MONDO
Lotta Saharawi, tra impasse diplomatica e crisi regionali
Dichiarazioni, incontri, piccoli incidenti. Non c’è pace in Sahara Occidentale, un anno dopo la ripresa del conflitto aperto con il Marocco e nei giorni degli anniversari della marcia verde e della protesta di Gdeim Izik
Ogni anno nei territori occupati del Sahara Occidentale e in Marocco i giorni a cavallo tra il 6 e l’8 novembre riaccendono immancabilmente lotte e conflitti mai sopiti. L’anniversario della marcia verde (che per il regno marocchino simboleggia la riconquista delle “province del sud” mentre per i saharawi, e per il diritto internazionale, l’inizio dell’occupazione delle loro terre) e della protesta dell’accampamento di Gdeim Izik, sono due momenti cruciali all’interno della causa saharawi.
Puntualmente re Mohammed VI nel discorso alla nazione pronunciato sabato scorso, in occasione della ricorrenza della marcia verde, ha ribadito con fermezza che non è disposto a nessuna negoziazione sul Sahara Occidentale, sottolineando come quei territori sono e resteranno “marocchini”.
D’altra parte la ricorrenza della grande mobilitazione popolare di Gdeim Izik, e della conseguente brutale repressione dell’accampamento di migliaia di saharawi nei pressi di El Aaiún, che nel 2010 fece risuonare in tutto il mondo la voce della resistenza saharawi, rappresenta ormai un simbolo della lotta di liberazione di un intero popolo, dai territori occupati fino ai campi di Tindouf, passando per la diaspora all’estero.
Il quadro regionale
La risolutezza del monarca marocchino nel discorso alla nazione di qualche giorno fa si inserisce all’interno di un quadro regionale complesso, in cui la questione saharawi ha acquisito di nuovo una rilevante centralità, dalla ripresa del conflitto tra le forze armate marocchine ed il Fronte Polisario nel novembre 2020 – tra pochi giorni infatti sarà anche un anno dalla ripresa del conflitto. Gli attriti con l’Algeria, su diversi fronti, dall’affare Pegasus e le relazioni tra il Marocco e Israele fino ovviamente alla causa saharawi, hanno portato una rottura unilaterale da parte di quest’ultima delle relazioni diplomatiche tra i due paesi (non proprio un fulmine a ciel sereno in realtà visti i rapporti sempre tesi e “congelati” da quasi 30 anni).
Circostanza che aumenta la tensione nell’area, in cui si susseguono avvenimenti che rischiano di innescare micce pronte a esplodere, come l’uccisione, provocata da un bombardamento, di tre cittadini algerini mentre si trovavano sulla strada che collega Nouakchott a Ouargla, che ha scatenato la reazione del governo algerino il quale ha accusato le forze armate marocchine di essere responsabili dell’accaduto.
Una realtà che inevitabilmente inciderà sul futuro del Sahara Occidentale, ponendo seri dubbi sulla reale ripresa dei negoziati tra le parti «in buona fede e senza precondizioni» come più volte auspicato dal segretario generale delle nazioni Unite.
De Mistura e Mattarella
In questo contesto dovrà lavorare il nuovo inviato personale delle Nazioni Unite nel Sahara occidentale, il diplomatico italo-svedese Staffan De Mistura, per tentare di dare una svolta all’ormai atavica inazione della missione Minurso, nata, lo ricordiamo, per pianificare lo svolgimento del referendum sull’autodeterminazione, ma che in ormai trent’anni non è mai riuscita a organizzare (di questo abbiamo recentemente parlato con Doriana Sarli, deputata e membro dell’intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo Saharawi).
Una situazione non semplice che chiama in causa diversi attori sia regionali che globali, in cui anche il nostro paese è implicato, come dimostrano alcuni significativi episodi delle ultime settimane. Dapprima la notizia del progetto dell’Enel di costruire, in collaborazione con il Marocco, dei parchi eolici nei territori occupati del Sahara Occidentale che ha giustamente scatenato il dissenso delle organizzazioni solidali con i Saharawi, e poi la visita, molto significativa, di Mattarella in Algeria che avrà sicuramente fatto poco piacere al Marocco.
Il presidente della repubblica italiana, infatti, nella sua visita ufficiale di due giorni in Algeria (un evento molto importante, se si pensa che l’ultima era avvenuta ben diciotto anni fa con Ciampi) ha ribadito la posizione dell’Italia che ha sempre sostenuto il ruolo delle Nazioni Unite, auspicando la ripresa dei negoziati diretti tra le parti in vista di una soluzione equa e duratura della questione, che tenga debitamente conto dei diritti del popolo Saharawi.
Non solo, Mattarella ha anche affermato di sostenere il ruolo dell’Algeria e il suo attaccamento al quadro delle Nazioni Unite sul Sahara Occidentale.
D’altronde, come sottolineato più volte durante la visita, i rapporti tra Algeria e Italia sono solidi, hanno radici storiche importanti, e c’è la volontà di entrambe le parti di rafforzare ancor di più la cooperazione bilaterale. Infatti, per citare solo alcuni dati l’Italia è il primo paese per le esportazioni di gas algerino, il volume globale degli scambi commerciali tra i due paesi nel 2020 ha raggiunto i 6 miliardi di dollari e l’Algeria è stato nel 2019 il primo partner economico e commerciale dell’Italia tra i paesi dell’area Mena.
Il canale aperto col Marocco
Come prevedibile, pochi giorni dopo la visita di Mattarella in Algeria, c’è stato un colloquio telefonico ufficiale tra il ministro degli esteri marocchino Bourita ed il suo omologo italiano Di Maio, per ribadire le forti relazioni tra i due paesi, che hanno in essere un importante partenariato strategico multidimensionale. Nel comunicato congiunto è apparso anche un riferimento alla questione saharawi in cui Di Maio ha ribadito la posizione dell’Italia di sostegno agli sforzi del Segretario Generale delle Nazioni Unite per proseguire il processo politico, in conformità con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la Risoluzione 2602 del 29 ottobre 2021 – una menzione non casuale visto che si tratta di una risoluzione fortemente criticata sia dal Fronte Polisario che dall’Algeria.
Nel frattempo, tra l’equilibrismo di tali prese di posizione e le faide diplomatiche, sul terreno lo scontro tra le forze armate marocchine e il Fronte Polisario rischia di radicalizzarsi, mentre con l’ennesimo rinnovo annuale della missione Minurso continua lo stallo della situazione e l’attesa del popolo Saharawi per vedersi riconosciuto il proprio diritto all’autodeterminazione.
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