EUROPA
A Manolada l’ipocrisia dello Stato greco è oltre ogni limite
Una zona economica e sanitaria speciale nel Peloponneso dove i braccianti sono sfruttati ancora di più durante l’epidemia da Covid-19. Il video
Né la pandemia né le misure di emergenza per proteggere la salute pubblica sono state in grado di migliorare le condizioni di lavoro e di vita di molte migliaia di lavoratori della terra nella grande area di Manolada. Al contrario, insieme ai noti problemi degli anni precedenti, si aggiunge la mancanza di lavoro a causa della riduzione dell’attività economica delle esportazioni, ma anche la paura per il coronavirus in un’area dimenticata da tutti. Nel video che segue i lavoratori, principalmente bengalesi, di Manolada spiegano con cortesia e dignità questi problemi, che ci si aspetta peggiorino durante questa stagione agricola fino all’estate.
In particolare, non vi è assolutamente alcun miglioramento delle condizioni di vita degli immigrati, sebbene questa situazione sia esplicitamente stabilita nel testo della nota sentenza di condanna della Grecia della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Freddo e umidità in inverno, caldo insopportabile e atmosfera soffocante in primavera ed estate accanto a bidoni della spazzatura. L’assenza di acqua potabile e servizi igienici adeguati è il culmine di un disumano ambiente di vita nelle baraccopoli che spesso crescono a poche decine di metri dalla piazza principale del villaggio.
Nello stesso momento i costi continuano a salire e i salari si stanno riducendo.
Da un lato, l’”affitto” e le spese di soggiorno nel ghetto di Manolada corrono, mentre il bisogno delle famiglie nel paese di origine per le rimesse rimane soffocante. Sorprendentemente, nel contesto della quarantena a causa del divieto di ingresso dei lavoratori stagionali, principalmente dall’Albania, i lavoratori di Manolada e tutti i lavoratori stranieri permanentemente stabiliti nel paese stanno gradualmente diventando super-essenziali per il resto delle colture in tutte le altre regioni.
In occasione di questa mancanza di lavoro, lo Stato, in uno spirito di vera ipocrisia, non solo non legittima la residenza di questi lavoratori, ma elabora ulteriormente il quadro per il loro sfruttamento estremo. Il governo di Nuova Democrazia utilizza (Pnp, 13/04/2020) il quadro normativo del lavoro forzato e schiavista dell’articolo 13A (Legge 4251/2014) del governo Syriza e in nome dello stato di emergenza tra l’altro: a) prolunga di sei mesi i permessi di lavoro (e non i permessi di soggiorno) con la sola dichiarazione del datore di lavoro responsabile; b) rimuove il ruolo dell’amministrazione decentralizzata concentrando tutte le responsabilità nei dipartimenti di polizia locali; c) sospende la presentazione formale del contratto di lavoro scritto o della prova di sistemazione adeguata anche per le nuove licenze da rilasciare entro il 30 giugno.
Questo peculiare “contratto unilaterale” del datore di lavoro in combinazione con il ruolo rafforzato della polizia rimanda a situazioni che provocano con ragione associazioni con i campi di lavoro nazisti. Il pensiero di “promozione” di decine di migliaia di rifugiati e richiedenti asilo a questo regime di occupazione e residenza evoca inevitabilmente un’immagine di vasi comunicanti, in cui il confronto tra standard di vita tra campi di rifugiati e ghetti nelle zone rurali perde significato. Nel mezzo di una pandemia.
L’autore è collaboratore scientifico dell’istituto del lavoro della Confederazione generale dei lavoratori greci (Gsee) e ha lavorato presso l’ispettorato del lavoro greco