ITALIA

Mediterraneo, 800 persone in attesa di un porto sicuro

Ocean Viking e Sea Watch 3 sono state impegnate negli ultimi giorni in numerosi soccorsi e hanno ricevuto un diniego di sbarco da parte di Malta. Le autorità italiane intanto tacciono

C’è chi salva vite umane e chi omette di prestare soccorso. In questo momento, nel Mediterraneo centrale, circa 800 persone si trovano su diverse imbarcazioni di associazioni non governative, in attesa di poter giungere a terra in sicurezza, mentre molte altre sono alla deriva, col rischio di morire o di essere respinte dalla guardia costiera libica (che il nostro Parlamento ha deciso di finanziare per il quarto anno consecutivo).

La Ocean Viking di Sos Méditerranée, e la tedesca Sea Watch 3, che hanno soccorso rispettivamente 555 e 257 uomini e donne, stanno chiedendo ormai dal primo agosto un porto sicuro per sbarcare chi è a bordo, sempre più stremato dalle difficili condizioni della traversata e dal caldo.

«Negli ultimi giorni le autorità ci hanno lasciato completamente da soli», denuncia in un video pubblicato su Twitter la responsabile della sicurezza di Sea Watch 3 Clarissa. «Ci sono molti feriti e traumatizzati. Hanno bisogno di assistenza legale, medica e psicologica».

Si tratta delle stesse autorità che hanno contribuito a determinare una situazione così complessa. Da sabato a oggi, infatti, le navi delle Ong sono state impegnate in diversi salvataggi, e uno in particolare si è rivelato estremamente delicato: nella notte fra il 31 luglio e il 1 agosto, Sea Watch, Ocean Viking e la Nadir dell’associazione tedesca Rescue Ship hanno operato insieme per trarre in sicurezza 400 persone che si trovavano su una grande barca di legno che stava per affondare.

L’imbarcazione era alla deriva da due giorni, totalmente abbandonata dalla guardia costiera tunisina, nonché da quella libica che in un primo momento si era offerta di intervenire.

«Si è andati molto vicini alla strage», ci racconta la soccorritrice della Ocean Viking Fulvia Conte. «La barca era estremamente sbilanciata e sovraffollata, con un forte rischio di dispersione e annegamento delle persone visto che l’operazione si è svolta di notte e nessuno era provvisto di giubbotti prima del nostro intervento. Abbiamo portato una pompa apposita per rimuovere l’acqua e siamo riusciti a coordinarci con le altre navi per il salvataggio. Ma, da parte delle varie autorità, non c’è stato alcun aiuto».

Il fatto diventa ancora più grave se si pensa che negli ultimi giorni si stanno verificando migliaia di partenze per mare. Complice anche la situazione di instabilità che si è creata in Tunisia, infatti, sempre più imbarcazioni stanno “affollando” il Mediterraneo, soprattutto la zona Sar (Search and Rescue) fra le coste di Tunisi, di Tripoli e quelle maltesi: il due agosto l’Ong Alarm Phone ha lanciato su Twitter un allarme in cui identificava almeno cinque casi di barche a rischio di annegamento, che sono lasciate alla deriva dalle guardie costiere.

La stessa Ocean Viking, come ci conferma Fulvia Conte, nello scorso weekend è stata impegnata in ben sei operazioni di soccorso, alcune delle quali si sono svolte dopo aver individuato le situazioni critiche dal ponte della nave solo attraverso il binocolo: significa che molte delle imbarcazioni non hanno né telefoni né bussole né alcuno strumento per far conoscere la propria posizione.

Intanto, a Lampedusa si moltiplicano gli sbarchi: stando ai dati del Viminale, fra luglio e questo inizio di agosto si parla di oltre 9mila persone mentre le cronache riferiscono che l’hotspot dell’isola siciliana è «al collasso».

In un tale contesto, la mancanza di risposta e coordinamento da parte delle autorità rappresenta un fattore di rischio molto alto per la vita di chi si trova in mare. Proprio qualche giorno fa, Mediterranea ha pubblicato un comunicato in riferimento al naufragio del 22 aprile in cui persero la vita 122 persone in cui si legge: «È indispensabile mettere a fuoco qual è il ruolo specifico degli attori, pubblici e privati, nazionali ed Europei, che operano nel Mediterraneo centrale che, con il loro comportamento attivo o omissivo, contribuiscono in maniera determinante a causare i naufragi».

Frontex, le guardie costiere dei vari paesi, fra cui la Libia, Malta e il nostro, insomma, hanno una responsabilità forte nell’influenzare il successo o l’insuccesso delle operazioni di soccorso, che hanno bisogno di un sostegno – per come lo definisce sempre il comunicato – “strutturale” e “pubblico”.

Qualcosa di molto distante da quanto invece chiedono certe forze politiche come la Lega, il cui leader Matteo Salvini ha definito su Twitter le persone tratte in salvo da Ocean Viking e Sea Watch 3 «ennesimo carico di clandestini» raccolto in «acque straniere», dimentico probabilmente del fatto che quelle delle Sar sono tutt’al più acque “internazionali” la cui funzione è appunto dare la possibilità di prestare soccorso ai “naufraghi” come imposto dal diritto marittimo.

Ma, al di là di Salvini, la questione più urgente per le navi in questo momento è trovare un porto sicuro, dopo che le autorità maltesi hanno negato la concessione di sbarcare sulle proprie coste. «Le scorte di cibo a bordo ci potranno durare solo fino a venerdì», riferisce ancora Fulvia Conte dalla Ocean Viking. «La situazione a bordo è difficile: le persone svengono per il caldo, tanto che siamo costretti a girare continuamente la nave per avere un po’ di ombra sul ponte. Non dimentichiamoci che si tratta di persone che hanno appena tentato un traversata in mare e che si trovano casi di tutti i tipi: ieri siamo riusciti a effettuare l’evacuazione di una donna incinta che aveva delle complicazioni. Non ci sono motivi per non ottenere risposta dalle autorità».

Foto di copertina dall’archivio DINAMOpress