MONDO
Lucía Pérez: se la “giustizia” è machista, la lotta è femminista
Decine di migliaia in piazza per lo sciopero femminista a Buenos Aires contro la sentenza patriarcale per il femminicidio di Lucía Pérez. Le immagini di Gianluigi Gurgigno e le parole, voci e sensazioni della piazza.
E allora? “È una vergogna. Mia figlia l’hanno ammazzata, violentata, e ai colpevoli gli danno otto anni di carcere per vendita di droga”, ha denunciato Marta Montero, madre di Lucía Pérez, dopo aver appreso la sentenza di assoluzione del Tribunale di Mar del Plata nei confronti di Alejandro Maciel, e degli otto anni per “possesso di stupefacenti” a Matias Farías e Juan Pablo Offidani. La condanna per il femminicidio di Lucía Pérez, invece, non é mai arrivata.
“Se la giustizia é maschilista, che la memoria sia femminista”, é stata la frase che ha lanciato il movimento delle donne per convocare lo sciopero e la mobilitazione di ieri, mercoledì 5 di dicembre.
Esistono precedenti che giustifichino che le donne siano violentate e uccise? Se Lucía Pérez “si era assentata da scuola più di venti volte per consumare droga”, se “aveva relazioni con tutti quelli che gli piacevano”, se “era stata in intimità con persone di 29 anni”, se “le piaceva il sesso violento”, se “pagava per la droga e non si prostituiva per ottenerla”, se “aveva un carattere forte”, anche se tutto questo fosse certo, allora? Anche se fosse, questo da diritto a qualcuno di abusare di una minorenne e ucciderla?
Se questo fosse certo attenua qualche colpa? Perché indagare nella vita della vittima se il fatto posto sotto giudizio é il suo assassinio? La sentenza di assoluzione per femminicidio dei tre partecipanti alla morte di Lucía da risalto a testimonianze di persone che parlano di lei, mettendo in secondo piano gli accusati. La miglior difesa è l’attacco, sembra dire il loro l’avvocato.
Anche familiari, amici e docenti dell’adolescente sono stati consultati sul suo comportamento. Dicevano di lei che “era una figlia eccellente e una buona studentessa”, “che aveva consultato una ginecologa” la quale “non vide nulla di strano”, “che era in salute”, che “era affettuosa” con i genitori, “che aveva obiettivi di studio e di lavoro”.
Di nuovo. E allora? Non esiste passato o storia personale alcuna che giustifichi che una donna – o una qualunque altra persona – sia drogata, violentata e fatta morire di asfissia.
Con la sentenza dei tre giudici Pablo Viñas, Facundo Gómez Urso e Aldo Carnevale, “Lucía é stata uccisa di nuovo”, come ha detto sua madre, Marta Montero.
Il movimento delle donne argentine ha espresso la sua condanna all’assassinio di Lucía in quella che é stata la terza mobilitazione di massa con lo slogan “Ni una menos, vivas nos queremos”. È stato fatto per lei, perché come ha detto sua mamma “l’hanno violentata mentre era incosciente e hanno continuato quando era morta” perché “sapevano che dandole quella quantità di droga, l’avrebbero uccisa”, perché “loro non erano drogati, non avevano consumato droghe. Hanno approfittato di lei, drogata in una maniera tale che non sapeva più nemmeno chi fosse”.
Il magistrato intervenuto nella prima tappa del processo ha parlato addirittura di “impalamento”. Dall’uccisione di Lucía ci sono tante morti quanti sono i giorni dell’anno, semplicemente per il fatto di essere donna. Fino a novembre di quest’anno ne sono state registrate 225 secondo l’Osservatorio sui Femminicidi d’Argentina.
Ma la vittimizzazione dei colpevoli, non nuova in Argentina nei casi di lesa umanità, è stata applicata anche in questo processo. Sulla causa hanno pesato le condanne al modo di vita di Lucía, e il perito del tribunale è arrivata a sostenere che non ci fu resistenza. Ma, come si chiede Marta Montero, “chi può resistere in quello stato?”. La difesa degli assassini ha argomentato che “non ci fu nessuna situazione di dominio”, e che “la differenza di solo 7 anni” tra Lucía e Farías non ha posto l’imputato “in una situazione di superiorità”.
“Sento che il maschilismo è ovunque. A letto, a lavoro, per strada, dove viene vissuto in modo molto naturale, ma non dobbiamo starcene zitte. Se a una capita qualcosa dobbiamo rispondere tutte, anche se non ci conosciamo. Anche se è di notte. Anche se ho paura” dice Zoe, 19 anni.
“Siamo in piazza affinché abbia fine la società maschilista e ci sia giustizia per Lucía. E poi perché una donna non guadagna quanto un uomo e i posti di potere sono occupati soprattutto da loro” ha commentato Claudia, lavoratrice statale che è scesa in piazza insieme alle sue compagne d’ufficio.
La mobilitazione è cominciata dalla piazza dei tribunali ed è terminata di fronte alla casa del governo, dove hanno preso la parola i familiari di Lucía. Suo fratello, Matías Pérez, dopo aver ringraziato per l’appoggio ricevuto, ha ricordato che davano della “drogata” a sua sorella ma che niente nella sua vita “dava diritto ad ucciderla così”.
Marta, la madre, da parte sua ha aggiunto; “alcune ragazze mi dicono che mi sono convertita nella madre di molte. L’affetto di mia figlia che non c’è più, ora ce l’ho da voi”. Nora Cortiñas, Madre di Plaza de Mayo ha chiuso la marcia col grido “30 mila compagni detenuti desaparecidos presenti! Lucía, presente! Adesso e per sempre”.
Foto e traduzione dell’articolo a cura di Gianluigi Gurgigno.