OPINIONI

Mario Draghi, l’utopista

Parlando di pari opportunità e gender pay gap, l’uomo del Whatever it takes si è rivolto ai giovani, chiedendo loro di riprendere a sognare. Di quale sogno si tratta?

Dialogando con Luciano Fontana, sul palco del Tempo delle Donne, evento del femminismo neoliberale organizzato dal “Corriere della Sera”, Mario Draghi si è rivolto ai giovani citando L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse. L’ex- Presidente del Consiglio e della BCE è preoccupato: non tanto perché i giovani non si accontentano più di lavorare e basta, desiderando invece realizzazione oltre il lavoro, ma perché hanno perso l’utopia. La domanda sorge spontanea: per quale motivo il banchiere centrale che ha lottato quarant’anni per «disoccupare le strade» (cit. Claudio Lolli) della mia generazione dai sogni, pretende ora che la generazione successiva alla mia riconquisti l’utopia?

A mio avviso la risposta non è banale, perché Draghi non parla a vanvera – come tutti i banchieri centrali, d’altronde. Ovviamente il problema principale sono l’Italia e l’Europa. L’Italia: un Paese vecchio, economicamente fallito, dove le aspettative sono solo negative e la fiducia è un ricordo del passato. L’Europa: consapevolmente affossata da Putin e Biden con la guerra in Ucraina, segnata irreversibilmente dal crollo della locomotiva tedesca, con l’estremismo di centro che comincia a banchettare con l’estrema destra. Ma il problema, più in generale, è sempre il declino dell’egemonia statunitense, con le sfide belliche di lungo periodo che l’agonia porta con sé.

Quale sogno è in grado di offrire, l’Occidente, capace di mobilitare i giovanissimi affinché si oppongano, anche militarmente a tempo debito, al Grande Sud?

Questo, è il problema di Mario Draghi. Federico Rampini, ormai adoratore di Samuel Huntington, pare più sicuro di sé: sulle pagine del “Corriere della Sera”, dipinge un mondo inesistente per i più, fatto di successi imprenditoriali, giovani e donne nei Consigli di Amministrazione che contano, benessere in aumento e indiscutibile superiorità tecnologica, costituzionale e culturale al contempo, di Stati Uniti, Israele, Europa. Sospettando però che nessuno si fidi troppo di lui, consapevole che nessun ventenne sappia nemmeno chi sia, Rampini ripete lo stesso articolo tutti i giorni. «Lo scontro di civiltà» è talmente aspro, che il “Corriere della Sera”, per la semplice ripetizione, lo paga saporitamente.

No, Mario Draghi non è Federico Rampini, soprattutto sa che Rampini bluffa. È consapevole invece che cinque decenni di controrivoluzione neoliberale hanno desertificato desiderio e immaginazione, imponendo solitudine, nichilismo, disperata frammentazione biografica, tossico-dipendenze varie ed eventuali, cervelli annebbiati dai social, pensieri di morte e suicidi. Per dirla con John Maynard Keynes – autore che un tempo Draghi conosceva e che ben prima che il gallo cantasse per la terza volta aveva già malamente tradito –: oltre a far fuori il Sessantotto, e col Sessantotto l’eccedenza di «domanda democratica» (con le parole della Commissione Trilaterale), la controrivoluzione ha mortificato anche gli animal spirits. Sa dunque bene, il banchiere centrale, che il suo Piano Marshall per l’Europa, 800 miliardi l’anno finanziati col debito comune, in assenza di fiducia e aspettative positive, non farebbero la differenza. Anzi, sarebbero ancora miliardi incapaci di radicarsi in una duratura fase di sviluppo, il quale, ci ricorda Joseph Schumpeter, si ha solo quando vi è innovazione, quando cioè la realtà sociale pullula di imprenditori.

La faccenda, però, è ancora più complicata: momenti accelerati di innovazione persistono, soprattutto negli Stati Uniti, pensiamo alla Silicon Valley e in ultimo all’Intelligenza Artificiale generativa, ma si sono già tradotti in concentrazione, oligopolio, concorrenza imperialistica con la rincorsa cinese.

In una battuta: il capitale, per stare a galla e come in altri momenti storici è accaduto, ha bisogno di sangue, macelleria, corpi e infanzia mutilati, genocidi. «Distruzione creatrice», appunto.

Metteteci, poi, che il regime di guerra nel quale siamo immersi non prevede solo droni ed eserciti professionali. Prima o poi, saranno necessari anche coscrizione obbligatoria e mobilitazione totale: ma come fare? Come convincere i «giovani ansiosi» a vivere da eroi? Potrà sembrare strano, eppure, per consolidare un grande progetto di morte, ci vuole, sempre, un eccesso di vitalismo. Studiando un po’ di storia, capiremmo che l’epoca che stiamo vivendo non è poi così inedita, che le crisi egemoniche si presentano e si accompagnano di fanatismo tecnoscientifico, vitalismo irrazionalista, razionalismo razzista, risentimenti machisti. Non avete voglia di rileggere Lenin e Luxemburg? Provate con Hobson. Di Lukács non volete saperne? Date un’occhiata – seriamente, ricordandovi cioè che è stato anche lui un marxista – a Benjamin.

Di quale utopia ci parla, allora, il Presidente che fu e che forse sarà (visti i rumors ultimi) Mario Draghi? Per un verso il grande sogno capitalistico, rilanciato dai Musk e dai Bezos: sfidare costantemente il limite, innovare frantumando competitor e diritti sindacali, conquistare l’eternità attraverso l’eternità della moneta il cui valore le banche centrali stabilizzano, vivere su Marte. Per l’altro, e forse allo stesso tempo, Mario Draghi l’utopista chiede un sussulto etico-politico, un rinnovato eroismo delle masse di fronte al caos bellico dal quale l’Europa non riuscirà più a sottrarsi. Un’Europa politica, comune nei bond che finanziano ricerca bellica ed esercito condiviso – realisticamente, lo afferma con chiarezza Lucrezia Reichlin, quest’ultimo sarà l’esito della proposta di Draghi sulla competitività. Si tratta, evidentemente, di due utopie in una, senz’altro contraddittorie, non per questo incapaci di funzionare insieme.       

Giù le mani da Marcuse!

Vale la pena tornare sul povero Marcuse. Si sa, infatti, che arrivati a una certa età e con essa a un successo rilevante, banchieri e politici (di levatura) per buona parte della loro vita pratica efferati non abbiano più imbarazzi a segnalare curiosità culturale non settaria, stima non superficiale per il fronte nemico, letture “ribelli”. Di Marcuse, Draghi ha citato l’opera più famosa ma politicamente meno feconda. Realizzata fugacemente, negli anni che Draghi consegna alla mania per il lavoro, gli anni Sessanta, è stata semmai l’utopia di Eros e civiltà. Riprendendo la grande tradizione materialistica, Marcuse immagina una vita nella quale il gioco batte il lavoro, la sublimazione (collettiva, istituzionale, rivoluzionaria) della pulsione non è repressione della stessa, ma soprattutto la prassi, liberata dalla schiavitù salariale, riesce ad «abolire il tempo nel tempo». Usando in modo originale due Friedrich, Schiller e Nietzsche, Marcuse propone di strappare il presente al fluire del tempo, affinché l’eternità sconfigga la caducità. Ripete dunque le sollecitazioni di Spinoza e di Wittgenstein, i quali, non credendo nell’immortalità dell’anima, sapevano che solo nel presente vissuto fino in fondo si può fare esperienza dell’eternità.

Viene da sorridere, ma lo stesso Keynes condivideva l’ottimismo di Marcuse e anche lui sperava di far fuori l’accumulazione di denaro, vera malattia che sostituisce alla bellezza contingente del presente la smania del potere e del benessere futuro.

La domanda diviene allora: come può, uno stabilizzatore di prezzi e un “santo protettore” dei risparmiatori, in verità dei rentier, proclamarsi alleato dell’utopia?

Mi sento di chiedere dunque al Presidente Draghi di togliere le mani da Marcuse. Giù le mani! Potrebbe invece utilizzare la propria notevole autorità, se proprio di pensiero alto vuole occuparsi, per imporre che in tutti i Dipartimenti di Economia d’Europa lo studio della storia economica, e della storia del pensiero economico, divengano insegnamenti fondamentali. Potrebbe anche suggerire che, per i laureandi che non conoscono nel dettaglio, ovvero pagina per pagina, General Theory o Business Cycles, sia prevista la sospensione per un anno, o qualche pena più cruenta. Sono certo che, così facendo, riparerebbe una parte non marginale dei danni creati negli ultimi quattro decenni. E i giovani gli sarebbero grati, combattendo contro il mondo da lui monetariamente consolidato.    

Immagine di copertina, European Parliament

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