MONDO
Megaprogetti in Messico: progresso per chi? E qual è il futuro dei giovani?
La Carovana El Sur Resiste si è conclusa con l’arrivo a San Cristobal de las Casas, Chiapas con una due giorni di incontro internazionale al CIDECI-UNITIERRA, Centro Indigena de Capacitación Integral
Durante la carovana abbiamo incontrato diverse comunità e organizzazioni in resistenza in otto Stati del sud e sud-est messicano. La carovana, composta da membri di comunità in lotta e da una rappresentanza del Congreso Nacional Indigena,è stata accompagnata da una nutrita delegazione internazionalista. Attraverso il lavoro di comunicazione, di registro audiovisivo, interviste e questionari, e degli osservatori dei diritti umani, la delegazione solidale si è data il compito di amplificare le voci e le denunce delle comunità.
Le numerose comunità in lotta hanno in comune varie rivendicazione fra cui il diritto a poter decidere sulle proprie terre, ad avere accesso all’acqua e all’aria pulite, a bollette della luce a prezzi giusti e al “buen vivir” nei loro territori. Il progetto del Corredor Interoceánico e del Tren Maya violeranno questi diritti e trasformeranno radicalmente gli equilibri sociali ed ecologici delle comunità.
A Puente Madera, Oaxaca, abbiamo visitato El Pitayal, un’area boschiva di 360 ettari che è stata destinata dal governo alla costruzione di uno dei 10 parchi industriali del megaprogetto del Corredor. La distruzione di quest’area, che da sempre è utilizzata dalla comunità per procurarsi legna, sarà devastante sia per le popolazioni che per il bosco e la sua biodiversità.
A Mogoñe Viejo, sempre in Oaxaca, le comunità locali stanno portando avanti da più di due mesi il presidio permanente Tierra y Libertad, che ha momentaneamente interrotto la costruzione della ferrovia del Corredor Interoceánico. Un presidio che è sotto continuo attacco da parte della marina militare messicana, che ha compiuto una retata proprio il giorno dopo il passaggio della carovana.
Nello stato di Veracruz la comunità di Oteapan si è organizzata in gruppi di autodifesa popolare per proteggersi da narcos e dalla polizia statale e per difendere il territorio dalla costruzione di una nuova discarica e dall’allargamento di una miniera.
A Candelaria, in Campeche, i lavori in stato avanzato del Tren Maya hanno causato la parziale cementificazione del fiume che passa in città, che potrebbe esondare con l’imminente arrivo delle piogge.
Sempre sul tracciato del Tren Maya, a Felipe Carrillo Puerto abbiamo visto la devastante deforestazione della selva per far posto ai binari.
Anche nello Yucatan e Quintana Roo, due Stati in cui il turismo di massa impone enormi resort e la privatizzazione della costa, la costruzione della ferrovia sta causando effetti devastanti come la cementificazione dei cenotes, bacini idrici di origine carsica.
Infine, in Chiapas il treno devasterà la selva e aumenterà il grado di militarizzazione di tutto lo Stato, incrementando l’intensità della guerra in corso contro i popoli originari e le comunità zapatiste.
In questo contesto, la sfida delle organizzazioni e delle comunità è coinvolgere le nuove generazioni nella lotta per la difesa del territorio. Sfida legata alla riproduzione delle lotte, alla trasmissione di memoria, alla dura resistenza contro la guerra di distruzione dei popoli originari. Come? Attraverso l’arte, la musica, la trasmissione di saperi teorico-pratici e l’educazione popolare. Abbiamo intervistato L. e C. dello stato di Veracruz, K. del comune di Xpujil, Campeche, A. e E. di Oaxaca, giovani delle comunità e delle organizzazioni del sud messicano. Abbiamo creato questo spazio affinché si potessero raccontare, con preoccupazioni, desideri, lotte. Percorrendo chilometri e chilometri fianco a fianco abbiamo avuto modo di affrontare il tema con loro, a partire dalla scelta tra migrare alla ricerca di un lavoro salariato iper precarizzato o restare in un territorio sotto attacco.
Qual è l’analisi delle giovani e dei giovani delle organizzazioni comunitarie sul proprio presente nel contesto della costruzione dei megaprogetti?
L. del collettivo Altepee di Veracruz racconta di come la conquista neocoloniale delle terre passi attraverso un processo di spopolamento forzato: «la vita si è fatta difficile nella regione in cui siamo a causa della violenza sistematica anche del crimine organizzato. Il clima è duro così come le condizioni di vita, a partire dai salari bassi. Sembra fatto di proposito, così che le persone vadano a lavorare sulla riviera caraibica e ci sia uno sradicamento identitario, culturale. Ovvero una separazione dalla terra e dalle pratiche di vita tradizionali che permettevano ci fosse un certo equilibrio e un certo rispetto verso la natura, una gestione delle risorse più equa».
C. in lotta contro il Tren Maya nella tratta 7 nello Stato di Campeche racconta che «sfortunatamente le comunità hanno subito un processo di abbandono delle tradizioni contadine. I giovani oggi scelgono di lasciare le comunità e pochi rimangono a fare i contadini perché questo lavoro non paga, anche se dà da mangiare, dà una certa sicurezza alimentare. Ma ora nel pensiero collettivo c’è che ricevere denaro sia la cosa importante. Ciò che osserviamo è che il sistema capitalista – neoliberale ci obbliga a lasciare le nostre comunità e che alla fine dobbiamo lavorare. Dobbiamo ricevere uno stipendio che è più facile ottenere dove apparentemente c’è progresso economico, una parola che hanno fatto passare come sinonimo di industrializzazione e inquinamento quando invece il progresso è poter convivere la natura, l’accesso all’acqua pulita e avere la libertà di prenderci cura di noi e di ciò che ci circonda».
Nelle zone interessate dall’imposizione dei megaprogetti l’offerta formativa fa da imbuto verso le industrie, sempre in Campeche:
«Quello che ci stanno raccontando i giovani stessi è che quando nelle scuole bisogna scegliere un indirizzo quello che viene offerto riguarda il megaprogetto e quindi un lavoro. I giovani ascoltano, però poiché non hanno molte conoscenze e poiché il governo è legittimato, si pensa che il megaprogetto sia buono».
Anche la compagna di Veracruz ci racconta che non c’è «nessuna scuola che faccia corsi su materie umanistiche. La maggior parte delle scuole si concentra sulle discipline ingegneristiche per promuovere l’industrializzazione della regione».
Dall’intervista fatta a una compagna di Xpujil emerge che «nelle scuole insegnano che la città è più sviluppata della campagna. I giovani cercano lavori a Playa del Carmen, a Cancun, a Tulum, i giovani migrano anche negli USA a cercare questo modo di vita che porta soldi. Sono lavori molto sfruttati in cui i soldi non bastano mai, sempre devi lavorare non puoi mai riposare, sei molto stressato, non hai contatto con la natura, e sono lavori molto pesanti molto stancanti».
I lavori informali vengono criminalizzati e resi impossibili, come nel caso della guerra ai Tricicleros, che trasportano merci e passeggeri con i loro tricicli in città. Nella piazza di Villahermosa hanno denunciato come il governo municipale imponga loro multe per cacciarli dalla città, a favore di taxi e mezzi di trasporto “più moderni”. Nel processo di gentrificazione delle città sono i poveri a rimetterci e a subire un allontanamento forzato, nella generazione di mano d’opera a basso costo per le industrie.
Emerge che l’arte spesso è il mezzo con cui chi abbiamo intervistato porta avanti il lavoro politico, avendovi trovato il proprio spazio nella lotta.
C. di Veracruz ci racconta che, con il collettivo Altepee, «attraverso la musica si cerca di informare le persone su quello che sta succedendo perché la musica trasmette messaggi e attraverso la musica possiamo arrivare a più orecchie. Il collettivo si occupa di recuperare la musica tradizionale di Veracruz, ma anche insegniamo a fare rap. Insegniamo anche a rispettare tutto quello che ci sta intorno, a prendercene cura, a registrare video, a fare trasmissioni radio».
A., compagna di Oaxaca ci racconta come l’arte sia anche un modo per avvicinare le donne con cui si porta avanti una lotta costante. «È necessario supportarsi tra donne e tentare di darci visibilità, perché siamo in lotta contro il patriarcato anche dentro le comunità, in cui dobbiamo convivere con il fatto che per tradizione la voce dell’uomo ha un valore maggiore […]. Lavoriamo con fotografia, dando corsi, dando laboratori, in modo che le donne possano integrarsi». E. che vive nella città di Oaxaca racconta che «utilizzano strumenti come la grafica, la grafica di protesta, gli stencil, la musica, il teatro, la danza e le differenti espressioni artistiche, che è ciò di cui i giovani si stanno riappropriando e riteniamo molto importante che si utilizzino».
Come in molte geografie il ricambio generazionale nelle organizzazioni politiche è un campo di conflitto. K. una compagna che milita nel Consiglio Regionale Indigeno Popolare di Xpujil ammette che «per i giovani è molto difficile prestare attenzione a cose che non interessano loro e con cui non si identificano, a cose in cui non sono inclusi, […] è difficile senza dubbio affrontare l’adultocentrismo, come è difficile immaginarsi ora come i giovani possano identificarsi con questa lotta [contro il Tren Maya], perché al momento si vedono molto marginalizzati».
Per questo il Congresso Nazionale Indigeno (CNI), che riunisce comunità, quartieri e organizzazioni indigene di tutto il Messico, sta attivamente lavorando su questo fronte. Cominciare da iniziative e percorsi che mettano al centro la gioventù e l’infanzia per lavorare sulla riproduzione delle lotte per tempo, per combattere contro lo spopolamento dei territori originari, per fermare il saccheggio dei megaprogetti.
È così che tra gli accordi su come proseguire la lotta presi dalle realtà organizzative della carovana El Sur Resiste, vi è anche l’impegno a lavorare in questo campo.