ITALIA

Milano-Cortina 2026: una vittoria per chi?

Un dossier di candidatura nocivo per i territori e pericoloso per le finanze pubbliche, ha assegnato a una Milano dilatata di 400 km le olimpiadi invernali 2026: uno schema di governance dei territori sempre più esclusivo, sempre più escludente

In perfetta continuità con il modello Expo 2015, il capoluogo meneghino si è candidato non solo ad ospitare “i giochi” ma a traghettare l’economia nazionale verso una nuova potenziale stagione di recessione. Uno sviluppo che ha come paradigma non l’integrazione ma l’esubero e la stratificazione, come mostra la trasformazione di Milano negli ultimi 12 anni (se vogliamo usare come data periodizzante la metamorfosi del quartiere Isola-Garibaldi). Non “per tutti” e soprattutto non “da ciascuno secondo le sue possibilità” ma “dai molti in favor di alcuni”.

 

Le lezioni mai imparate

Siccome i fenomeni sociali non sono concetti astratti presenti nell’iper-uranio di Sala, Zaia, Fontana – e Salvini, Di Maio, Meloni, giù giù fino a bislacche comparse quali Gaio Caio Mussolini – ma processi concreti, non possiamo che far partire la ricognizione dalla storia recente delle Olimpiadi. La serie storica dei giochi olimpici, stando almeno agli ultimi 25 anni, non ci consegna una sola edizione dal costo inferiore ai 2 miliardi di dollari. Se ponderiamo questo dato con uno sforamento medio delle previsioni di spesa vicino al 150%, il carattere naif delle attuali promesse di spending review appare in tutta la sua fragilità. Gustavo Rinaldi, docente di management ed economia all’Università di Torino, segnala (tra i molti) che i giochi olimpici hanno portato in eredità al paese ospitante perdite nel 95-97% dei casi (Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2019). Qualche esempio tra i più recenti?

 

  • Barcellona 1992 | costo iniziale 2.65 mld, supplementare 7.04 (+266%, tot: 9.69 mld)
  • Lillehammer 1994 | costo previsto 0.59, supplementare 1.64 (+277%, tot: 2.23 mld)
  • Atene 2004 | costo previsto 1.97, supplementare 0.9 (+49%, tot: 2.9 mld)
  • Torino 2006 | costo previsto 1.97, supplementare 1.9 (+80%, tot: 4,4 mld)
  • Londra 2012 | costo previsto 8.5, supplementare 6.5 mld (+76%, tot: 14.9 mld)
  • Sochi 2014 | costo previsto 5.6, supplementare 16.3 mld (+289%, tot: 21.9 mld)
  • Rio de Janeiro 2016 | costo previsto 2.9, supplementare 1.5 mld (+51%, tot: 4.5 mld)1

 

Questo set di dati assume tanto più significato quanto ci avviciniamo nel tempo e nello spazio al territorio oggi coinvolto. Perimetrando lo sguardo all’Europa mediterranea è anzitutto a Torino 2006 (buco di bilancio di 4 MLD) che dobbiamo guardare. Ancor più grave, per l’impatto che ha avuto sulla crisi greca, la voragine di 15 MLD in cui è precipitata la città di Atene dopo l’anno 2004.

Anche sotto il profilo delle opere realizzate a beneficio dell’evento, palazzetti e infrastrutture su tutte, l’inevitabile sovradimensionamento, in relazione alle esigenze di tutti i giorni, è l’elemento chiave per immaginare l’eredità insostenibile in termini di costi di manutenzione, illuminazione, condizionamento e messa in sicurezza di quanto inutilizzato. Sono queste voci che non troverete nei dossier di candidatura ma che sono utili a chiarire la legacy di un evento dagli indotti difficilmente calcolabili sul medio periodo.

Come ha fatto il duetto Milano-Cortina a convincere i delegati riuniti in conclave a Losanna? L’assegnazione si è conclusa (quasi) a tavolino, come già le “grandi” olimpiadi di Los Angeles 2024 e Parigi 2028, assegnate in un sol colpo per assenza di località candidate ad ospitare le due kermesse. Della decina di città che hanno manifestato nel tempo interesse per la candidatura, rileviamo che Calgary, Sion e Innsbruck (le municipalità in cui la cittadinanza si è espressa direttamente) hanno abdicato con lo strumento referendario. Nel caso di Erzurum è stata la fragilità politica del sultano Erdogan a pregiudicare la chance mentre in altri casi semplicemente s’è smesso di parlarne man mano che si avvicendavano nuove giunte al comando. L’unica concorrente rimasta, Stoccolma, non ha mai ratificato la candidatura svedese né offerto sostegno economico all’evento. L’indesiderabilità del mega-evento, in questa fetta di mondo infrastrutturato e autodichiaratosi avanzato, è trasversale a livello internazionale.

 

Il ticket Milano-Cortina

L’avventura olimpica, complice il no di Virginia Raggi di tre anni fa, parte con la sfida a tre Torino, Milano, Cortina. Di fronte alle titubanze della giunta pentastellata a guida Appendino, le ultime rivali si sono coalizzate in una geometria inedita a guida Lega-PD, con le province autonome di Trento e Bolzano a fare da sponda. L’annunciata previsione di spesa low-cost è arrivata, nel tempo di qualche cronaca, a sfiorare 1 mld e 400 milioni di euro da coprire fra CIO ed enti locali coinvolti, con 400 mln di euro extra budget messi sul piatto dal governo giallo-verde a coprire le spese per la sicurezza (la serenità dei giochi vale un quarto del budget!). La cifra è destinata inevitabilmente a lievitare e crescere, considerando anche solo la vastissima estensione dei territori (oltre 400 km separano Milano da Cortina) coinvolti nelle diverse discipline. Tra le opere infrastrutturali, ben più impattanti dei palazzetti “già quasi pronti all’uso” ricordiamo:

 

  • Alta Velocità Brescia-Venezia;
  • Prolungamento SS 36 Ardenno-Bormio;
  • Potenziamento SS51 Tai di Cadore in superstrada;
  • Nuovo progetto collegamento ferroviario Calalzo-Cortina, con tunnel sotto le Marmarole.

 

A questi vanno aggiunti i nuovi impianti sciistici e strutture affini (Livigno, Bormio, Cortina, Val di Fiemme e in Valtellina), i tre cluster, le piazze tematiche, l’evento inaugurale allo stadio Meazza (quello che vorrebbero intanto demolire..) e l’edificazione o ammodernamento degli impianti necessari alle discipline su ghiaccio in quel di Milano.

Il lessico dei business plan e dei bilanci permette facilmente di distorcere la realtà senza mentire tout court. Expo 2015, a titolo d’esempio, si è conclusa con un patrimonio netto positivo. Com’è possibile? È bastato considerare il solo costo di esercizio, glissando sulle spese (a fondo perduto) di realizzazione e non considerare le opere accessorie (su tutte il circuito autostradale in costante perdita di Bre.be.mi e Pedemontana). O, e torniamo al caso delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, l’abbandono delle strutture, l’eccezionalità dei pedaggi autostradali, l’impatto sulle valli coinvolte a lungo termine.

 

Devastazione ambientale e contraddizione Milano

Già dall’elenco sopra riportato appare evidente la devastazione che le strutture e le opere accessorie comporterebbero su tutto il nord-est. Ma qual è il prezzo da pagare, a livello di ambiente e risorse pubbliche, per soddisfare la fame speculativa diretta dell’industria sciistica?

In primis, la costellazione di impianti in disuso che dominano le Alpi occidentali, lasciti di Torino 2006. Ma già nella stessa Cortina, in vista dei mondiali di sci alpinistico del 2021, sono state costruite piste inutilizzabili a causa dell’assenza di neve naturale; unicamente il ricorso alla neve artificiale può rispondere alla domande del turismo montano, con conseguente distruzione e prosciugamento dei bacini idrici, già in crisi sulle Dolomiti e in tutto il nord. In secondo luogo, sempre a Cortina, l’annunciato collegamento Cortina-Monte Civetta, oltre a quello verso Badia, è la premessa alla distruzione definitiva del fragile ecosistema locale; con il richiesto prolungamento della A27 verso l’Austria, si preannuncia l’arrivo di una massa di persone non sostenibile.

Infine, in uno studio del 2017, era stato calcolato il bilancio dell’industria sciistica settentrionale, dal Piemonte al Friuli, passando per la Valle d’Aosta e il Trentino: gli impianti e il settore del turismo su neve è in perdita netta, ricoperta quasi ogni anno da soldi pubblici. La domanda allora sorge spontanea: come concilia il Comune di Milano la sua dichiarazione di “stato d’emergenza climatica”, e il sostegno alle mobilitazioni contro il climate change dell’ultimo anno, con la sua battaglia per imporre a tutti i costi (letteralmente) Milano capitale di uno degli eventi più devastanti proprio sul fronte ambientale?

 

Modello Milano: le lotte che ci aspettano

L’ultimo grande evento ospitato dal capoluogo meneghino, ne abbiamo parlato poco più su, è stato Expo 2015. A guardare anche solo il bilancio specifico dell’Esposizione universale (senza contare le opere accessorie), quel che resta è un buco da 1.5 miliardi di euro2, un processo per falso ideologico per il sindaco-manager e l’inchiesta aperta presso la procura di Como sulla piastra, l’appalto principale del sito espositivo. Oltre al brutto pasticciaccio del trasferimento delle facoltà scientifiche di Città Studi nel sedime abbandonato, per coprire il vuoto di idee e di progetti.

A Milano il potere è fondiario, finanziario e immobiliare. Le Olimpiadi invernali indurranno l’afflusso di una gran quantità di capitali, pubblici e privati, dal resto del paese e a livello internazionale (ad integrazione del già costante afflusso attuale) con i legittimi sospetti riguardo quanti di questi andranno ad alimentare i canali della corruzione e del clientelismo della borghesia mafiosa del nord. La trasformazione territoriale e di spartizione dei diritti edificatori, con l’inevitabile portato di governance autoritaria e da stato d’eccezione già sperimentata in città, andranno ad accelerare le grandi trasformazioni urbane e inasprire contraddizioni sociali già gravi. In prima battuta, la questione della casa e dell’abitare, ridotto sempre più a diritto su accesso, tra housing sociale, air bnb, svendita e svuotamento dell’Edilizia Residenziale Pubblica.

In secondo luogo il divario sempre maggiore tra rendita immobiliare e redditi, i primi in crescita vertiginosa – come testimonia anche l’euforia cocainomane di Piazza Affari – mentre i secondi bloccati e precarizzati. Divario che si rispecchia anche nella stratificazione urbana e sociale: con buona pace della propaganda integrazionista della Città Metropolitana, le aree della città e della metropoli sono tutt’altro che integrate, dal punto di vista lavorativo, culturale, sociale e ambientale – a cominciare dalla qualità dell’aria e dallo spostamento della congestione del traffico sempre più verso l’hinterland.

Il paese reale esiste e va in tutt’altra direzione, nonostante i milano-ottimisti. O forse va nella stessa direzione dei milano-ottimisti? Non ci sfugge l’assenza non diciamo di opposizione ma quanto meno di critica anche solo accennata nel dibattito pubblico. Se da un punto di vista economico, sociale ed ambientale i mega eventi si configurano come mega buchi, dal punto di vista della propaganda politica e della valorizzazione dell’immagine tout court han dimostrato di tenere abbondantemente, almeno in questo paese. Il nazionalpopulismo in quota Lega, così come i promotori del brand “Milano Città-Stato”, stanno già cavalcando (pur con toni talvolta divergenti) le Olimpiadi che si terranno tra 7 lunghi anni. A chi si colloca fuori da questa dicotomia il compito di monitorare, aprire crepe, tessere relazioni all’ombra della grande spartizione, che ci vorrebbe sorridenti e performanti come la delegazione tricolore di Losanna.

 

L’autore fa parte di Lab. Off Topic, Milano

1) Dati estrapolati dal pieghevole che abbiamo autoprodotto a inizio 2019 e che potete scaricare qui

2) Marco Maroni, Quel che resta di Expo: amici, arresti e un buco da 1,5 miliardi, Il fatto quotidiano, 25 giugno 2019