MONDO
Lula, noi e il problema della corruzione
Una riflessione critica su neoliberismo, corruzione e crisi dei governi progressisti nell’ambito di un’offensiva neoliberale e autoritaria che usa l’agenda politica anticorruzione per affermare nuovi modelli di accumulazione in America Latina.
Magari fossimo nelle condizioni di creare media alternativi! Ci arriveremo, credo. Ma bisogna capire che qui siamo in Brasile e non in Europa. Siamo in un altro universo, con un’altra formazione politica, un’altra esperienza di lotta. Però credo che arriveremo a questa situazione, perché è l’unica forma di liberarci dalla dipendenza dei media ufficiali.
Ignacio Lula da Silva, 1982
La Perestrojka del capitale
Il fenomeno della corruzione rappresenta una perversione o una svalutazione che, se riferita alla vita pubblica, si converte in un problema etico e politico di prim’ordine. Se guardiamo alla storia recente dell’uso del discorso anticorruzione in Argentina da parte di coloro i quali regolano i meccanismi di accumulazione e controllo sociale occorre tornare al menemismo (ci si riferisce al decennio di governo neoliberale del presidente Menem negli anni Novanta, ndr). Dopo la fine della guerra fredda, le élites imprenditoriali, politiche e religiose compresero, assieme all’apparato mediatico, la convenienza di dirimere le loro dispute interne nell’ambito di uno spazio discorsivo che non mettesse a rischio le linee fondamentali del sistema socio-economico trionfante. Il discorso anticorruzione ha quindi operato come una forma di blindaggio del sistema e ha sostituito il discorso sulla lotta di classe in un contesto in cui la minaccia del vecchio golpismo militare cominciava ad esaurirsi. Il codice penale e i valori morali si sono trasformati nel fondamento ultimo della politica, annichilendo così tutta la sostanza reale della pratica democratica. Come se Machiavelli non ci avesse insegnato nulla sulla realtà extra-morale della politica. Da quel momento, la rotazione del personale politico al potere si risolve attraverso le accuse, supportate o no da prove, di diversi crimini e misfatti. Lo vediamo oggi in Brasile, in Perù e in Argentina. Così, come se nulla fosse. I cosiddetti governi progressisti, sorti quasi tutti come effetto del ciclo di lotte sociali tra il 1996 e il 2003, stanno per essere cancellati dalla mappa continentale attraverso questa procedura, inizialmente creata per risolvere le questioni interne di coloro i quali occupano i posti di comando.
Un furto per la corona
Diventa evidente, quindi, la necessità di dotarsi di un pensiero politico critico rispetto a un discorso basato semplicemente sulla denuncia della corruzione. Facendo un veloce ripasso delle questioni già scritte e discusse altrove, potremmo considerare i seguenti come punti di partenza:
Corruzione della democrazia: dopo la crisi del debito degli anni Ottanta fino alla crisi della fine degli anni novanta, le élites locali hanno stabilito un patto con i creditori globali, basato su una modalità specifica di cattura del plusvalore collettivo attraverso lo Stato: le privatizzazioni, e il cosiddetto festival delle obbligazioni [in questo modo fu chiamata in Argentina la ricapitalizzazione del debito attraverso la svendita dei titoli di Stato, con le imprese pubbliche poste a garanzia del debito nazionale, ndr]. ecc. Sono questi i meccanismi che hanno garantito il trasferimento di enormi ricchezze nelle mani dei grandi gruppi economici e degli organismi di credito internazionali. In quegli anni, la corruzione ha costituito una vera e propria risorsa di classe destinata a trasformare lo Stato in uno strumento di sfruttamento del sociale e al tempo stesso è divenuta uno strumento di compensazione interna tra fazioni del blocco delle classi dominanti. Questo processo di spossessamento è avvenuto in piena democrazia, attraverso il sequestro della rappresentanza popolare. La corruzione diventa così un ingranaggio imprescindibile dell’appropriazione indebita avvenuta attraverso un processo di consegna della decisione politica nelle mani di fazioni favorevoli al grande capitale, provocando una sterilizzazione del potenziale democratico dello stato di diritto e del regime parlamentare.
Corruzione delle forme di vita comunitarie: se andiamo oltre a un approccio meramente politico, il neoliberismo è a tutti gli effetti un modo di corruzione delle forme di vita comunitarie. Il ricercatore Enzo Traverso si riferisce al neoliberismo direttamente come una “antropologia”. Si tratta di un regime di gestione dei processi di individuazione che blocca e aggredisce ogni figura di potenza collettiva che non sia funzionale alla figura dell’eroe-imprenditore. Como spiega l’antropologa Rita Segato (questione questa che non smette di essere posta in primo piano dal movimento 8M), la violenta penetrazione di questa soggettività neoliberale potrà essere ribaltata solamente a patto che i corpi politici – istituzioni, governi, Stati – restituiscano autogoverno alla giurisdizione comunitaria popolare.
Guerra alla democrazia
Il discorso contro la corruzione e a favore di una repubblica del capitale si presenta oggi come una guerra contro la democrazia (e contro la stessa repubblica che, in un senso classico, si configura come un tentativo di liquidare il potere dei ricchi sulla res pubblica), e i suoi principali dispositivi sono, come propongono in un breve testo Hardt e Negri – Questo non è un manifesto – i processi di mediatizzazione della percezione, rappresentazione del politico, securizzazione della vita e indebitamento, ovvero subordinazione della cooperazione sociale alla finanza. Il fondamento che coordina questi quattro dispositivi di produzione di un individuo sprovvisto di relazioni sociali è la proprietà privata. Senza una critica radicale di questa complessa macchina diventa impossibile comprendere come si costituiscano i fenomeni di crudeltà propri della società neoliberale, né l’importanza strategica che assume il discorso anti corruzione come modo di delegittimazione di qualunque figura collettiva che si costituisca a partire da principi differenti e contrari al neoliberismo.
Distruggere Lula!
Distruggere Lula significa distruggere lo sforzo pionieristico e sistematico di costruire una nuova sinistra fondata sui movimenti sociali dopo la caduta del socialismo sovietico. Comunità ecclesiastiche di base, movimenti di contadini senza terra, il potente sindacalismo dei metalmeccanici, gli intellettuali che avevano resistito alla dittatura: il PT si è formato come opzione politica non stalinista e di massa, capace di chiamare a raccolta e ispirare le lotte sociali del continente, e tutto questo grazie alla guida potente di un uomo nato nella povertà del Nord est, operaio metalmeccanico e dirigente sindacale. È chiaro anche come Lula e il PT si siano chiaramente distaccati da questo percorso e tentativo politico fin da quando, una volta al governo, si sono impegnati a trasformare questa nuova sinistra in un’esperienza capace di sviluppare un’attitudine amichevole (ampiamente celebrata) nei confronti di Forum come quello di Davos. D’altra parte, il PT ha subito durante questi lunghi anni numerose critiche e scissioni da sinistra. Di fatto, i governi del PT hanno imposto politiche neoliberali e represso, in maniera assolutamente imperdonabile, i movimenti che rivendicavano nel 2013 il trasporto gratuito (tra le varie rivendicazioni). È fondamentale conoscere a fondo tutti i limiti del PT rispetto a queste questioni politiche essenziali, sulle quali cui vi invitiamo a consultare il recente dialogo di Toni Negri con alcuni quadri importanti del partito. Nonostante tutto questo e grazie al ruolo storico che hanno ricoperto a livello nazionale e continentale, Lula e il PT hanno continuato ad essere un ostacolo per la borghesia più potente del continente. Distruggere Lula, in questo specifico momento storico, significa liquidare qualunque possibilità di articolazione democratica tra istituzioni e movimenti popolari.
Il crimine perfetto
Il regime neoliberale – quello della fuga di capitali e dei suoi agenti – si sente oggi in grado di commettere un improbabile crimine perfetto: nutre una eccessiva fiducia nell’inattività di quel terreno plebeo che opera dal basso ed al di là dei partiti e dei governi. Possiamo però guardare tutto questo da una prospettiva differente, a partire dai movimenti dei senza terra, dei senza casa, degli abitanti delle periferie, dai movimenti delle donne, da questa rivoluzione molecolare in movimento contro cui si alleano tra loro liberali e conservatori, mettendo in crisi lo spazio politico democratico in cui fino a oggi si dirimevano i conflitti. Come ha appena scritto la psicoanalista Suely Rolnik, nuove strategie di resistenza nasceranno dall’intreccio di tutte queste esplosive componenti.
#LulaLibero
Tratto da lobosuelto
Traduzione di Alioscia Castronovo per DINAMOpress