MONDO
L’omicidio di Hachalu Hundessa scatena un’ondata di disordini in Etiopia
Lunedì 29 giugno, il noto cantante e attivista politico Hachalu Hundessa viene ucciso. Nella manifestazione di protesta contro il suo omicidio almeno 80 persone hanno perso la vita così come altre due persone sono state uccise dalle forze di sicurezza che cercavano di limitare l’accesso al funerale del cantante
Haacaaluu Hundeessaa era molto più di un cantante. Questo musicista di 34 anni era stato uno dei protagonisti della rivoluzione Oromo, scesa in piazza ad Addis Abeba nel 2015 imponendo un cambio di governo tre anni dopo. Così nel 2018, per la prima volta, un Oromo, l’attuale Primo Ministro Abiy Ahmed, ha assunto la guida dell’esecutivo. Gli Oromo, il gruppo etnico più numeroso del paese, da tempo denunciano quella che considerano essere una marginalizzazione del loro gruppo dai luoghi del potere tradizionalmente monopolizzati dai membri delle minoranze Tigray e Amhara. La musica di Hundeessaa ha accompagnato le proteste in tutti questi anni e le sue canzoni erano considerate la “colonna sonora” della rivoluzione.
Il cantante è stato sepolto ieri 2 luglio ad Ambo, la sua città natale a 100 chilometri a ovest della capitale, in una cerimonia alla quale hanno partecipato centinaia di persone, mentre le forze di sicurezza impedivano a molti altri di accedere al luogo di celebrazione. Secondo fonti sanitarie, due persone sono morte nello scontro con la polizia, vittime che si aggiungono alle 80 persone morte da lunedì, durante le rivolte seguite all’omicidio di Hundeessaa ad Addis Abeba. All’interno dello stadio in cui si svolgeva il funerale, la moglie del cantante, Fantu Demisew, ha dichiarato che suo marito (che lascia tre figlie, la più giovane delle quali aveva solo un mese) è ancora vivo nel suo cuore e nel popolo Oromo e ha chiesto un monumento alla sua memoria nella capitale, laddove era stato colpito da cecchini le cui identità rimangono ancora sconosciute.
Persino il luogo di sepoltura è stato oggetto di controversia, visto che la cerimonia era stata spostata nella città originale del cantante per decisione del governo, mentre molti dei suoi sostenitori pensavano che il funerale si sarebbe dovuto tenere ad Addis Abeba, città situata interamente nello stato regionale di Oromia, ma sotto il controllo del governo federale. Il divieto di seppellire questa icona della rivoluzione nella capitale sarebbe uno dei fattori scatenanti delle mobilitazioni.
La tensione è andata aumentando durante tutta la settimana e il leader dell’opposizione Oromo, Bekele Gerba, e il magnate dei media Jawar Mohammed sono stati arrestati martedì. Quest’ultimo faceva parte di altre 35 persone accusate di aver tentato di trafugare la salma di Hundeessaa, mentre veniva trasferita ad Ambo, per seppellirla ad Addis Abeba. Molto critico nei confronti del primo ministro, Mohammed è accusato di fomentare le tensioni interetniche attraverso i suoi media. Lo scorso ottobre 86 persone sono morte negli scontri tra i suoi sostenitori e la polizia.
Mercoledì gli arresti hanno raggiunto la fazione rivale: questa volta, è stato il giornalista e attivista Eskinder Nega a essere arrestato. È un ex prigioniero politico che sarebbe alla guida di un gruppo di potere contrario all’agenda del popolo Oromo. Attivisti come Nega sostengono che gli Oromo stiano cercando di impadronirsi della capitale. La questione che riguarda questo gruppo etnico di 40 milioni di persone su una popolazione totale di 103 milioni, ha innescato un ciclo di mobilitazioni durato quasi tre anni che ha portato alle dimissioni del Primo Ministro Hailemariam Desalegn, sostituito dall’attuale capo dell’esecutivo Abiy Ahmed, che guida il paese dal 2018.
Il governo ha relegato l’omicidio di Hundeessaa a un atto criminale, mentre dichiarava che le manifestazioni di dolore erano state prese in ostaggio da «elementi che hanno danneggiato la proprietà pubblica e privata», secondo le parole della portavoce dell’esecutivo, che ha anche dichiarato all’agenzia Reuters che il governo ha la situazione sotto controllo.
Il Primo Ministro Abiy Ahmed ha accusato forze straniere come possibili responsabili del crimine in quello che considera un tentativo di destabilizzazione del paese. Oltre alla repressione delle proteste di strada, Internet ha smesso di funzionare dall’inizio delle mobilitazioni. Non è la prima volta che il governo decide di chiudere alcuni social network centrali nell’organizzazione e diffusione delle mobilitazioni.
Oromo Community Minnesota—A picture is worth a thousand words. ??#HachaaluHundessa #Ethiopie pic.twitter.com/zXkci9fJGL
— Maynè, MPA (@DaweMpa) July 3, 2020
Ahmed ha guadagnato prestigio internazionale durante i suoi due anni di mandato dopo aver posto fine a due decenni di conflitto con l’Eritrea, risultato che gli è valso il premio Nobel per la Pace nel 2019. Il lavoro di mediazione svolto nella transizione democratica del vicino Sudan, dopo la rivoluzione popolare che ha posto fine al trentennio del dittatore Omar Al Bashir, ha aumentato la sua notorietà.
Tuttavia, il suo lavoro è stato contestato sempre di più dagli Oromo. Lo stesso Jawar Mohammed, che inizialmente lo sosteneva, lo scorso anno ha intensificato le sue critiche accusandolo di non aver difeso i diritti del suo popolo.
Tra le rivendicazioni di questo gruppo etnico vi è il riconoscimento della propria lingua come lingua nazionale, obiettivo verso il quale il Primo Ministro non avrebbe fatto passi avanti.
Una settimana prima del suo omicidio, è stato Hundeessaa, in un’intervista trasmessa su una delle televisioni di Mohammed, a essere molto critico nei confronti del presidente. La televisione del magnate dei media ha anche trasmesso ieri il funerale del cantante.
Mohammed fa affidamento all’Oromia Media Network per diffondere il suo messaggio e mobilitare i propri sostenitori. L’imprenditore della comunicazione potrebbe rappresentare una sfida per il partito al governo alle prossime elezioni nel paese, originariamente previste per quest’anno ma rinviate a causa della crisi sanitaria.
Articolo ripreso da El Salto Diario
Traduzione a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress