MONDO
America Latina, lo sciopero dei rider e il lavoro essenziale tra precarizzazione e pandemia
I lavoratori delle consegne si sono mobilitati simultaneamente in Argentina, Messico, Ecuador, Guatemala, Costa Rica, Perù e Spagna per rivendicare diritti salariali e sanitari
Nel marzo di quest’anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la pandemia di Covid-19 e così la maggior parte dei governi hanno decretato lo stato di quarantena, una misura adottata per prevenire l’ulteriore diffusione del virus e far fronte alla crisi sanitaria.
In Ecuador, il governo di Lenín Moreno ha dichiarato lo stato di emergenza e l’imposizione del coprifuoco, stabilendo che sarebbe stata consentita la presenza per le strade solamente dei lavoratori necessari per il sostentamento nella quarantena.
Sebbene il Covid-19 si diffonda senza distinzioni tra classi sociali, gli effetti immediati sono differenti e discriminatori, rivelando così la disuguaglianza strutturale preesistente. La pandemia, insieme alla divisione sessuale, razziale e internazionale del lavoro ha messo in prima linea nella quarantena gli operatori alimentari e medici, i fattorini, gli operatori sanitari, dell’istruzione (che sono altamente femminilizzati), le donne (che sono per lo più responsabili della cura e del lavoro emotivo) e i contadini.
L’Ecuador è il secondo in America Latina per numero di contagi, nonostante sia il terzo paese più piccolo della regione. Indubbiamente l’ingiustizia sociale che lo Stato ha sostenuto insieme ai suoi vari governi e alla propria élite ha rivelato il lato più crudele e disumano nella lotta alla crisi sanitaria che sta attraversando Guayaquil, città costiera e uno dei principali porti del Paese.
Nel bel mezzo di questa crisi, il Governo Nazionale informa la popolazione che per acquistare i prodotti deve utilizzare le piattaforme di consegna che operano nel Paese (Glovo, Uber, Rappi, Delivereo, Picker). È importante ricordare che in Ecuador non tutti hanno accesso alla tecnologia e a Internet, le zone rurali e i settori popolari mancano di connettività e le piattaforme non operano in tutto il paese. In questo modo, possiamo dedurre che il messaggio del Governo era diretto alle classi medio-alte del paese, con il privilegio di poter restare a casa e di accedere ai mezzi necessari per utilizzare le applicazioni di delivery.
Per le classi lavoratrici e popolari stare a casa spesso non è un’opzione, dato che molti hanno bisogno di uscire per “portare il pane a casa”. È il caso dei rider delle piattaforme online di consegna, che escono tutti i giorni per guadagnarsi il sostentamento loro e delle loro famiglie.
In quali condizioni lavorano i rider?
Le piattaforme di distribuzione digitale funzionano perché inglobano la domanda e l’offerta del mercato. Permettono cioè un rapporto di lavoro triangolare tra: 1) le aziende che offrono i prodotti; 2) i clienti che li richiedono; 3) i corrieri come mezzi di distribuzione.
Nonostante ciò, le piattaforme sostengono che la distribuzione sia un lavoro in proprio: chi fa le consegne è “indipendente”, “non ha un capo”, “gestisce il proprio tempo”, “ha i propri mezzi di lavoro” e di per sé “è autonomo”, svincolandosi così da qualsiasi responsabilità rispetto al rapporto di lavoro. Tuttavia, questa attività si svolge in una situazione di esasperata instabilità e di controllo rigoroso da parte delle piattaforme sugli orari, sui i percorsi e sui prezzi di distribuzione. Inoltre, i lavoratori sono soggetti a un potere disciplinare e di controllo che attraverso i punteggi qualifica le loro prestazioni. Se i distributori non rispettano i dettami delle aziende delle app, il loro account viene disattivato.
In poche parole, le piattaforme di distribuzione digitale massimizzano i loro profitti rendendo il lavoro più precario, sfruttabile e flessibile. Ecco perché quando il Governo ha annunciato l’uso di app per il delivery durante questo periodo di isolamento obbligatorio, non ha menzionato la questione di garantire la sicurezza e l’accesso al diritto del lavoro tali da permettere una vita dignitosa ai lavoratori e alle loro famiglie.
Inoltre, il lavoro di consegna in Ecuador è svolto principalmente dalla popolazione migrante. Sono i migranti che si muovono e sostengono l’economia di un Paese che per anni non ha fatto altro che mettere i cittadini contro gli loro, attraverso violenza e odio xenofobo.
Non dimentichiamo che il governo di Lenín Moreno, sulla scorta di politiche già presenti durante il governo Correa, ha portato avanti politiche anti-migratorie rilasciando dichiarazioni negative nei confronti dei migranti, mostrando la xenofobia e aporofobia [paura dei poveri, ndr] esistente nella società ecuadoriana. Mentre le classi medio-alte ricorrevano al discorso del “migrante indigente” che riempie le strade di insicurezza, tra le classi popolari cresceva l’immaginario del migrante che arriva e ruba il lavoro. Uno Stato che non si è fatto carico di dare garanzie minime alla popolazione migrante in quarantena, la costringe a condizioni precarie fondamentali per sostenere l’economia del paese.
Le responsabilità delle aziende
Cosa fanno le aziende che si beneficiano del lavoro dei rider per garantire la loro sicurezza e i loro diritti? Il direttore generale di Glovo Ecuador, in un’intervista condotta da Telerama, ha affermato che i corrieri che lavorano per la sua impresa hanno ricevuto in dotazione materiale per lavorare in sicurezza, ma quest’affermazione è stata rapidamente smentita dalla comunità Glover di Quito.
C’è da aggiungere che i rider sono anche obbligati dall’azienda in questione a effettuare consegne di gruppo: ossia, vengono effettuate due o più consegne, che vengono addebitate completamente agli utenti e vengono pagate una sola volta con l’aggiunta di un piccolo bonus di 0,30 centesimi ai rider. Queste condizioni sono state denunciate durante uno sciopero nazionale organizzato il 17 aprile 2020.
Glovo è un’azienda transnazionale che trae vantaggio dalla tariffazione dei suoi “collaboratori”, così definiti i “suoi” dipendenti, pertanto la società ottiene 10 dollari ogni 15 giorni per l’utilizzo dell’app, il 35% del prezzo dei prodotti dei ristoranti e dei partner di mercato e il pagamento effettuato dagli utenti che richiedono i prodotti. In aggiunta Glovo dispone anche di un mercato proprio di prodotti alimentari, farmacie e liquori che vende direttamente agli utenti. In altre parole questa azienda ha moltissime possibilità di aumentare il suo introito, ma al contempo riduce i tassi di profitto dei lavoratori, costringendoli a lavorare di più guadagnando meno.
Dopo lo sciopero nazionale del 17 aprile, i media nazionali e internazionali hanno mostrato come, in questa crisi, i corrieri debbano affrontare condizioni di lavoro molto più precarie.
Lo sciopero in Argentina e Perù
La Agrupación de Trabajadorxs de Reparto (Atr) e Glovers Unidos Argentina hanno indetto uno sciopero nazionale il 22 aprile. Grazie ai social network sono riusciti ad accordarsi sul fatto che lo sciopero avrebbe dovuto essere internazionale e quindi che vi avrebbero dovuto partecipare rider di tutto il mondo. Così, i lavoratori di Argentina, Messico, Ecuador, Guatemala, Costa Rica, Perù e Spagna hanno cessato le loro attività. Come si legge nell’invito allo sciopero internazionale “i Rider in Spagna hanno scioperato e si sono mobilitati contro la riduzione del 50% nel pagamento degli ordini imposti da Glovo”.
In Perù, i servizi di corriere on demand stanno affrontando una chiusura per decisione arbitraria dello Stato, lasciando centinaia di lavoratori disoccupati in un contesto di stagnazione economica globale. In Costa Rica hanno eliminato i moltiplicatori, i bonus per la pioggia e hanno applicato la possibilità di effettuare doppi ordini: «fanno pagare due ordini, ma noi veniamo pagati per uno».
In questo contesto, è stato denunciato che i collaboratori percepiscono pagamenti precari, che non hanno ricevuto le necessarie attrezzature di sicurezza e igiene, esponendosi così al rischio di contrarre il virus qualora non acquistino di tasca propria l’attrezzatura necessaria. Sono esposti ai rischi stradali, all’insicurezza criminale e agli abusi della polizia, che spesso nega loro il diritto di rimanere in strada perché non consapevole del fatto che stanno svolgendo un lavoro.
A livello internazionale, le principali richieste dei lavoratori sono l’aumento del 100% dell’importo per ordine e la consegna di articoli per la sicurezza e l’igiene da parte delle aziende.
Lo sciopero in Ecuador
La mattina del 22 aprile, nei pressi della sede di Glovo situato a nord della città di Quito, si è concentrato un gruppo di fattorini Glovo e Rappi (la maggior parte dei rider lavora per due o più piattaforme, assicurandosi così un reddito decente). Nel frattempo, alcuni corrieri di Glovo con pennarelli, fogli di carta e cartelloni scrivevano slogan per mostrare a tutto il mondo i motivi dello sciopero, attaccandoli poi all’esterno dello store.
Altri posizionavano i loro borsoni all’ingresso del negozio per evitare l’invio di ordini. C’era chi parlava con i compagni, per spiegare la necessità di fermarsi; molti riconoscono la necessità di scioperare per ottenere i giusti diritti, ma non possono farlo per ragioni economiche. Se un giorno non lavorano non possono fare la spesa per le famiglie. Durante la mattinata, la solidarietà e l’esperienza condivisa hanno fatto sì che i lavoratori fermassero la distribuzione mentre chi davvero non poteva permettersi di scioperare ha potuto continuare con il proprio lavoro.
Quella mattina i portavoce dello sciopero sono stati intervistati dai media, chiarendo che la lotta per i diritti non ha bandiera che stanno lottando per ottenere condizioni di lavoro dignitose e che la brutale condizione a cui le aziende di consegna sottopone lavoratori i non può più essere accettata.
Hanno anche annunciato che la lotta sarà a lungo termine e che la cosa più urgente è garantire il pagamento al 100% delle consegne effettuate, oltre che la consegna delle attrezzature di sicurezza sanitaria necessarie. L’obiettivo finale è il riconoscimento dell’effettiva autonomia dei rider dalle app o che vengano registrati e messi in regola, ottenendo i benefici della legge. Si tratta di un dibattito che, secondo loro, deve essere portato avanti congiuntamente, prendendo decisioni per il bene di tutti gli addetti alla distribuzione.
Nel corso della giornata si sono uniti alla protesta nuovi rider, arrivati in gruppo, cantando e scandendo slogan come “stiamo lottando insieme per i nostri diritti”. Alcuni Glover si sono occupati di pianificare il percorso che avrebbero effettuato durante la protesta, che andava da nord a sud della città per mostrare a tutti che il loro lavoro è essenziale durante la quarantena, ma che è anche fondamentale che tutti abbiano accesso a un’equa retribuzione e sicurezza.
Poco dopo è arrivata la polizia che, utilizzando il consueto potere patriarcale e classista, ha comunicato ai corrieri che lo stato di emergenza in cui si trova il paese vieta gli assembramenti e che non potevano parcheggiare in quel posto i loro mezzi di lavoro, avvertendo che, se non si fossero spostati, sarebbero stati multati e potevano anche essere arrestati per oltraggio e resistenza. La maggior parte dei rider si è spostata usando il proprio mezzo di trasporto, la polizia non si è però accontentata di cacciare gli scioperanti, inseguendoli fino all’incrocio di due strade principali della città e inviandogli contro una pattuglia e due motociclette, ma gli scioperanti sono riusciti a schivarle riuscendo a continuare il loro percorso verso il sud della città.
Solidarietà e lotte nella pandemia
Nonostante le violenze dello Stato, la solidarietà di una parte della popolazione non ha tardato ad arrivare. È il caso del Parlamento Plurinacional y Popular de Mujeres y Organizaciones Feministas dell’Ecuador, che sostiene lo sciopero, denuncia ed esige condizioni di lavoro dignitose, esortando coloro che utilizzano le app a conoscere la vera realtà dei lavoratori. Invitando poi le persone a pretendere pagamenti equi e una vita dignitosa. Questi ultimi, mediante i social network, si sono mostrati soddisfatti e grati per il sostegno ricevuto, per la partecipazione allo sciopero e si sono detti in attesa della risposta dell’azienda Glovo.
È importante che di fronte alla crisi economica e sanitaria e alla violazione dei diritti che il Paese sta vivendo continui la lotta per il miglioramento delle condizioni di vita di tutti. È fondamentale che prendiamo coscienza e ci facciamo carico di ciò che produciamo, di ciò che consumiamo e delle condizioni in cui ci relazioniamo con gli altri, perché non possiamo permettere che la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale continuino a essere alla base della nostra società.
Se le aziende e i governi traggono vantaggio da chi lavora in prima linea durante la quarantena, allora è necessario che siano garantite a tutti condizioni di lavoro dignitose. Se lo Stato ecuadoriano non si fa carico della vita di tutti, è indispensabile che si ricorra a modi popolari, solidali e comunitari per sostenersi a vicenda. Prendersi cura di coloro che si prendono cura di noi è una priorità.
L’autrice è una attivista femminista e ricercatrice presso l’lnstituto de Estudios Ecuatorianos (Iee), fa parte de La Red de Mujeres Latinoamérica e del Parlamento Plurinacional y Popular de Mujeres y Organizaciones Feministas dell’Ecuador.
Pubblicato su latecla
Foto di copertina: Josep Vecino
Traduzione in italiano di Petra Zaccone per DINAMOpress