Vedevano la visione politica dietro i processi come una specie di leninismo diluito che contaminava il linguaggio, che inseriva nella società concetti allora nuovi, come i diritti umani, la democrazia, la transizione democratica, ecc., che non esistevano negli anni Settanta, ma che negli anni Ottanta diverranno egemoni, soprattutto mettendo in discussione tutta la cartografia trionfale delle forze armate nella repressione, lasciandole politicamente disarmate.
L’idea che il gramscismo sia sinonimo di infiltrazione comunista in Argentina ha una lunga tradizione. Non è difficile vedere qui qualcosa di simile all’antisemitismo europeo classico, i gramsciani sono gente senza patria, che manipola le zone fluide della società, ecc. Un’altra cosa da sottolineare è che molti degli intellettuali che oggi appaiono come la nuova intellettualità giovane dell’ultradestra, persone formate politicamente in organizzazioni americane di lotta al terrorismo, o comunque preso think tank finanziati dagli U.S.A, si approcciano alla bibliografia di sinistra come se lo facessero a partire da un manuale di contro-insorgenza o contro-intelligenza, come un mezzo attraverso cui identificare e scovare i comunisti nel linguaggio, nella cultura, ecc. È insomma una lettura da manuale di contro-insorgenza.
Da una parte, non possiamo non sentirci offesi da queste letture, soprattutto se pensiamo che questi autori rappresentano per noi un piccolo tesoro e quindi finiamo per valorizzare questa nuova opportunità che ci stanno dando di renderlo popolare. Dall’altra, e Milei lo ripete letteralmente tutto il tempo, Gramsci viene evocato come il diavolo nascosto dietro il discorso femminista, dietro l’ecologismo, dietro il discorso dei diritti umani. Parlare di Gramsci serve qui come strategia per far comparire il mondo comunista come il grande nemico dietro ogni cosa o discorso che non condividono e così facendo non fanno che riattivare un qualcosa di anacronistico e tipico della guerra fredda, che oppone a un’augurabile avanzata capitalistica lineare, che porta con sé la difesa dell’occidente e della libertà, a un mondo dominato da comunisti infiltrati dappertutto, perfino dietro l’economia neoclassica o anche dietro i politici di destra che non cedono al loro credo. Tutto può rientrare nell’opposizione comunista, in questa presunta manipolazione da parte della sinistra globale, dalla Banca Mondiale, a Soros, a qualsiasi altra cosa. Si presentano tutti i discorsi o forze politiche, o movimenti, come se fossero controllati da qualcuno, non vi è nulla, nessuna dinamica sociale che sia autonoma e che non sia manipolata da un nemico. E nell’ultimo discorso in parlamento Milei lo ha ribadito in tono assai minaccioso: non è possibile che le università diffondano un pensiero di sinistra, che siano di sinistra, occorre insegnare capitalismo e libertà.
Diciamo che ha già cominciato a demolire il sistema universitario, garantendo un budget di spesa che consente di pagare gli stipendi di professori, ricercatori e dipendenti solo fino a maggio prossimo, per questo è stato indetto lo sciopero generale dell’università per il 14 marzo. Per finire, però, vorrei parlare di qualcosa che ci unisce molto e a cui dobbiamo anche il nostro incontro diversi anni fa e la nostra amicizia. Tre mesi fa è morto Toni Negri e tu e una parte politica di cui fai parte ha avuto in Toni un referente essenziale. Lo avete ospitato tante volte qui e avete fatto insieme molte cose. Sarebbe importante tornare in futuro su ciò che il lavoro e la prospettiva di T. Negri ha rappresentato in Argentina, o come e perché la sua filosofia politica ha avuto in Argentina una simile importanza. Cerchiamo di anticipare qui qualcosa, su cui tornare in modo più mirato e sistematico in futuro.
L’eredità fondamentale di Toni per noi è anche un’indicazione di metodo politico – e cioè la ricerca e la riflessione costante sulle nuove soggettività emergenti. La questione di come noi produciamo soggettività, delle eccedenze soggettive, di come ci connettiamo con le forme attuali della produzione, di come trattiamo le passioni, di come riconsideriamo il fatto che il linguaggio e le immagini sono dentro la produzione, di come possiamo confrontarci con questo che tu hai chiamato prima il feticismo che sta ricoprendo tutta la società, restano per noi all’ordine del giorno e ci riportano continuamente al pensiero di Toni.
Credo che la sua morte ci costringe in qualche modo a riattivare e ripensare una parte importante di ciò che ci ha insegnato e che resta piuttosto utile per capire ciò che abbiamo davanti; ci consente infatti di pensare all’economia della rete, al capitalismo digitale, alle nuove reti sociali, alle nuove forme della cooperazione, ma penso che anche le sue categorie teoriche, politiche e filosofiche vadano riprese subito.
Mi viene in mente qui una parte del terzo volume della sua autobiografia, che mi piacerebbe citare per finire, quel passaggio in cui scrive che «questa oscurità generale delle percezioni, questo ritiro dell’intelligenza dal mondo, è già una forma di fascismo». Certo, non è il fascismo storico, ma mi ricorda molto il nostro presente qui. Mi piace molto questa sua affermazione, perché lascia intendere in modo sofisticato che non è che siamo soltanto noi essere confusi, a non capire cosa sta succedendo, ma che si tratta di qualcosa di sostanziale che sta accadendo, di un tono dell’epoca, di un tono della reazione. E che richiede un nuovo pensiero.
immagini dal corteo di Buenos Aires di Matteo Polleri