MONDO

Meloni ospite d’onore al Raisina Dialogue in India

Giorgia Meloni in India per il Raisina Dialogue, in concomitanza con il G20.
I due premier si accordano per stipulare collaborazioni, in particolare nel campo militare, facendo riferimento alla sicurezza dei confini

Il Raisina Dialogue – incontro annuale di politica internazionale – organizzato dal Ministero degli Esteri indiano, quest’anno assume una inedita centralità dal punto di vista globale, per la concomitanza con il G20, e strettamente nazionale per l’Italia, data la presenza della premier Giorgia Meloni come ospite d’onore.

Rispetto al primo evento, assistiamo a un G20 di fatto allargato capeggiato del Primo Ministro indiano Modi, il quale si è eretto a portavoce delle istanze dei paesi del sud globale all’interno della conferenza. Un’ambizione esplicitata il 12 gennaio durante il summit del Sud globale nel discorso di Modi. Le parole d’ordine «One earth, One family, One future» sono l’orizzonte in cui si muove la politica internazionale del Governo indiano: «Questo è in linea con il nostro ethos di civiltà. Crediamo che la strada per realizzare l’unità passi attraverso uno sviluppo incentrato sull’uomo. I popoli del Sud globale non devono più essere esclusi dai frutti dello sviluppo». Su questi assi si instaura la volontà di affermare l’India come potenza geopolitica mondiale, un tentativo di contendere la leadership emergente della Cina in questa lunga transizione egemonica al cui solo inizio stiamo assistendo.

Durante questa prima giornata dell’incontro internazionale abbiamo un’interlocuzione diplomatica fra gli attori protagonisti di alcuni attriti globali, come gli incontri tra Blinken e Lavrov per quel che riguarda la dimensione globale, e tra il Ministro degli Esteri indiano Jaishankar ed il suo corrispettivo cinese Qin Gang per quel che riguarda la regione del Sud-est asiatico. A questi due si sono aggiunti molteplici altri incontri che hanno visto i vari ministri del subcontinente indiano come protagonisti.

Sul fronte della diplomazia internazionale si assiste al consolidarsi dello squilibrio politico globale. La mancata presa di posizione unitaria sulla guerra in Ucraina da parte dei Ministri degli Esteri del G20 ne è la più lampante testimonianza.

Da questo G20 si esce fuori solo con una dichiarazione in cui si prende atto delle posizioni comuni dei paesi sui temi del rafforzamento del multilateralismo, la promozione della sicurezza alimentare ed energetica, cambiamento climatico, questione di genere e contrasto al terrorismo. D’altronde la posizione rispecchia la confusa visione del Governo Indiano e della parte politica della destra hindu-nazionalista che lo sostiene. Dalle colonne della rivista “The Organiser”, rivista afferente all’area politica del BJP – partito di governo indiano –, si afferma la comunanza di interessi con gli USA sulla sicurezza nell’area indo-pacifica con l’accordo “Quad” ma una sostanziale divergenza di visioni sull’area eurasiatica con questi ultimi: continuazione degli accordi economici con sulle fonti d’energia fossile e continuazione delle partnership riguardante il rifornimento di armi con la Russia, infine proseguimento degli sforzi per arrivare a una pace in Ucraina. Una posizione confusa che mira a consolidare gli interessi nazionali indiani e alla garanzia del suo sviluppo economico.

In contemporanea con l’evento diplomatico si muove il Raisina dialogue, che mostrano una prospettiva più strettamente politica. Gli inviti ad attori internazionali di primo piano della politica internazionale – tra cui vari ministri degli esteri –, esponenti del mondo della finanza come Bill Gates ed esponenti politici di primo piano come l’ex-segretario NATO Rasmussen e la premier italiana Giorgia Meloni.

L’evento finanziato da multinazionali di primo piano come Shell, MasterCard, Lockheed Martin, Microsoft, Meta e i Governi inglesi ed australiano. L’evento chiamato “Provocation, Uncertainty, Turbulence: Lighthouse In The Tempest?” ha l’ambizione di affrontare le sfide del nostro tempo, coincidenti con quelle entro cui si muove la dichiarazione dei ministri degli esteri del G20, e di ridisegnare le istituzioni garanti dell’ordine mondiale in modo multipolare, inclusivo verso i paesi del sud del mondo e con attenzione sui confini labili della contemporaneità. L’affermazione presente nell’introduzione alla presentazione dell’opuscolo del Raisina dialogue parte dall’assunto della necessità di fondare nuove istituzioni globali perché quelle attualmente esistenti sono incapaci di rispondere al disordine del nostro tempo: «Stiamo assistendo a una nuova fragilità dei nostri sistemi economici a cui le istituzioni del Club di Parigi e di Bretton Woods non sono in grado di rispondere adeguatamente, mettendo in dubbio la loro pertinenza e rendendo ancora più evidente la necessità di riforme».

C’è inoltre l’esigenza di controbilanciare il crescente ruolo egemonico della Repubblica Popolare Cinese: «Anche le sfide legate all’eredità non sono diminuite. Nello Stretto di Taiwan, l’acuirsi delle tensioni è il risultato della riscrittura della storia da parte di un regime espansionistico di Pechino, ossessionato dal disegnare la mappa dell’Asia a suo piacimento. Una nuova muscolarità si unisce all’eredità per alterare la natura della crisi e di qualsiasi risposta a essa». Assieme a questo, anche l’iconografia – un faro nel mezzo della tempesta – ed il titolo restituiscono la centralità data all’esigenza di instaurare un dominio dei mari, fonte di preoccupazioni per la labilità alle catene del valore globale e nuovo orizzonte di conquista per l’ottenimento di un ruolo rilevante nella politica internazionale.

Perché il Raisina dialogue ci riguarda

Assieme al G20, assistiamo alla prima visita ufficiale dopo cinque anni di una Presidente del Consiglio italiano al proprio corrispettivo indiano. La giornata si è aperta con l’incontro bilaterale tra i due premier, all’interno del quale Meloni ha affermato il ruolo centrale dell’attuale presidente del G20 nella facilitazione dei negoziati per la cessazione delle ostilità in Ucraina dato dall’«efficace ruolo di rappresentanza del sud globale» attribuito all’India nell’ultimo anno. A queste dichiarazioni, Modi ha rilanciato ponendo sul piatto il presunto sforzo diplomatico indiano sul conflitto e come questa guerra stia affliggendo con maggior prepotenza il sud globale con l’incremento dell’inflazione che sta colpendo cibo, fertilizzanti e combustibili.

Il vero focus dell’evento tra i due premier è invece un altro: il nuovo capitolo della collaborazione e coproduzione, ora strategica, tra i due Stati. I settori maggiormente tirati in ballo sono quelli della collaborazione militare tra le forze armate dei due Stati – con particolar accento sulla sicurezza dei confini e dell’anti-terrorismo –, energie rinnovabili, idrogeno verde, tecnologie informatiche, telecomunicazioni, ricerca aerospaziale e semiconduttori – settori non di secondo piano data la situazione attuale globale in cui le direttrici del commercio globale si vanno ristrutturando con velocità esponenziale dall’inizio della pandemia. Per quel che riguarda la partita della transizione energetica la cooperazione verte tutta sull’assicurarsi accordi privilegiati con l’India, che ha la volontà di sostituirsi alla Cina nel ruolo di fabbrica globale. I movimenti di delocalizzazione della produzione di Foxcoon e Apple sono esemplificativi dei nuovi nodi della produzione globale, mentre i massicci investimenti del trust Adani sulla produzione dei mezzi di produzione dell’energia rinnovabile – sotto la lente  dei mercati globali per sospette manovre illecite nel mercato finanziario – rivestono un ruolo di primo piano sul mercato internazionale.

Invece, uno dei maggiori effetti imprevisti e di ricaduta diretta sull’India della guerra in Ucraina è quello delle importazioni di armi dalla Russia, principale fornitore per le forze armate indiane. In questa fase di ristrutturazione delle rotte commerciali globali e di riarmo generalizzato gli accordi per la produzione di armi in India va a sostanziare l’ipotesi di collaborazione strategica centrata sul rafforzamento del commercio di armi dall’Italia all’india, dato l’impegno di guerre a bassa intensità su più fronti – nella regione militarizzata del Kashmir e sulla linea di controllo su cui si gioca un conflitto in via di escalation  a colpi di mazze tra eserciti cinesi e indiani. Fattori di riarmo che vanno a incidere sostanziosamente sull’impegno dei due Stati per la governance internazionale degli oceani e dei mari e il rafforzamento delle operazioni delle marine militari nell’ambito delle operazioni ATLANTA. Più che un accordo, una coincidenza di visioni sul governo delle migrazioni e le prassi di criminalizzazione e detenzione dei migranti

Nel pomeriggio è iniziato il Raisina dialogue, il cui discorso d’apertura è stato affidato alla premier Meloni. Un discorso lungo e pienamente politico, orientato alle prospettive internazionali dell’Italia a partire dall’identità («Osservando gli eventi attorno a noi, la nostra identità configura quello che siamo sia come individui sia come nazioni»), dalla geografia («L’identità viene formata dalla geografia. [..] la geografia ha formato la nostra cultura, la nostra crescita come civiltà») e dalla storia dei due imperi le cui radici rinvenute in un lontano passato devono essere conservate attraverso il rafforzamento dell’identità nazionale. Le analogie tra storia e ricchezza si fondano nella comunanza di interessi delle due “penisole” entro cui si formano le radici delle storie degli Stati eredi degli imperi, in cui si afferma la proiezione e la loro connessione globale.

Meloni, arriva a ipotizzare la proiezione del Mediterraneo come estensione politica dell’Atlantico e valvola di connessione economica della civiltà indo-pacifica in Europa[1]. La centralità del mare, del governo di esso non è solamente retorica: è presupposto teorico dell’azione di governo dei confini, estensione della sovranità, piano di sviluppo della penisola italiana come polo di approvvigionamento energetico, logistico e commerciale e possibilità di costruzione di un’identità che si vuole imperiale.

La chiusura, che riprende il titolo dell’evento, è un inno alla restaurazione delle nazioni identitarie: «tutte le nazioni possono essere un faro con l’orgoglio delle sue tradizioni e della sua identità, che qualcuno vorrebbe dimenticare o nascondere; ma noi non siamo nessuno senza le nostre radici. I nostri diritti e la capacità che abbiamo di riconoscerli dipendono dalla nostra tradizione. Chi vuole cancellare la nostra tradizione, la nostra identità, vuole cancellare i nostri diritti. Quindi è un’importante lotta quella che affrontiamo in tutto il mondo e so che su questo noi siamo d’accordo e abbiamo lo stesso punto di vista. I fari non si oscurano gli uni con gli altri ma possono illuminare insieme tutti noi, in modo da farci navigare insieme in queste acque agitate».

 In queste acque non c’è luce e nemmeno pace, solo morte e appalti a guerrafondai della sicurezza dei confini. Dalla visita nella capitale indiana, la premier porta a casa accordi bilaterali di partnership strategica ma soprattutto un alleato schierato sulle sue stesse posizioni ideologiche sui temi di identità, nazione e difesa dei confini, nonché sulle politiche globali anti-cinesi allineate al blocco egemonico a trazione USA.


[1] «Da secoli le nostre coste marittime hanno guardato verso sud e il Mediterraneo che resta il nostro vicino naturale con cui continuiamo a costruire rapporti reciprocamente vantaggiosi. Questo è lo spirito intessuto nella nostra visione e questo vale anche per il piano per tutti i paesi africani con la loro crescente popolazione, con le sfide e le opportunità, una regione vasta che possiede anche le risorse a partire dall’energia che è determinante per l’Europa, ma che prima di tutto deve andare a vantaggio di coloro che sono proprietari di questi beni. I nostri obiettivi sono semplici: assicurare prosperità, pace, un’amicizia durevole attraverso una collaborazione su basi egualitarie».

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