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EUROPA

Immensa manifestazione in Grecia: verità e giustizia per la strage di Tempe

Il caso di Tempe, come quello di Novi Sad, mette in evidenza come le infrastrutture, in quanto grandi opere che attirano capitali e interessi, sono sempre dispositivi altamente politici. Come si è arrivati alla più grande manifestazione nella storia della Grecia, lo scorso 28 febbraio?

Il 28 febbraio scorso, per le strade di ogni città, paese, persino isola della Grecia e in molti altri luoghi nel mondo le persone sono scese in strada in massa. È stata la più grande manifestazione della storia del paese, un po’ come quelle che in questi giorni stanno riempiendo le strade di Belgrado, di Novi Sad e della Serbia tutta. Curiosamente, c’è un filo rosso che unisce queste grandi mobilitazioni e che potremmo chiamare “ingiustizia infrastrutturale”.

Il 1° novembre 2024, la copertura in cemento della stazione ferroviaria principale di Novi Sad, infatti, è crollata sul marciapiede sottostante, affollato di passanti, causando la morte di 15 persone e il ferimento grave di altre due. Da allora, soprattutto gli studenti serbi si sono organizzati e hanno portato avanti una serie di manifestazioni, iniziative e cortei che hanno avuto la capacità di mettere in luce le profonde relazioni che questo incidente aveva con lo stato di grande corruzione del governo di Aleksandar Vucic e, proprio qualche giorno fa, sono scese in strada 325.000 persone nella sola Belgrado.

La strage di Tempe

In Grecia, invece, alle 23.21 della sera del 28 febbraio 2023, un treno passeggeri InterCity che correva alla velocità di 160 km/h verso Salonicco si è scontrato frontalmente con un merci che proseguiva in direzione opposta a 100 km/h, in prossimità della Valle di Tempe, vicino a Larissa.

L’impatto ha generato un calore che ha letteralmente sciolto l’acciaio dei vagoni, diversi dei quali si sono letteralmente disintegrati. Sono morte 57 persone. È stato uno degli incidenti ferroviari più gravi della storia europea dei trasporti su rotaia.

Nelle ore immediatamente successive, a una dimissione formale del ministro delle infrastrutture e dei trasporti Konstantinos Karamanlis (che è stato comunque rieletto come parlamentare nella circoscrizione di Serres e siede tuttora in parlamento ) è seguito l’arresto del capostazione di Larissa, identificato dal governo come unico colpevole dell’errore umano che ha causato l’incidente.

In realtà, nonostante una spesa di 460 milioni di euro tra il 2009 e il 2013 e nove diversi contratti, nelle infrastrutture ferroviarie greche mancano i telecomandi indispensabili agli scambiatori e al funzionamento ordinario delle linee, obbligando il personale a comunicare attraverso i propri telefoni cellulari e attivando tutto manualmente, e nessun sistema di segnalazione è stato mai installato nei punti critici della linea, come nella Valle di Tempe.

Sino al 2017, anno della privatizzazione delle ferrovie greche, durante gli anni del governo Syriza, come parte delle riforme imposte dalla Troika durante i dolorosi anni della crisi economica, quando Ferrovie Italiane si è assicurato il monopolio del trasporto merci e passeggeri comprando TrainOse per circa 50 milioni di euro, il trasporto su rotaia da e verso Salonicco poteva contare su un paio di treni al giorno che ci mettevano parecchie ore (si era soliti dire “una notte”) per connettere le due città.

La situazione di estrema fatiscenza dell’infrastruttura, sulla quale correvano e corrono convogli di treni ad alta velocità in dismissione, che Ferrovie Italiane ha comprato dalla Svizzera, era per altro stata denunciata pochissimi giorni prima dell’incidente di Tempe, il 24 febbraio, dal sindacato nazionale dei ferrovieri greci attraverso un comunicato che dichiarava a chiare lettere come «la politica delle privatizzazioni concepita e attuata da tutti i governi, specialmente dalla crisi in poi, ha decisamente peggiorato le condizioni della rete ferroviaria» e che «lo stato di profonda incuria in cui versa tutto il comparto, sia per quanto riguarda i mezzi che il personale», avendo sistemi di sicurezza obsoleti di trent’anni prima e non avendo alcun turnover delle assunzioni dal 1985, metteva in grande pericolo la sicurezza di viaggiatori e personale.

Non solo questo appello è caduto nel vuoto, ma durante un’interrogazione parlamentare su questo tema, il ministro dei trasporti aveva preso a male parole il sindacato che aveva insinuato che ci fosse una questione di sicurezza sulla linea.

Come si è arrivati al 28 febbraio?

Ma cerchiamo di fare un po’ di ordine per capire come si è arrivati alla grande giornata del 28 febbraio e come mai migliaia di greche e di greci continuano a scendere in strada per chiedere verità e giustizia per il tragico incidente, in manifestazioni dalle pratiche variegate, ma sempre più decise nei propri obiettivi. Si chiedono infatti le dimissioni del governo il quale, a sua volta, dopo un recente rimpasto, sembra sempre più in crisi, ma anche caparbiamente risoluto a non mollare.

Nel 2014, OSE (la compagnia dei trasporti ferroviari greci) ha firmato un appalto, il Contratto 717, della durata di due anni con le aziende TOMI AVETE e la francese Alstrom per l’installazione del Sistema Europeo di Controllo dei Treni (ETCS) e la sostituzione del vecchio e obsoleto sistema di segnalazione e telecomando sulla linea Atene-Salonicco. Secondo il ministro dei trasporti salito al posto di Karamanlis, Christos Staikouras,  i sistemi al momento dell’incidente erano operativi, ma a causa del ciclone Daniel del settembre 2023 sarebbe ora operativo solo all’80%. Questo è stato smentito, non solo dagli operai e dai lavoratori delle ferrovie, ma anche dai giornalisti di Reporter United, che in un loro accurato reportage hanno mostrato come il contratto 717 non sia mai stato adempiuto e che, se questi sistemi di telecontrollo fossero stati funzionanti, il disastro di Tempe non sarebbe mai avvenuto.

Il giorno successivo all’incidente, sono stati posti alcuni supporti per permettere alle gru di operare sul luogo dell’incidente. Solo quattro giorni dopo l’incidente, a seguito di una riunione speciale a cui pare abbiano partecipato il capo della protezione civile Christos Tryantopoulos (ora dimessosi), il segretario generale del ministero dei trasporti, con delega ai trasporto Yiannis Ksifaras (ora deposto) e il governatore di Nea Dimokratia, il partito di governo, della Tessaglia Kostas Agorastos (che non è stato rieletto, perdendo alle elezioni del dicembre 2023 contro il candidato del centro-sinistra), viene dato l’ordine di un totale livellamento dell’area, con l’apporto di detriti e cemento che ha comportato il letterale insabbiamento delle indagini, dato che la scena dell’incidente è stata in questo modo completamente compromessa.

Questo è un punto di assoluto rilievo, perché le responsabilità di questa decisione vengono rimpallate da mesi tra i soggetti che hanno partecipato a quella riunione. Questo è un dettaglio da tenere a mente perchè, come vedremo, i periti di parte delle famiglie delle vittime e dei sopravvissuti, mostreranno che la grande esplosione che si vede nel video dell’incidente, sarebbe incongrua con il materiale che trasportava il treno merci (lamiere di ferro) e con la quantità di benzina che può essere fuoriuscita dai treni nell’impatto.

Qualunque fosse il materiale infiammabile che era evidentemente presente sul luogo dell’incidente, questo insabbiamento ha reso impossibile identificarlo. Inoltre, dai video recentemente pubblicati di quel giorno, si evince che i lavori sono avvenuti quando ancora sul terreno si trovavano effetti personali delle vittime e alcuni resti umani.

Le prime indagini condotte dai vigili del fuoco hanno attribuito agli oli siliconici contenuti nei motori dei treni la grande esplosione che si vede nei video dell’incidente. Tuttavia, come abbiamo già detto, i periti di parte dei Politecnici hanno stabilito l’incongruenza di questa ricostruzione. Sulla base delle loro ricostruzioni presentate a gennaio 2025 al giudice d’appello istruttore di Larissa, la morte di circa 30 passeggeri, sopravvissuti all’impatto, è avvenuta successivamente a causa dell’accensione di liquidi infiammabili trasportati dal treno merci. I periti, infatti, sincronizzando i tempi dell’impatto con quelli di alcune chiamate al pronto intervento effettuate da passeggeri nel treno, hanno mostrato che diversi di coloro i quali sono stati trovati morti sul luogo dell’incidente erano ancora vivi alcuni minuti dopo lo scontro. Nel video le persone riferiscono di non riuscire a respirare, di non avere ossigeno (den exoume oxigono).

La pubblicazione del video ha scatenato la rabbia e il risentimento dell’opinione pubblica e, proprio con lo slogan Den Exoume Oxigono, è stata chiamata una prima, massiccia manifestazione per il 26 gennaio dal comitato dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime, alla quale è seguita il 7 di febbraio una grande chiamata studentesca.

Nel frattempo, il governo ha tacciato come “teorie del complotto” le ricostruzioni dei periti delle famiglie e dei sopravvissuti; il presidente del consiglio Kyriakos Mitsotakis ha candidamente detto, durante una sua conferenza stampa, che il governo non è tenuto a sapere cosa viaggi sulla sua rete ferroviaria, mentre il ministro della salute Adonis Giorgiads ha attaccato direttamente i familiari delle vittime e i sopravvissuti, accusandoli di voler montare un polverone solo per ottenere più soldi dagli indennizzi dell’incidente.

Per altro, è emerso che la società che gestiva (e gestisce ancora) i servizi di trasporto, Hellenic Train (quindi Ferrovie Italiane) non ha mai rimborsato le famiglie di coloro che sono morti nel servizio catering del treno intercity perché, essendo sprovvisti di biglietto, non sono ritenuti passeggeri.

Dopo qualche giorno, nelle prime settimane di febbraio, l’avvocato della società di sicurezza del sistema ferroviario ha inviato al giudice d’appello istruttore tre nuovi video, che mostrano quello che sarebbe il treno merci poco prima della collisione. Ma qui sorge un’altra serie di problemi: già nel 2023, su richiesta dei familiari delle vittime, il giudice d’appello aveva chiesto i dischi rigidi contenenti i video che mostrassero il carico del treno merci. Tuttavia, l’OSE e la società di sicurezza incaricata di vigilare sul sistema ferroviario avevano inviato, e con grande ritardo, i video sbagliati (provenienti dalla stazione passeggeri e non dal terminal merci). Questo aveva comportato, a detta degli esperti, la sovrascrizione dei video utili con nuovo materiale.

Da dove venivano quindi fuori, questi nuovi video, in cui il treno a pochi minuti dall’impatto sembrava essere regolarmente caricato con le sole lamiere metalliche? Il giudice ha nominato due periti per valutare l’autenticità del video, che tuttavia non sono stati in grado di determinarlo contro ogni ragionevole dubbio, ma è opinione piuttosto diffusa, tuttora, che qualcosa non torni con questi video. E questo non ha fatto che fomentare maggiormente l’indignazione della popolazione greca.

In questo clima di crescente rabbia popolare, che non aveva colore politico, il governo ha continuato a mantenere un atteggiamento reticente e accusatorio nei confronti dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime, arrivando ad avallare la diffusione di fake news circa la portavoce del comitato, Maria Karystianou, accusata falsamente di aver perso anni prima la patria potestà sui figli, una dei quali è una vittima del tragico incidente.

Oltre un milione in piazza

È questo montante sentimento di ingiustizia che il 28 febbraio, per la commemorazione pubblica dei due anni dalla strage, ha portato in piazza ben oltre un milione di persone in quella che, a detta di tutti, è stata la manifestazione più grande della storia recente del paese. Da parte sua, la posizione del governo anche in questo caso si è dimostrata ambigua: da un lato ha espresso a parole vicinanza ai famigliari delle vittime, salvo poi diffondere volantini che riproducevano esattamente la grafica della chiamata alla manifestazione, ma alterandone i contenuti, invitando a non partecipare a una manifestazione «strumentale» e aspettare invece che «la giustizia facesse il suo corso» Questo tipo di inviti, invece, non sono stati ascoltati: le folle oceaniche delle tante manifestazioni e cortei hanno invece mostrato la volontà della gente di esserci in questo importante momento storico.

È importante sottolineare, a tale proposito, che sarebbe assolutamente riduttivo circoscrivere politicamente questo momento. La strage ferroviaria di Tempe, infatti, è vissuta dall’opinione pubblica greca come una grande e dolorosa ferita che riguarda potenzialmente i figli di chiunque, la famiglia di chiunque. Le grandi manifestazioni del 28 febbraio, sono così state partecipate anche da persone che avevano pochissima, quando non nessuna, esperienza di piazza e questo è stato un elemento centrale rispetto alla narrazione successiva e alla gestione dell’ordine pubblico.

Immediatamente dopo la fine dei comizi dal palco, da parte dei famigliari delle vittime e dei sopravvissuti e dopo il collegamento con Larissa dove era in corso una commemorazione religiosa per le vittime della strage, sono cominciati gli scontri. Il coro cadenzato di “Mitsotaki gamiesai” (Mitsotaki fottiti), diverse persone hanno cominciato a tirare bottiglie incendiarie e altri oggetti verso i reparti antisommossa schierati alla sinistra del parlamento.

È stato in qualche modo un momento catartico, previsto un po’ da tutti e che ha dato espressione alla parte della piazza, specie quella formata dai più giovani, che da due anni ascoltano le bugie e le omissioni del governo greco, letteralmente sulle loro vite.

Un elemento infatti che non è indifferente ricordare è che la maggior parte dei morti della strage di Tempe erano giovanissimi che si spostavano tra le due maggiori città greche, Atene e Salonicco, per il ponte di carnevale, chi per andare a trovare le famiglie e gli amici, chi in viaggio verso la propria sede universitaria.

Il senso di immedesimazione e la forte sensazione di fatalità che questa tragedia ha messo a nudo era già emersa chiaramente qualche giorno dopo l’incidente, quando nelle interviste ai superstiti, diversi di loro avevano riferito di aver sentito dalle ricetrasmittenti dei ferrovieri la frase «pame kai opou vgei» («andiamo e sia quel che sia»), mostrando che anche agli operatori ferroviari era perfettamente chiaro il rischio derivante dalla fatiscenza della rete ferroviaria e che ci fosse, quindi, la possibilità di un incidente. È proprio questa condizione di assoluta insicurezza, prodotta materialmente e psicologicamente dalla crisi, che si è condensata nello slogan di quei giorni «apo tyxi zoume» («siamo vivi per caso»).

Ingiustizie infrastrutturali

Il caso di Tempe, come quello di Novi Sad, è in questo senso paradigmatico, perché mette in evidenza come le infrastrutture, in quanto grandi opere che attirano capitali e interessi, spesso incongruenti con la vita e la sicurezza delle persone, non sono mai artefatti neutrali, ma sono, al contrario, sempre dispositivi altamente politici. Il filosofo camerunense Achille Mbembe definisce necropolitica, il potere sovrano di esporre le persone a rischi mortali e alla morte (Mbembe 2019), qualcosa che avviene comunemente nella gestione topdown delle crisi e che, spesso, prende letteralmente corpo nella costruzione e nel funzionamento delle grandi infrastrutture.

È proprio per questo che il disastro di Tempe e quello di Novi Sad  segnano un punto di non ritorno nel modo in cui si percepiscono le infrastrutture, perché hanno reso evidenti e “materiali” i nessi profondi tra la loro gestione e funzionamento, invischiati come sono in scale di potere estremamente varie e con la nuda vita (Agamben, 1995) delle persone. Proprio per questo, per altro, le narrazioni pacificatrici e i tentativi di distinguere, all’interno del grande corteo del 28 febbraio, i “buoni manifestanti” da quelli violenti sono perniciosi e pericolosi.

Quando ancora la polizia caricava indistintamente i manifestanti, infatti, causando il panico e rischiando, in una piazza così densamente attraversata, che le persone letteralmente si schiacciassero tra di loro, si è diffusa l’opinione che a causare gli scontri, che avevano poi innescato la risposta (comunque giudicata assolutamente inadeguata) delle forze dell’ordine, fossero poliziotti infiltrati.

Se da un lato questa convinzione ha circolato soprattutto attraverso chi, da sinistra, intendeva smarcare le “buone intenzioni” della manifestazione dalle pratiche violente di una sua parte, dall’altra questo discorso si è rivelato estremamente paternalistico nei confronti di una componente, seppur forse minoritaria, della piazza che ha trovato questo modo per esprimere la sua rabbia.

Il rischio più grosso di questo tipo di narrazioni, infatti, è precisamente quello di fare il gioco del governo, nel suo tentativo di trovare una versione non destabilizzante delle proteste per Tempe, che le riconduca all’alveo della mera commemorazione funebre.

A tal proposito, ha senso riportare per intero il commento che l’antropologo Nikòlas Kosmatopoulos ha affidato alle sue pagine social, e poi ripubblicato dal blog info-war.gr del giornalista Aris Chatzistefanou:

«La rinuncia alla violenza politica come mezzo di liberazione da parte di alcuni settori della sinistra, in cambio della loro accettazione da parte del sistema borghese, ha come risultato il vedere ovunque agenti infiltrati all’interno del movimento, così come il non “vedere” i movimenti di liberazione violenti del Sud Globale come solidali, “vicini” e spesso più avanzati – politicamente e strategicamente – rispetto a loro. Tuttavia, per tutte le altre forze, la questione ormai è come questo tema possa trasformarsi da tabù a punto di discussione interna, organizzazione collettiva e strategia mirata, affinché non si esaurisca in riflessi individualistici.

Un governo che ha perso ogni credibilità e sostegno politico ricorre alla violenza della polizia come ultima linea di difesa. E in questo contesto, è molto probabile che inserisca i propri agenti tra le fila dei manifestanti che si scontrano. Ma non è una novità. Questo accadeva già ai tempi dei Bolscevichi e delle Pantere Nere. Ciò che ora è necessario è una violenza politica efficace. Scioperi, occupazioni, scontri. Altrimenti, il governo fa finta di nulla (definendo le manifestazioni di rabbia collettiva come “cerimonie commemorative”) e investe nella teoria della provocazione per delegittimare la resistenza e guadagnare terreno. Una risposta di massa, organizzata ed efficace alla violenza governativa può diventare la scintilla del crollo, purché avvenga secondo principi di azione collettiva, autodifesa e obiettivi politici».

Al momento, dopo un rimpasto di governo che è sembrata l’ennesima beffa del governo ai suoi cittadini, le grandi mobilitazioni per la strage di Tempi non sono finite e lo stesso pare succedere in Serbia.

La grande pervicacia e la forte volontà di non lasciare il terreno alla morte e alla rassegnazione viene mostrata ogni volta che, dopo essere disperse con cariche e lacrimogeni, le persone tornano, ancora ed ancora, sul luogo delle manifestazioni, spesso fino a notte fonda. Che queste mobilitazioni siano l’inizio di una nuova era, di una nuova consapevolezza e di una nuova forza.

Immagine di copertina e nell’articolo di Romanos Lioutas, che ringraziamo per la gentile concessione.

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