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Rojava, un operatore umanitario: «L’unica sicurezza per questa zona è l’immediata cessazione delle ostilità»

Un membro dello staff della Ong italiana “Un ponte per”, attualmente attiva nel nord-est della Siria, traccia un primo bilancio dell’offensiva turca e delle ripercussioni sulle zone di guerra colpite: dall’immigrazione di massa alla crisi sanitaria

Puoi descriversi qual è oggi la situazione?

La situazione è molto complicata perché l’intensificarsi degli attacchi turchi su tutto il confine sta causando uno spostamento di massa della popolazione. Stando alle informazioni che ci sono pervenute, Ieri sera erano circa 65 mila le persone in fuga anche se oggi il numero è destinato ad aumentare in relazione quanto più diventano intensi gli attacchi sia di artiglieria che quelli aerei.

Particolarmente difficili sono le condizioni in cui versa la città di Hassake (un punto a sud del nord-est della Siria) verso cui si stanno dirigendo gran parte degli sfollati. Questa città è stata lasciata senza acqua da ieri pomeriggio a causa di un attacco turco che ha distrutto la centrale idrica di Haluk che riforniva di acqua potabile 400 mila persone nell’area. Allo stato attuale le Ong stanno trasportando l’acqua con una serie di autocisterne ma ovviamente bisogna considerare che il fabbisogno è molto grande.

Dal punto di vista umanitario alcuni campi vengono spostati, in particolare il campo di Mabrouka su Areesha: oltre 5 mila persone verranno trasferite da quell’area verso il campo di Areesha.

Come potete immaginare il quadro è particolarmente drammatico anche perché l’attacco turco rende difficile le azioni delle Ong e delle organizzazioni umanitarie. Al tempo stesso, c’è un sistema di coordinamento che si sta attivando per offrire attività salva vita e per supportare gli ospedali del nord-est della Siria, nei quali ci aspettiamo un aumento di pazienti.

 

Dove si registrano i problemi più grandi?

I luoghi dove l’offensiva è stata più dura sono sicuramente le zone di Serikanyye e Tel-Abyad, zone da cui gli americani si sono ritirati negli scorsi giorni. Durante la notte alcune parti del muro che costeggia il confine turco-siriano sono state rimosse per facilitare l’ingresso delle truppe turche. Allo stato attuale, continuano colpi di artiglieria e occasionali attacchi aerei lungo tutto il confine. È chiaro che oltre ai numeri, tutti questi attacchi stanno gravemente minando il morale della popolazione: ci sono state scene di panico sia ieri che oggi, persone che sono fuggite in massa anche dai villaggi, non solo dalle città più grandi.

Ovviamente i problemi più gravi sono innanzitutto relativi all’offerta di assistenza sanitaria per i feriti e in secondo luogo all’ approvvigionamento idrico della città di Hassake.

 

Che tipo di lavoro ha fatto fino a ora “Un ponte per” nel nord-est della Siria?

La cosa più importante che bisogna sottolineare è che – fino all’offensiva iniziata pochi giorni fa – questa era un’area relativamente stabile, in cui le amministrazioni locali assieme al supporto delle Ong presenti, di “Un ponte per” e delle Mezzaluna Curda, erano riuscite ad arrivare a un livello accettabile di predisposizione dei servizi, soprattutto quelli di tipo sanitario. Il lavoro che “Un ponte per” fa in Rojava dal 2015 è un lavoro di supporto e di capacitazione dei partner locali nella costruzione e nello sviluppo del sistema sanitario della regione, fornendo attività per la salute primaria, supportando alcuni ospedali e svolgendo attività di formazione per il personale sanitario.

Accanto a questo intervento, sono stati sviluppati programmi di supporto per le donne, servizi integrati di salute riproduttiva e di protezione dei diritti umani.

Bisogna anche dire che in questa regione la costruzione di una safe zone con queste caratteristiche allude più che altro a una sorta di sostituzione della popolazione e di ingegneria demografica piuttosto che alla costruzione di una zona veramente sicura. L’unica sicurezza che si può dare a questa zona è l’immediata cessazione delle ostilità, una pressione da parte della comunità internazionale, azioni concrete del governo italiano e europeo.

 

Cosa cambia con l’attacco turco?

È chiaro che l’attacco rischia di mettere in crisi tutti i miglioramenti che sono stati realizzati nell’area negli ultimi anni. Questo perché ovviamente se venisse confermata l’ipotesi di una safe zone lungo tutto il confine turco nella quale ricollocare 1 milione di profughi siriani (la maggior parte dei quali, tra l’altro, non provengono da questa regione) è evidente che tutti questi risultati raggiunti sarebbero probabilmente spazzati via.