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Loretta Lynn. Le molte autobiografie della figlia del minatore
Il 4 ottobre è morta Loretta Lynn, una delle più importanti interpreti della musica country. Figlia di minatori e cresciuta in povertà in Kentucky, e poi super-star a Nashville, Lynn ha costruito un personaggio che ha costantemente negoziato tensione autobiografica e costruzione finzionale, provenienza operaia e divismo da celebrity
Quando dichiaro me stessa, come Rappresentante della Poesia — non significa me — ma una persona immaginata
(Emily Dickinson)
In Nashville di Robert Altman c’è una scena in cui una cantante country dai lunghi capelli neri sale sul palco a Opryland, la nuova moderna casa della country music, canta una canzone e poi, mentre la band attacca l’introduzione del numero successivo, parte con un discorso sconnesso che a mano a mano diventa una disordinata reminiscenza d’infanzia:
Mi sa che c’è un temporale che arriva. Mio nonno diceva sempre così prima di diventare sordo e certe volte diceva “Oddio” o “Accidenti” o “Ma dico io”… Nonna, lei girava per casa tutto il giorno facendo schioccare la dentiera al ritmo della radio. Era un sacco divertente e mi faceva sempre il rosbif come piaceva a me ed era dolcissima. Allevava anche le galline. E, a proposito, avete mai sentito come fanno il verso le galline?[1]
Questa scena è la versione filmica un po’ romanzata del più famoso crack-up della storia della country music: quello di Loretta Lynn nei primi anni Settanta. Una versione autorizzata dello stesso episodio appare, quasi a voler rimettere le cose a posto, in un altro film, Coal Miner’s Daughter (in Italia, La ragazza di Nashville), basato sull’autobiografia della stessa Loretta Lynn, in cui però di questo episodio non si parla. In ambedue i film, comunque, il crollo nervoso prende la forma di un’irruzione pubblica di memorie private, un compulsivo atto autobiografico.
Anche il libro si intitola Coal Miner’s Daughter e prende il titolo a sua volta dal più grande successo di Loretta Lynn, Coal Miner’s Daughter — una canzone che si presenta a prima vista come un altro atto autobiografico, in cui sono condensati molti dei motivi narrativi che Loretta Lynn userà in seguito raccontando la propria vita: il cliché sentimentale («We were poor but we had love», eravamo poveri ma ci volevamo bene), la precisa descrizione dei dettagli d’ambiente, il piacere dei suoni del dialetto appalachiano. Nel libro, Loretta Lynn racconta:
Avevo sempre desiderato scrivere una canzone sulla mia infanzia, ma non pensavo che sarebbe interessata a nessuno. Un giorno stavo nello studio televisivo della WSIX, aspettando di fare le prove di uno spettacolo… Andai in camerino e buttai giù le prime parole che mi vennero in mente. Cominciava: «Well, I was borned a coal miner’s daughter… [sono nata figlia di un minatore] che era la pura verità».[2]
Prima di continuare la lettura delle sue autobiografie — la canzone, il libro, i due film — guardiamo un attimo la vita di Loretta Lynn. È nata effettivamente figlia di minatore a metà degli anni Trenta nel Kentucky orientale; aveva sì e no imparato a leggere e scrivere quando si è sposata all’età di tredici anni; dopo essersi trasferita con suo marito in cerca di lavoro nello stato di Washington, dove ha lavorato duro e vissuto poveramente, ha avuto quattro figli prima di compiere i diciotto anni; a ventinove anni è nonna. Non aveva mai pensato a una carriera musicale prima dell’età di ventiquattro anni; da quel momento si è trasferita a Nashville, ha avuto altre due gemelle ed è diventata la voce femminile di maggior successo nella country music e una delle figure più in vista di tutto lo show business americano.
Dopo averla buttata giù, Loretta Lynn ci mise più di un anno a convincersi, e a convincere i suoi collaboratori, a inciderla. Il tempo in cui la canzone fu tenuta “in the can”, come inscatolata, è esso stesso una metafora di un impulso autobiografico represso. Lynn afferma che non pensava che la sua storia sarebbe interessata a nessuno — e in effetti la prima decisione importante nello scrivere un’autobiografia è proprio quella di riconoscere che la propria vita merita di essere narrata pubblicamente. Ma quando la canzone scalò rapidamente le classifiche tutti i dubbi furono spazzati via e le dighe che trattenevano l’impulso autobiografico si spalancarono. In numerose altre canzoni, interviste, cerimonie e infine in un libro e in un film, la storia della figlia del minatore, la casalinga dello stato di Washington, la star della Grand Ole Opry di Nashville è stata raccontata e ri-raccontata, in una molteplicità di media ma con notevole coerenza. Scrive:
Quand’ero piccola mi avevano data per morta. Per poco non sono annegata nel mio ranch qualche anno fa. Non l’ho mai detto a nessuno prima d’ora. E i dottori mi hanno detto che il cuore mi ha smesso di battere quando ero sul tavolo operatorio per un’operazione al petto nel 1972. Da allora in poi, ho voluto raccontare la storia della mia vita.
L’autobiografia come risposta a un rischio di morte è un concetto standard che non va necessariamente preso alla lettera. Inoltre, la canzone Coal Miner’s Daughter è stata scritta prima dell’operazione al torace. Ma è vero che raccontare la propria vita significa per Loretta Lynn qualcosa di più di un mero gesto di pubbliche relazioni.
Nel 1974, un intervistatore le chiese di come era cambiata la musica country dall’epoca del suo arrivo a Nashville. La maggior parte dei musicisti si sarebbe accontentata di rispondere in termini professionali a questa domanda. Ma parole come “cambiamento” e il ricordo di un nuovo inizio della propria vicenda personale mettono in moto tutta un’altra catena di associazioni: «All’inizio non abitavo a Nashville. D’altra parte non ero mai stata in nessun posto, salvo lo stato di Washington — mio marito mi mandò i soldi del viaggio e ci andai in treno. Ero incinta…».[3]
L’intervistatore torna di nuovo sull’argomento e le chiede «come è cambiata la country music?»; e di nuovo Loretta Lynn parte per una digressione fatta di libere associazioni: «Mi sembra che è cambiato tutto. Quand’ero piccola… per me vedere una pagnotta di pane era… Non sono tanti quelli che sono vissuti come vivevamo noi a Butcher Holler, e anche Butcher Holler è cambiata».
A domande sulla carriera e la professione, insomma, Loretta Lynn risponde sistematicamente parlando invece della sua infanzia, di prima di diventare musicista professionista. C’è un innegabile elemento di autenticità e di sincerità in questo impulso, una necessità interiore che esplode nell’episodio del crollo nervoso. D’altra parte, l’impulso autobiografico vende. Nello spazio di un anno dopo Coal Miner’s Daughter escono altri tre singoli con canzoni di argomento autobiografico: l’impulso autobiografico si è liberato, ma si tratta anche di dare seguito a un successo commerciale — come dire, dalla miniera di carbone alla miniera d’oro. Coal Miner’s Daughter diventa un logo, un marchio che designa una canzone, un libro, un film, una casa editrice musicale (Coal Miner’s Music), una band (il gruppo che accompagna Loretta Lynn cambia nome, passando da un’etichetta western — Trailblazers — a una appalachiana — Coal Miners).
E vero che della band fanno parte anche musicisti che vengono da famiglie di minatori e tutti gli altri pare abbiano lavorato in fabbrica almeno per qualche tempo (se non altro, questo è quello che dice nella sua autobiografia). Lo stesso segno, insomma, designa una trovata commerciale e una verità fattuale: che è poi la tensione permanente in tutta la costruzione artificiale della propria immagine e in tutto l’interrogarsi autentico sulla propria identità.
L’esempio più evidente di questo processo è il suo stesso nome. A differenza di molte star, Loretta Lynn non cambia il proprio nome (che peraltro già possiede una qualità, l’allitterazione, che è molto apprezzata nel linguaggio pubblicitario). D’altra parte, il nome gradualmente si espande e finisce per designare oggetti diversi, sempre più distinti dalla sua persona — la sua voce, la sua immagine, i suoi dischi, fino al lievito Crisco a cui fa pubblicità in televisione, e una catena di negozi di abbigliamento western in franchising.
Se guardiamo la copertina e la quarta di copertina di un’edizione paperback di Coal Miner’s Daughter (in questo caso, l’edizione Warner del 1977), vi riconosciamo una concisa sintesi della natura dell’autobiografia. Sono due fotografie: una star piena di glamour sulla copertina e una bambinetta con i denti sporgenti sul retro. Sono la stessa persona e due persone differenti. Il contrasto mette in evidenza la distinzione fra io presente e io passato, vita privata e presenza pubblica, che è poi la tensione specifica del genere autobiografico. E sottolinea che questo contrasto ha luogo sempre in quella che, comunque, rimane sempre la stessa persona.
Strutturalmente, questo significa che l’autobiografia ha molto in comune con la metafora. La metafora è la scoperta dell’analogia in un contesto di differenza: dire “Achille è un leone” ha senso precisamente perché Achille non è un leone. Jean Starobinski ha notato che affinché si possa dare autobiografia deve esistere un cambiamento, uno sviluppo drammatico nel soggetto; io aggiungerei che questo cambiamento è significativo soprattutto perché comunque il soggetto resta lo stesso. La differenza fra l’io narrante e l’io narrato ci interessa perché i due io sono sempre la stessa persona.
Questo è vero anche su un altro piano. L’autobiografia è un atto pubblico; ma ci si aspetta che in essa il narratore riveli il suo io privato. Da una parte, ci si aspetta che l’autobiografo sopprima la separazione fra sé privato e sé pubblico; dall’altra, questa soppressione è significativa proprio perché il lettore si sente continuamente ricordare che le due sfere sono logicamente distinte. «Non ci si veste per un ballo pubblico come per stare in famiglia», diceva Benjamin Franklin, padre dell’autobiografia moderna.
Questa doppia struttura metaforica si esprime nel modo più radicale proprio nelle autobiografie delle star. Le loro storie di successo esaltano il cambiamento e la differenza, ma il loro tono cerca sempre di dimostrare che il successo non le ha cambiate e sono rimasti persone normali – diversi da noi ma come noi. L’ideologia della country music, come genere musicale e come apparato industriale, esalta la sincerità sopra ogni cosa. La star country ideale deve essere nata in una baracca e vivere in un palazzo, come Loretta Lynn; e, come lei, deve continuare a muoversi fra queste due realtà, se non altro con l’immaginazione e possibilmente deve vivere nel palazzo come se stesse in baracca. Le star devono risplendere sul palco, dichiarando la distanza; ma devono aprire le proprie case ai fan e ai turisti, insistendo sulla familiarità. Per forza poi che tante canzoni country sono, o si dichiarano, autobiografiche.
I miei fan e quelli che scrivono per me – dice Loretta Lynn – ci tengono sempre tanto a che io mi comporti naturalmente, da campagnola. È perché sono di Butcher Holler, Kentucky, e non me lo scordo mai [«I ain’t never forgot it», dice, in puro dialetto kentuckiano]… Siamo musicisti country – di campagna; non credo che potevamo suonare la nostra musica se non venivamo da posti come Butcher Holler.
Nel libro, Lynn si presenta come una casalinga qualsiasi (e doppia questa immagine negli spot per la Crisco), che ha qualche problema col marito ma lo capisce e gli vuole bene lo stesso, che appende le tende e si preoccupa di dove troverà i soldi per la “macchinetta” dei denti dei figli: «when you’re lookin’ at me, you’re lookin’ at country» – quando guardi me, guardi il mondo rurale, la campagna. E guardi, per antonomasia, la musica country. «Ero Loretta Lynn, una madre e una moglie e una figlia che aveva sentimenti come tutte le altre donne», dice.
Eppure – se fosse proprio come tutte le altre madri e mogli e figlie, staremmo a sentirla cantare, leggeremmo la sua autobiografia, vedremmo i film su di lei? Ma infine – chi è lei? Come in tante autobiografie, la risposta vola nel vento nello spazio tra il passato e il presente, il pubblico e il privato.
Cominciamo da pubblico e privato. Il libro Coal Miner’s Daughter comincia in camera da letto; c’è un’altra scena in camera da letto due pagine dopo, e nelle prime pagine del libro si descrive dettagliatamente la sua prima notte di nozze: ma non si tratta di scene d’amore. Nel primo episodio, fa un brutto sogno e nel sonno dà un pugno sul naso al marito e lo ferisce con l’anello nuziale. Nel secondo, parla della pistola che suo marito tiene sul comodino. La descrizione della prima notte di nozze, infine, per quanto intenzionalmente comica, di fatto descrive uno stupro: «Alla fine gli toccò praticamente strapparmi le mutandine. Il resto è tutto confuso».
Da una parte, Lynn fa i conti con i suoi sogni profondi e le sue paure segrete; dall’altra, si rappresenta come la ragazzina ingenua di campagna a cui la mamma non ha detto niente e che – “proprio come le altre donne” – deve scoprire i fatti della vita a proprie spese. L’impulso autobiografico si intreccia inseparabilmente con la costruzione dell’immagine commerciale: Loretta Lynn porta i fan in visita in camera da letto ma poi si secca dell’invasione e si nasconde.
Questo è vero anche sul piano letterale. Quando era in ospedale, racconta, «i fan hanno saputo che ero a letto e si sono letteralmente ammassati nella mia stanza e si sono messi a fare fotografie». Ogni anno, Loretta Lynn apre la sua casa a migliaia di fan, in una specie di ricongiungimento rituale fra la star e la sua base sociale. I fan «mi entrano in cucina quando sto lì con la famiglia. Sembra brutto dirlo, ma non mi posso rilassare neanche a casa mia». Il risultato è che quando apre la casa ai fan lei va a stare in un motel – abbandona la residenza privata in cerca di privacy in un luogo pubblico. Lo stesso processo ricorre nelle sue autobiografie, nella tensione costante fra il bisogno di esibirsi e il bisogno di nascondersi.
Una tensione analoga riguarda il rapporto fra passato e presente. Essere la figlia del minatore è sia un’identità personale attivamente ricercata, sia una maschera commerciale imposta dallo show business. Perciò, per dimostrare di essere sempre la stessa deve cancellare i segni dei cambiamenti che la fanno essere quello che è nel presente; deve essere artificiale per essere autentica. Parla dialetto spontaneamente, ma un critico ha notato anche che occasionalmente ripete in dialetto una parola che ha pronunciato in inglese standard – per esempio, dice born (nata) e poi lo corregge nel dialettale borned, come se si fosse improvvisamente ricordata di come ci si aspetta che si esprima.[4]
Ancora una volta, gli stessi segni connotano verità e finzione, spontaneità e manipolazione. Loretta Lynn compie artificialmente un gesto che le viene naturale, come parlare in dialetto. E fa naturalmente un gesto artificiale, come indossare una maschera.
Tutta la teoria e la pratica dell’autobiografia ruota intorno alla parola “io”. La domanda è: ma a che cosa si riferisce Loretta Lynn quando dice “io”?
Partiamo dalle canzoni. Quando dice «I was borned a coal miner’s daughter», la prima persona si riferisce senz’altro al suo io autobiografico. Ma quando canta il suo primo successo, I’m a Honky Tonk Girl, usa l’io lirico-narrativo delle canzoni di consumo (gli “honky tonk”, i locali dove si balla e si beve birra, lei non ha avuto modo di frequentarli). Questi due significati della parola “io” interagiscono continuamente. Poiché fa tanto uso dell’autobiografia, spesso sono stati attribuiti significati autobiografici anche a canzoni che non ne avevano – anche perché quale che sia la storia che canta, al centro l’aura che proietta deriva sempre dalla sua stessa identità (e immagine): una donna di fegato che non mette in discussione il sistema ma non si lascia mettere i piedi sul collo da nessuno – Don’t Come Home a Drinkin’ (With Lovin’ on Your Mind) [Non tornare a casa ubriaco con l’idea di fare l’amore], Your Squaw Is on the Warpath [La tua squaw è sul sentiero di guerra stasera] e altre ancora.
L’interazione tra l’io autobiografico e l’io lirico-narrativo genera tutta una serie di forme intermedie: per esempio canzoni in prima persona, scritte da lei, ma non autobiografiche; o canzoni in prima persona, scritte da altri ma riguardanti episodi della sua vita. Uno dei suoi maggiori successi è una canzone sulla pillola, The Pill, che peraltro lei dice non avere usato che molto raramente (sarebbe stato più difficile scrivere e vendere una canzone sulla vasectomia di suo marito). D’altra parte, One’s on the Way, il lamento di una donna di casa con quattro bambini, un marito che non aiuta, la pentola sul fuoco che trabocca e un altro bambino («ma non saranno gemelli?») in arrivo – è chiaramente basata sui primi tempi della sua vita matrimoniale ma è stata scritta da Shel Silverstein.[5] Esiste persino una canzone, Hey, Loretta, scritta da Shel Silverstein, in cui lei si rivolge a se stessa come se parlasse a qualcun altro.
A complicare le cose poi c’è la questione della performance. I cantanti – come tutti gli artisti della voce – presentano anche il materiale più impersonale attraverso il loro corpo e la propria voce, rendendolo così intrinsecamente personale. Anche quando esegue canzoni scritte da altri, Lynn ne fa qualcosa di assai vicino all’autobiografia, anche se tecnicamente altro. D’altra parte, quando una canzone autobiografica di Loretta Lynn – Blue Kentucky Girl – è cantata da Emmylou Harris il significato autobiografico scompare.
In conclusione, esistono almeno quattro significati della parola “io” nel repertorio e nelle performance di Loretta Lynn, che vanno dal puramente autobiografico al puramente lirico-narrativo attraversando almeno due forme intermedie e scambiandosi di posto attraverso la dinamica della performance e della ricezione.
Qualcosa di simile si può dire del libro. La definizione standard di autobiografia è quella di un testo in cui il nome dell’autore sulla copertina, il nome del protagonista e il nome del narratore sono gli stessi, ma se guardiamo la copertina di Coal Miner’s Daughter, vediamo che i nomi sono due: “by Loretta Lynn with George Vecsey”. Coal Miner’s Daughter dunque è una di quelle autobiografia “as told to”, narrate a e scritte da, in cui figure pubbliche famose delegano a uno specialista il compito di scrivere una storia che hanno troppo da fare o che non sono capaci di scrivere da sé. Anche se questi libri sono etichettati come autobiografie, tuttavia la persona che dice “io” nel testo non è la persona che effettivamente lo scrive. Loretta Lynn lo riconosce francamente: nel testo, si fa spesso riferimento al suo amanuense George Vecsey (un giornalista sportivo autore anche di inchieste e articoli importanti sul mondo delle miniere appalachiane) . Loretta Lynn lo chiama “my writer”, quello che scrive per me, in terza persona. Insomma, in modo paradossalmente postmoderno per un testo di puro consumo che non presume di avere niente di sperimentale, Vecsey scrive di se stesso in terza persona (“he”) e scrive di un’altra persona, Loretta Lynn, in prima (“I”) e compare nel testo che lui stesso scrive come un personaggio di una storia raccontata da qualcun altro.
Ora, si presume che quando il nome di chi dice “io” è diverso a quello dell’autore, allora siamo in presenza di fiction. Ma il libro Coal Miner’s Daughter si presenta come un’autobiografia veridica. L’unica fiction riguarda l’uso della parola “io”.
Il film Coal Miner’s Daughter fa un ulteriore passo avanti. In senso strettamente tecnico, un film non può essere autobiografico. Infatti quando un libro diventa film, per prima cosa scompare la prima persona: i film sono sempre in terza persona, per il fatto elementare che la macchina da presa che racconta è separata dal corpo del personaggio che è raccontato. Nel film Coal Miner’s Daughter (i cui crediti sono riprodotti sulla quarta di copertina del paperback) il nome dell’“autore” in copertina è Michael Apted, regista di una sceneggiatura firmata da Tom Rickman basata sul libro scritto da George Vecsey raccontato e firmato da Loretta Lynn. La faccia e la voce sullo schermo sono quelle di Sissy Spacek. Ma il nome è sempre Loretta Lynn: il film si presenta esplicitamente come una presa di posizione intesa a rimettere le cose a posto dopo Nashville. Di fatto, molti personaggi di contorno in Coal Miner’s Daughter recitano se stessi, rinforzando le connotazioni “documentarie” del film.
Il cerchio si chiude se torniamo all’edizione paperback e scopriamo che il film è stato incorporato nel libro. Per prima cosa, come abbiamo visto, il libro include i crediti del film, dando l’impressione che il libro sia derivato dal film invece del contrario come effettivamente è. L’autobiografia scritta viene in qualche modo convalidata per essere stata oggetto di un film di fiction.
In secondo luogo, nel libro sono riprodotte anche le immagini del film. Nel paperback, dunque, Loretta Lynn racconta la sua vita non una ma tre volte: con le parole, con le foto del suo album di famiglia e con le immagini tratte dal film. Le due serie fotografiche sono quasi intercambiabili (e in parte dev’essere questo il criterio della scelta): l’unica ma non secondaria differenza è che le didascalia delle foto di famiglia sono in prima persona mentre quelle dal film sono in terza.
Ma le foto sono quasi indistinguibili. La foto di Loretta Lynn nel suo primo costume di scena è talmente simile a quella di Sissy Spacek che ne porta la replica che il processo autobiografico quasi si capovolge: mentre le foto in copertina ritraggono due personaggi molto differenti che in realtà sono la stessa persona (Loretta Lynn “prima e dopo” il successo), queste due foto all’interno ritraggono due personaggi praticamente identici che però sono due persone diverse. Nella struttura retorica del volume, non è secondario che le foto del film, scattate dopo, vengano impaginate prima delle foto di famiglia che ovviamente sono state scattate prima: danno l’impressione che siano le foto “vere” di Loretta Lynn a imitare quelle filmiche di Sissy Spacek, e non il contrario. Che, naturalmente, è il punto: chi viene prima, la persona o l’immagine? E come si distinguono?
Nel Giorno della Locusta di Nathanael West, uno dei grandi romanzi su Hollywood, c’è una scena in cui la protagonista Faye Greener, aspirante attrice, si prova addosso una dopo l’altra una serie di identità immaginarie.
Metteva su un po’ di musica alla radio, poi si stendeva sul letto e chiudeva gli occhi. Aveva tutto un assortimento di storie tra cui scegliere. Si metteva nell’umore giusto, poi le scorreva mentalmente, come un mazzo di carte, scartandole una dopo l’altra finché trovava quella che le andava bene. Certi giorni, scorreva tutto il mazzo senza sceglierne nessuna… Ammetteva che è un metodo troppo meccanico per dare buoni risultati … ma diceva che un sogno qualunque è meglio di nessun sogno.[6]
E adesso prendiamo un passo di Coal Miner’s Daughter, in cui Loretta Lynn parla di un tema chiaramente collegato a quello dell’io multiplo di tutte le sue autobiografie – la sua fede nella reincarnazione.
Una volta ho letto che puoi sentire le tue vite passate, se ti concentri con molta forza. Così ci ho provato nella mia stanza d’albergo. Non dormivo ma ero come in una specie di trance. Mi sdraiai in silenzio e lasciai vagare la mente.
Di colpo, ero una donna indiana vestita coi mocassini e un lungo abito di pelle di daino e le treccine. Anche il suono e gli odori erano vividi. Tutto intorno a me era un gran campo dove cavalcavano gli indiani. Io ero in piedi accanto a un indiano a cavallo. Sentivo che era il capo e che era mio marito. Sapevo che stava per andare in battaglia e lo stavo salutando. Improvvisamente risuonò uno sparo e mio marito cadde da cavallo… Nella seconda esperienza di questo genere, vidi me stessa vestita in costume irlandese, che ballavo una danza irlandese su un sentiero di campagna davanti a una grande casa bianca.
Come molti nativi del Kentucky, Loretta Lynn è in parte di origine Cherokee ed è orgogliosa del suo “sangue” indiano quasi quanto di essere figlia di minatore. Il resto della sua famiglia viene dal ceppo scoto-irlandese che ha colonizzato l’Appalachia fin dal diciottesimo secolo. Sfogliando le sue vite passate, insomma, Loretta Lynn incontra i suoi antenati – e l’idea che le proprie vite passate siano quelle vissute dai propri antenati non è poi banalissima. Come i sogni di seconda mano di Faye Greener, tuttavia, le vite ancestrali di Loretta Lynn sono reimmaginate su modelli artificiali, soprattutto cinematografici. I Cherokee non andavano a cavallo: il guerriero indiano della sua visione rinvia più alle immagini del western che alla storia del Kentucky. Nella seconda visione, siamo nel Sud, e non c’è discussione che una ragazza irlandese davanti a una “grande casa bianca” nelle campagne del Sud si chiama Scarlett O’Hara e abita in Via col Vento. Più avanti nel libro, Loretta Lynn dice «non mi sono mai identificata con Scarlett O’Hara» – ma lo dice raccontando che si è comprata una grande casa con “grandi colonne bianche” che le ricordano tanto Tara, la piantagione di Via col Vento. Insomma, più cerca se stessa, più si imbatte nelle finzioni di qualcun altro.
Nel Giorno della locusta il paradosso è che Faye Greener ha solo maschere e nessun volto proprio e questo le conferisce una specie di purezza: non nasconde niente, perché non ha niente che possa essere nascosto. È incapace di inganno perché appartiene a un mondo in cui la finzione è l’unica realtà.
II giorno della locusta anticipa molti sviluppi di quello che sarebbe stato in seguito etichettato come “postmoderno”. Esplora il rapporto fra la cultura di massa, la frammentazione dell’io, l’appiattirsi dello spazio che separa immagine e sostanza, segno e referente, realtà e finzione in un universo dove l’immagine è la sola sostanza e i segni non hanno altri referenti che altri segni.
«Nella country music – lamenta Loretta Lynn – cantiamo sempre di casa e famiglia. Ma proprio perché lavoravo nella country music ho dovuto trascurare la mia casa e la mia famiglia». Non lasciamoci ingannare dal tono sentimentale: è il solo tono di cui è capace ma il problema è serio – la scomparsa della realtà materiale nell’universo dei segni. Nella country music, il successo si fonda sulla centralità dell’aspetto autobiografico, sul racconto della propria vita (pensiamo alla prima Dolly Parton o a tutto Merle Haggard e tantissimo Johnny Cash); ma più un artista ha successo, meno “vita” gli resta da raccontare. Non è un caso che questa erosione dell’esperienza orienti l’impulso autobiografico della country music verso un filone assai ricco di canzoni autobiografiche in cui i musicisti descrivono la propria vita sulla strada e sulla scena (per esempio, Guitar Town di Steve Earle). Canzoni country sul cantare country, autoriflessive come postmoderni metaromanzi sullo scrivere romanzi. E in parte per le stesse ragioni.
In Loretta Lynn, l’impulso autobiografico si rafforza a mano a mano che cresce il suo successo, come se cercasse di aggrapparsi a un tempo in cui non era nessuno ma sapeva chi era – o credeva di saperlo. Affronta alcuni degli stessi problemi di cui si occupano molti intellettuali suoi contemporanei, e lo fa con tutti i limiti dei suoi mezzi e delle sue ambizioni, nel modo più diretto possibile: facendo del suo meglio, insistentemente e in molte maniere, per raccontare la storia della sua vita.
Apparso in “Identità e scrittura. Studi sull’autobiografia nord-americana”, a cura di A. Accardo, M. O. Morotti, I. Tattoni, Bulzoni, Roma 1988 e ripubblicato qui per gentile concessione dell’autore
[1] Nashville, sceneggiatura di Joan Tewkesbury, Bantam Books, New York 1976.
[2] Loretta Lynn, con la collaborazione di George Vecsey, Coal Miner’s Daughter, Warner Books, New York 1980.
[3] Rick Broan e Sue Thrasher, Interview with Loretta Lynn, 23 febbraio 1974, dattiloscritto cortesia di Sue Thrasher. L’intervista è stata poi pubblicata nella rivista “Great Speckled Bird” e Loretta Lynn la menziona favorevolmente in Coal Miner’s Daughter, cit., p.91.
[4] Dorothy A. Horstman, “Loretta Lynn”, in Bill E. Malone e Judith McCulloh, a cura di, Stars of Country Music, University o Illinois Press, Urbana 1975, 32.
[5] Dopo i quattro figli, Loretta Lynn ha avuto proprio due gemelle.
[6] Nathanael West, The Day of the Locust, in The Collected Works of Nathanael West, Penguin Books, Harmonsworth, Midds.. 1975, 60-61.