OPINIONI
L’Italia s’è desta
Nel vuoto politico lasciato dalla Merkel, Draghi affila le lame e si prepara a essere l’alleato europeo più stabile al momento: primo banco di prova il ruolo di guida della Missione Nato in Iraq dal 2022. Intanto, nel paese asiatico, domani si vota
È partita solo da poche ore Angela Merkel e le testate si apprestano a commentare il conferimento del testimone alla guida della politica estera dell’Unione Europea. L’incontro avvenuto con Mario Draghi suggella così il passaggio dell’avvenuta consegna.
Una contingenza particolare quella attuale, nella quale l’Italia a guida Draghi risulta essere l’alleato europeo più stabile al momento. Mentre la Germania è impegnata a organizzare il prossimo governo interno (per definire il quale, pare ci vorranno diversi mesi), la Francia si appresta ad andare alle elezioni ancora risentita della scaramuccia con gli Usa costatagli 56 miliardi di euro per mancata fornitura di sottomarini (accordo Aukus).
In questo contesto dunque l’Italia si fa spazio e approfittando dell’attuale vuoto politico, si appresta a salire in pole position per condurre la politica estera europea dei prossimi anni.
Ed è all’interno di questa cornice che andrebbe letto il protagonismo di Draghi pronto a indirizzare il G20 sull’Afghanistan il prossimo 12 ottobre. Non a caso, proprio l’Afghanistan rappresenta in modo esemplificativo e chiarificatore il futuro che ci spetta.
Senza entrare nel merito di una guerra durata 20 anni e sulla quale ci sarebbe tanto da dire e obiettare, dinanzi a un disimpegno da parte dei marines USA tanto in Afghanistan quanto in tutto il medio oriente, nel prossimo G20 si traccerà la prossima politica estera che l’Europa, all’interno del consesso Nato, deciderà di assumersi. Nell’attuale fase geopolitica infatti, sta prendendo sempre più piede una dimensione multipolare in ambito internazionale. Aldilà delle diverse posizioni, si sta delineando una nuova prospettiva in base alla quale l’Unione Europea, in virtù di un più rigoroso rispetto dei diritti umani, ha deciso di intraprendere un percorso che la vede maggiormente protagonista in Paesi in pieno conflitto armato. Ecco dunque che si spiegano le dichiarazioni di Draghi nel suo discorso sull’entrata in vigore del Pnrr, durante il quale si limita con una semplice frase a enunciare un incremento di risorse nella difesa.
Non a caso, tra l’emergenza pandemica e le polemiche interne, è passata in sordina la novità del prossimo anno: dalla primavera del 2022 infatti, l’Italia assumerà ufficialmente il ruolo di guida della Missione Nato1 in Iraq.
Ufficiale il ritiro statunitense anche dall’Iraq (previa permanenza di poche truppe a tutela di luoghi sensibili) la situazione in Iraq, così come in tutto il Medio Oriente si caratterizza dall’essere sempre meno stabile e soggetta a continue incursioni, nonché a un costante rimodellamento delle alleanze, sempre più asimmetriche.
Proprio in Iraq infatti, si assiste a un incremento delle attività belliche delle cellule dormienti dell’Isis, le quali oramai da anni continuano a organizzare attentati dimostrando una loro presenza costante all’interno del Paese. L’ultimo raid, registrato a settembre a Kirkuk nella regione curda dell’Iraq, ha visto tredici poliziotti uccisi. In questo contesto negli ultimi anni si è assistito al diffondersi di manifestazioni di protesta che, dilagate in tutto il Paese2 da Baghdad a Erbil, non fanno presagire nulla di buono. Le imminenti elezioni legislative del prossimo 10-11 ottobre esacerbano il conflitto etnico tra le forze politiche sciite, sunnite e curde in campo. Il modello iracheno, che per composizione e implementazione ricorda molto il modello libanese, rischia di essere una polveriera. La storia recente dovrebbe insegnarci di come discorsi incentrati su etnia e religione possano diventare una scintilla che innesca conflitti permeati attorno ai settarismi nella regione. Nonostante la gioventù irachena con le manifestazioni abbia inondato piazza Tahrir urlando slogan che chiedevano giustizia sociale, fine della corruzione e lavoro degno, oggi pare che la loro voce sia rimasta inascoltata.
Nell’incertezza di quello che sarà il futuro immediato di una popolazione logorata da decenni di conflitti, questa terra sembra non trovare pace. Una continua destabilizzazione, resa ancora più precaria dalle incursioni turche nel nord Iraq che, con la scusa di attaccare i militanti del Pkk, settimana dopo settimana, continuano a conquistare territori nella regione.
Vien da chiedersi come mai, in un momento come questo in cui le giornate del climate change a Milano e la visita di Greta Thunberg ci insegnano l’importanza di imporre un’agenda che vada verso la transizione ecologica, oltre alla retorica, l’unica transizione verso la quale ci si sta dirigendo è quella degli armamenti e della guerra in un quadrante in costante instabilità.
È proprio vero, la pace è un lusso per chi se lo può permettere.
1 Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale, Luiss: “L’Italia accoglie il premier dell’Iraq, colloqui con Draghi”, 2 luglio 2021
2 Al Jazeera, “I manifestanti iracheni chiedono responsabilità dopo le uccisioni di attivisti Centinaia di manifestanti a Baghdad chiedono la fine dell’impunità dopo l’uccisione di decine di attivisti democratici.”, 18 luglio 2021
Foto di copertina da Flickr.