MONDO
Marea Verde in Ecuador: depenalizzato l’aborto in caso di stupro
Lo scorso 28 aprile la Corte Costituzionale ha stabilito la depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro: una data che marca un passaggio storico nella grande lotta dei movimenti di donne e femministi. Si è concretizzato l’atteso risarcimento per le sopravvissute alla violenza sessuale, ma la lotta continua per l’aborto legale, sicuro e grauito
L’Ecuador è uno stato laico dal 1906, o perlomeno è in quel momento che viene sancita la separazione tra Chiesa e Stato nella nostra Costituzione. Tuttavia, questa laicità non è stata rispettata e in materia di diritti delle donne, delle bambine, delle adolescenti e della comunità LGBTQI+ risulta evidente come la Chiesa e i fondamentalismi religiosi abbiano influito sulle politiche pubbliche, generando ancora più violenza e disuguaglianza. La sessualità piena e piacevole non rientrava tra i diritti umani garantiti nel nostro paese. Di fatto, usare o meno metodi contraccettivi, scegliere di avere o non avere relazioni sessuali, decidere quanti figli avere e quando, continuano ancora oggi a rappresentare una battaglia per le donne. Le ragioni per le quali i nostri diritti sono stati erosi per secoli, soprattutto quelli di carattere sessuale e riproduttivo, si sono ridotte ad argomentazioni disinformate e fanatiche.
In Ecuador, gli uomini stuprano 11 donne al giorno. È un paese nel quale 6,5 donne su 10 subiscono violenza di genere, e dove 6 casi di violenza sessuale su 10 sono compiuti nei confronti di minori di 14 anni. È un paese nel quale soltanto l’1% dei casi di violenza sessuale denunciati ottiene una sentenza. È un paese dove più di 3000 bambine partoriscono ogni anno e nel quale sette bambine abortiscono ogni giorno.
Queste cifre da brivido si sono aggravate con l’arrivo della pandemia di Covid-19: nel 2020, si registra un calo del 35% dell’accesso a metodi contraccettivi, con un effetto diretto sull’aumento delle gravidanze indesiderate, non pianificate e forzate, ed è presente un calo del 45% nell’assistenza prenatale e del 65% degli aborti terapeutici.
Questa è la situazione, con la lotta per la depenalizzazione dell’aborto che era ed è un tema urgente e risale agli anni ’90. Non è da meno ricordare che grazie al lavoro instancabile delle donne ecuadoriane, nel 1995 veniva approvata per la prima volta la Legge contro la Violenza e nel 1997 si concretizza la Legge per la Maternità Gratuita. Anni e anni di lotta dei movimenti delle donne per poter vedere, lo scorso 28 aprile, il consolidamento di un diritto minimo inalienabile come l’interruzione volontaria di gravidanza in caso di stupro.
Come siamo arrivati a questo giorno storico? A chi dobbiamo questa vittoria?
Nei cinque Codici Penali adottati dall’Ecuador nel corso della sua storia, l’aborto era vietato. Nel Codice Penale del 1837, la pena non era per le donne che abortivano ma per coloro che praticavano l’aborto. In quello del 1872, si proteggono «la famiglia e la morale pubblica» istituendo una sanzione per la donna che abortisce, ma con attenuanti in caso di stupro. Nel 1906, si ottiene la laicità dello Stato, ma non cambia la natura violenta del controllo sui corpi delle donne.
Nel 1938 si ottiene la depenalizzazione dell’aborto per due cause: 1) rischio per la salute o la vita della donna e 2) in caso di stupro di una donna demente o idiota (così venivano chiamate allora le donne con disabilità mentali). Giunge infine il Codice Penale Integrale del 2014, nel quale l’allora Presidente, Rafael Correa, ordinò di ritirare la mozione per la depenalizzazione dell’aborto per stupro, lasciando le donne nelle stesse condizioni degli anni ’30.
Durante i 10 anni della presidenza di Rafael Correa (2006-2016), abbiamo assistito a una profonda regressione in materia di diritti delle donne. In questo periodo, il Presidente ha interferito con i poteri dello Stato, ha fatto pressioni affinché l’Assemblea Nazionale non approvasse l’aborto per stupro (sanzionando tre legislatori del proprio partito, Alleanza Paese, per aver proposto nel 2013 la discussione sull’aborto nell’Assemblea Nazionale) e ha aumentato la criminalizzazione, la persecuzione e l’incriminazione delle donne che abortivano. Inoltre, l’ex-presidente Correa ha nominato un’appartenente all’Opus Dei come responsabile delle politiche di prevenzione delle gravidanze tra gli adolescenti, tramite il Piano Famiglia. Un Piano che limitava l’educazione sessuale nel sistema di educazione primaria e secondaria, basandosi su “valori cristiani” per gli insegnamenti sul tema
In Ecuador, l’aborto è reato per quasi tutte le motivazioni e, fino allo scorso 27 aprile, gli unici due motivi per potersi sottoporre a interruzione volontaria di gravidanza, come sancito nel 1938, erano: 1) pericolo di morte per le donne; 2) stupro di una donna con disabilità mentali. Secondo un rapporto della Fondazione Surkuna [organizzazione femminista fondata nel 2014 per contrastare la criminalizzazione dell’aborto e garantire l’accesso alla giustizia alle donne in Ecuador – ndt], con il Codice Penale Integrale del 2014, tra il 2013 e il 2019 più di 435 donne sono state condannate per aver abortito, delle quali l’80% erano donne indigene, afroecuadoriane e meticce impoverite.
Nel 2019 il COIP [Codice Organico Integrale Penale – ndt] viene ridiscusso per allargare le motivazioni per l’aborto per includere: lo stupro, lo stupro di minori, l’incesto, le patologie incompatibili con la vita extrauterina e l’inseminazione non consensuale. Martedì 17 settembre 2019, l’Assemblea Nazionale si è macchiata di sangue. Il sangue di tutte le donne morte in Ecuador per aborti non sicuri. Il sangue di tutte le bambine e le adolescenti violentate e obbligate a partorire. La riforma del Codice Organico Integrale Penale non è passata: sono mancati 5 voti.
Il 28 aprile 2021 marca un passaggio storico in più nella grande lotta dei movimenti di donne e femministi: si è concretizzato l’atteso risarcimento per le sopravvissute alla violenza sessuale.
Si è concretizzato il diritto alle sopravvissute a un risarcimento, a curarsi e a continuare i propri progetti di vita. La vittoria ottenuta lo scorso 28 aprile è una vittoria femminista!
Tra il 2019 e il 2021, sette organizzazioni di donne e femministe hanno presentato delle richieste alla Corte costituzione per la depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro. La Corte Costituzionale ha emesso la sentenza 34-19-IN/21 il 28 aprile 2021 (decisione approvata con 7 voti a favore e 2 contrari). La decisione della Corte stabilisce l’incostituzionalità dell’art.150.2 del Codice Organico Integrale Penale, che autorizzava l’interruzione volontaria di gravidanza risultante da uno stupro solamente nel caso in cui la donna «soffra di incapacità mentale».
La Corte ha ritenuto che la differenziazione che compie il legislatore «non rispetta il fine costituzionalmente valido che partendo da un criterio oggettivo giustifichi la differenza di trattamento tra le donne vittime di stupro». Inoltre, la Corte stabilisce: «Si contempla la revisione delle sentenze già emesse per reato di aborto, laddove la gravidanza interrotta di forma volontaria fosse il prodotto di uno stupro».
La Corte Costituzionale dell’Ecuador ha stabilito che sarà il Difensore Civico, con la partecipazione della società civile, a redigere un Progetto di Legge per l’accesso al procedimento che sia meno lesivo per le donne, ovvero una legge che non generi più barriere di accesso all’interruzione di gravidanza. Avrà a disposizione un tempo di due mesi per la stesura di questa proposta di legge.
Dopo, la proposta verrà inviata all’Assemblea Nazionale dove l’organismo legislativo avrà sei mesi per discutere e approvare la legge. Tuttavia, bisogna chiarire che questa modifica del Codice Penale Integrale è già in vigore e che la decisione della Corte è irrevocabile. Quindi, anche se ancora non abbiamo a disposizione protocolli di applicazione e leggi procedurali, d’ora in avanti le donne che abortiscono a seguito di uno stupro non saranno più sottoposte a un processo penale.
È un risultato storico del lavoro delle organizzazioni delle donne e femministe che hanno lottato e continueranno a lottare per la sovranità dei nostri corpi e per il diritto a decidere sulle nostre vite. Per il rispetto al diritto di tutte le gestanti.
Un progetto politico nel quale ci sosteniamo a vicenda come donne, a prescindere dallo Stato. Anni di lavoro nel quale organizzazioni e collettivi femministi hanno costruito reti di sostegno per l’aborto sicuro; linee telefoniche di accompagnamento; rete di dottorə e psicologə; laboratori di educazione sessuale; campagne comunicative online e offline; cortei, picchetti, veglie e proteste di strada; incisività nelle istituzioni dello Stato; ricerche e studi; incisività nel sistema educativo; problematizzazione della maternità desiderata e della paternità responsabile; concettualizzazione della lotta per l’aborto come una lotta contro diversi sistemi di oppressione. Contro il patriarcato, il neoliberismo, il colonialismo, il lavoro non precarizzato.
Tutto questo lavoro teorico, intellettuale, metodologico, pedagogico, comunitario, quotidiano, collettivo e affettivo si è concretizzato il 28 aprile 2021. Questa è una vittoria femminista! E la lotta continua, fino alla completa legalità, sicurezza e gratuità dell’aborto.
Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress
Immagine di copertina: Wambra
Immagini nell’articolo: Wambra e Kruskaya Hidalgo Cordero