approfondimenti
OPINIONI
L’incubatrice mostruosa o Sars Wars Cov-2
Di fronte alla diffusione del virus e al dispiegarsi dell’economia della catastrofe, al ritornello “bisogna difendere la società” se n’è sovrapposto un altro: “bisogna curare la società”. Uno sciopero riproduttivo per sopravvivere nel laboratorio-Italia
L’umanità potrebbe essere stata sopravvalutata, ma da quando essa ha raggiunto la cifra di otto miliardi, ogni discorso sull’estinzione sembra completamente fuori luogo
Braidotti
Il postumano
Figurazione 1: Sars Wars Cov-2
Pare che l’“entità biologica” più diffusa sulla terra sia il virus, ottavo regno comprendente migliaia di specie, alternativamente narrate come acerrime nemiche della sapiens. In questi giorni surreali, mentre a reti e social unificati viene proiettato il film Sars Wars Cov-2, passeggio per le vie di una Bologna svuotata e noto che il panico è aumentato ma almeno il traffico è diminuito. Il mood cinico-ironico è l’unico con cui riesco a iniziare questa figurazione (e a vivere nella finzione). Respiro piano e il mio quartiere sembra calmo calmo, strano strano (Nella mischia, AK47, 1996). Qui hanno chiuso scuole e università, in altre città del nord hanno sospeso festival, annullato concerti, eventi culturali, bloccato la programmazione di cinema e teatri, chiuso i locali dopo le 18:30. Siamo tutte invitate a autodenunciarci nel caso fossimo entrate in contatto con un caso sospetto, rivolgendoci alla deputata autorità. Solo che siamo un attimo confuse: dobbiamo recarci a un presidio medico/sanitario o in caserma? I decaloghi delle regole da seguire aumentano insieme all’ansia e compaiono i primi militari per le strade dei paesini lombardi. Sarà dura disintossicarci da quest’iniezione di auto-controllo biomedico, in una parola biocontrollo. Finiscono le mascherine, i meme sull’amuchina non si contano, si fa la spesa come se ci si dovesse rinchiudere in un rifugio anti-atomico per due mesi. Si direbbe che il coronavirus abbia scelto una specie ospite piuttosto paranoica, già abbastanza predisposta (Foucault direbbe addomesticata? docile?) ai dispositivi di sicurezza clinico-militari. Basta uno starnuto e la paura inoculata da più di mezzo secolo di politiche della catastrofe ci atterrisce. Un virus che per i governi (e le economie) occidentali può più di quello che possono i vecchi strumenti dello stato nazione. La guerra globale permanente è biologica perché è razzista e classista. I virus sono mostri da uccidere, poco importa se nella guerra contro il virus alcune popolazioni umane, alcuni particolari gruppi di individui soccombono. Meglio chiudere le frontiere, e così siamo arrivate al punto che è difficile persino capire quale stato chiude le frontiere a quale nazionalità, tutti comunque chiudono le porte in faccia a qualcun*. In Italia si giunge a chiudere piazze e strade, non solo per creare “zone rosse” in cui recintare le persone in quarantena, ma anche per vietare scioperi, cortei, assemblee, manifestazioni politiche. Il sistema immunitario biocapitalista non può accettarlo, ma quando l’utero della terra genera mostri esso pare darsi più il compito di gestire la popolazione umana che i mostri in sé: «innalzando il consumismo alla funzione di consumazione orgiastica della paura, l’occidente è diventato i suoi mostri» (Braidotti, Madri, Mostri, Macchine 2005, 40).
Figurazione 2: Virus sapiens
E così cerchiamo i superdiffusori, di che nazionalità saranno? Cosa facciamo se i mostri in sé siamo noi? Si cerca di preservare l’umano che conta, per esso il governo può ridurre le tasse, sospendere i pagamenti delle principali utenze, tutto pur di preservare un minimo di nazione (ovvio l’umano che conta sono le imprese, le banche, perché è per loro che sono in ultima istanza le sovvenzioni). Le teorie complottiste potrebbero anche rispondere al vero (è tutto architettato ad hoc) così come potrebbe essere vero che il virus c’è ed è pure un po’ incattivito (dai non fare la negazionista). Il punto è che non cambierebbe nulla, non per chi è interessata a cogliere i rapporti di forza in essere e le loro modalità di gestione: il dispiegarsi della governamentalità biopolitica occidentale. Come Illuminati, non sono alla ricerca del “soggetto intenzionale”, non mi importa dell’eziologia, i virus ci precedono e ci succederanno, mi importa della gestione della malattia e della funzione che essa assolve per governi e mercati quando passa dall’essere circoscritta al corpo del singolo e al deputato istituto disciplinare (l’ospedale) all’espandersi alla popolazione e al suo illimitato raggio di azione ai tempi della globalizzazione. L’economia della catastrofe e la sua funzione politica hanno una storia che precede la mia nascita, generazione postnucleare la mia, più abituata alla sporadicità e imprevedibilità di un attentato terroristico che al preannunciato incrinarsi di rapporti internazionali, in qualche modo almeno collocabili nello spazio-tempo. Per noi l’incidente fatale ha sempre più a che fare con il disastro ecologico dalle conseguenze non arginabili, con la malattia e il pulsare di virus incattiviti dalla circolazione di merci e individui. Può avvenire ovunque, posso morire anche io, il nemico può essere chiunque, anzi il nemico è la vita in sé, dal momento che i virus su questo pianeta sono la forma di vita più diffusa. Coincidenza ambigua: ora che la vita in sé diviene oggetto privilegiato di molte scienze, oggi che la vita è plusvalore, essa si trova anche a funzionare come enzima catalizzatore delle spinte neoliberiste&neofondamentaliste alla sicurezza, alla privatizzazione, alla creazione di debito, al controllo e alla privazione di diritti.
E di fronte a tutto questo, il “laboratorio ospedaliero-militare italia”, il focolaio di ogni “dispositivo patologizzante e normalizzante” non fa che ripetere lo stesso ritornello: bisogna difendere la società, è questo il mantra dello stato-nazione, anche se per fare la guerra al virus faremo la guerra a noi stessi. Anzi, soprattutto perché facciamo la guerra a noi stessi. Soprattutto perché, come in ogni guerra, entriamo in crisi. Apprendo dal Corriere che scrivo in un venerdì nerissimo leggendo un articolo dal titolo Economia della paura: si dice questa sia la peggiore settimana dalla crisi finanziaria del 2008 dopo il crollo di Lehman Brothers. Contiamo le morti e i titoli in ribasso, se non ci spaventa il ceppo corona ci spaventerà lo spread. In ogni caso dobbiamo aver paura, il virus ha attaccato il sistema immunitario principale (il capitale) e il suo corpo prediletto (l’umano).
Nel complesso passaggio dal fordismo al postfordismo, all’economia politica dell’interesse succede quella delle affezioni, che si organizza come forma trascendente-permanente di gestione dell’insicurezza e della paura diffuse collettivamente. Questo significa che il tecnocapitalismo ha ben compreso che l’unico mezzo per reggere alle sue crisi strutturali è attraversarle con l’intento di riscrivere le produzioni desideranti delle soggettività, a partire dalle passioni e dai comportamenti che mettono in circolazione. E se, come ci spiegava Spinoza, la paura è il desiderio che ci induce a evitare un male maggiore ricorrendo a quello minore, dovremmo forse dedurne che consideriamo un male maggiore la perdita della nostra salute e un male minore la perdita della nostra autodeterminazione? Perché quelle in atto sono misure cautelari, di sicurezza, totalitarie, anatomo&biopolitiche al contempo, in quanto fondate su dispositivi biomilitari in grado di far presa sia sul corpo singolo sia sul corpo-massa della popolazione.
La salute prima di tutto. Come per ogni corpo, il nostro conatus è sempre sforzo di perseverare nell’essere. In Spinoza l’essenza della singolarità è la sua stessa tensione: il desiderio di durare in vita. Quando diciamo biocapitale diciamo soprattutto plusvalore generato a partire da e sottratto a quella continua potenza in atto che è il desiderio di vita disseminato in tutti i corpi, compresi quelli umani. Il biocapitale ha radici profonde, ci toccherà lavorare sui nostri sé, decostruire il sistema immunitario cartesiano che ancora li separa dal tutto. Erroneamente, crediamo che la salute sia un qualcosa di riconducibile ai singoli individui umani, la abbiamo privatizzata e rateizzata, facciamo quanto in nostro potere (economico) per conservarla (e dunque vivere) sempre più a lungo. Ma la salute umana non è forse interrelata a quella di tutte le altre creature terrestri?
Durante la settimana più nera per le borse dal 2008, in Antartide la temperatura ha raggiunto i 20 gradi. Ricorro con ironia all’antropomorfismo: si direbbe che il Polo Sud abbia la febbre, se fosse nostra nipote la avremmo già “tamponata”. Spinoza mi insegna a non temere, non sarò relativista: l’errore esiste, deriva da una cattiva conoscenza delle cause dei mali da evitare. Se solo ci sforzassimo di esistere&conoscere, capiremo forse meglio che non può accadere che l’uomo non sia una parte della natura (Spinoza, Etica, IV, cap. VII)?
Non si tratta di desiderare la nostra stessa morte, possiamo rifiutare lo stato di emergenza continuando a vivere:
morire non è cosa facile da visualizzare «amichevolmente». Ma la battaglia non è l’unica via per indicare il processo della vita mortale. Le persone che affrontano le conseguenze potenzialmente letali dell’infezione da virus HiV hanno ribadito che si può vivere con l’aids, non hanno accettato lo statuto di vittime (o prigioniere di guerra?) (Haraway, Le promesse dei mostri, 2019, 117).
Non sarà facile visti i limiti alla libertà di movimento, ma noi eco/cyborg/transfemministe continueremo ad andarcene in giro nel mezzo di Sars Wars Cov-2 e sequel spiegando quel po’ che abbiamo capito: la Terra è un’incubatrice mostruosa, pare ci siano dei sapiens oltre ai virus. E nei corpi dei sapiens pare ci siano centinaia di batteri, tanti quanti le cellule. Non siamo gli unici abitanti della vita e della terra che ci ritroviamo tra le mani e sotto i piedi. Non siamo neppure più utili dei virus alla salute terreste. Di sicuro agli ecosistemi marini messi a dura prova dal riscaldamento globale da noi provocato fanno più bene loro dei sapiens, visto che infettando il plancton, rimettono in circolo nutrienti essenziali per la catena alimentare dell’ecosistema e che pare abbiano proprietà utili alla riduzione delle emissioni di carbonio. Nessuno sa cosa un virus può in potenza, figuriamoci una parentela postumana virale contro il riscaldamento globale.
Anticorpi e parentele transfemministe: #scioperoriproduttivo!
Noi potremmo fare la nostra parte sia chiaro, non è che deleghiamo tutto il lavoro ai virus, dovremmo mimarli, ricorrendo all’arte della mimesis femminista, dovremmo diffondere comportamenti destabilizzanti e annichilenti. Haraway ci ricorda che i virus sono organismi «capaci di cambiare il mondo […] contrabbandieri proteiformi» (2019, 52). La biologia li considera da poco ottavo regno perché, ancora intrisa di vitalismo antropocentrista, non riesce a classificarli come vere e proprie forme di vita, vi si riferisce con l’espressione “entità biologiche” e li spiega come ibridi in bilico tra vivente e non vivente, parassiti perché per vivere e riprodursi hanno bisogno di un organismo che li ospiti. Che questa spiegazione ci torni familiare anche per l’umano, è questo il mio augurio: siamo tutt* in bilico tra la vita e la morte e abbiamo tutt* bisogno di un intero mondo che ci ospiti per vivere e riprodurci. Gli anticorpi che siamo chiamat* a sviluppare non dovranno difenderci da Cov-3, ma dall’iperproduttivismo capitalista (anche dalla recessione che si profila all’orizzonte) e dall’imperativo che lo sorregge: tenete in vita l’umano prima di tutto!
Vedete, questo invito è tanto simile a quelli fatti in casi diversi e in assenza di #rischiocontagioCov-2. Al ritornello bisogna difendere la società si è chiaramente sovrapposto il ritornello: bisogna curare la società. Meglio ancora: bisogna far in modo che la società si curi da sola, che investa in prevenzione, auto-terapia, auto-diagnosi/prognosi. Chi ha resistito fin ora si piegherà dinnanzi al picco di contagi globali previsto per fine marzo. E dopo Sars Wars Cov-2 correremo tutti nei nostri bioshop online a ordinare test genetici do it yourself che ci prediranno il rischio di contrarre il Cov-3 (lo facciamo già ora e lo facevamo prima, migliaia di individui “sani” già testano i loro geni per vagliare la sola eventualità che possano in futuro contrarre determinate patologie). Intanto corriamo a lavarci le mani, almeno da quando ci siamo accorti che il virus esiste (perché fin tanto che era in Cina non era mica certo no?). Intanto teniamoci a distanza 10 metri dalle persone che starnutiscono, non lasciamo avvicinare il nemico mai e nel dubbio corriamo via veloci a disinfettarci con cloro e alcol (ho parafrasato dal decalogo del Ministero della salute).
Disfunzionali, lente, già infette e pronte a infettare, corpi superdiffusori di empatia transpecie, mi appello a voi ricorrendo all’hashtag più ironico e perciò affascinante pescato dalla mia bolla prossemica: #quarantenaredistributiva! Dal canto mio, affetta dal desiderio di co-creare nozioni comuni e perciò virali, aggiungo: #sospensionedellariproduzione #virusperilnonlavorounitevi!
Non metto l’ironia da parte, no. Mi aiuta a ritornare, lucidamente, su chi davvero paga le misure emergenziali prese in nome dell’immunità della specie. Perché lo ricordiamo a stento in tempi di mantenimento dello status quo, forse in questo caos proprio lo abbiamo rimosso: se le scuole chiudono le/gli studenti dove stanno? A casa no? E a casa chi c’è? Avanti mamme, zie, sorelle, nonne, si tratta di curare la società, chi deve farlo se non voi che l’avete sempre fatto? E gli/le insegnanti delle scuole che non riceveranno alcun salario a causa della sospensione delle attività didattiche? Qui potevo tranquillamente usare il femminile universale, tanto i contratti precari nella scuola pubblica (per non parlare delle università) ce li hanno soprattutto le donne. E se gli anziani vengono quasi obbligati a non uscir di casa, chi baderà a loro? E le/gli educatrici/ori? Ma il governo aiuta le medie imprese, cioè aiuta le banche, pagando loro i debiti che le imprese non possono (o non potevano? o non potranno?) pagare da sole.
Nell’emergenza saranno forse più palesi le contraddizioni che il capitale si trascina dietro? Non Una di Meno vorrebbe portare queste contraddizioni per le strade l’otto e il nove marzo 2020, ma non può farlo, perché a una settimana dallo sciopero la commissione di garanzia ne ha intimato la revoca.
In nome del virus e del padre: andate a messa, non scioperate! Semmai state a casa a prendervi cura de* ragazz* che non stanno andando a scuola! Ma…se lasciassimo i ragazzi per strada, gli anziani da soli a casa e noi ci disperdessimo in ogni dove, ovunque basta che non ci trovino laddove ci aspettano? Saremo ciniche, cattive, cattivissime ragazze. Sarebbe favoloso, ma sarebbe comunque troppo poco. Rischiamo l’adunata sediziosa? In molt* tra noi non temono i tamponi (si dice che ogni mese sanguiniamo senza morire). Ci siamo allenat* alla zona rossa in un ventennio di lotte globali, sopravvivendo a AIDS, aviaria e Sars 1. Ora, in nome del virus, il padre (lo stato-nazione) ci confina a casa e sperimenta su vasta scala infocontrollo e sfruttamento digitalizzato. Magari ha colto l’occasione, magari non era nemmeno del tutto preparato, ma mi auguro che quattro anni di sciopero e dunque di lavoro politico comune sull’invisibilizzazione e l’atomizzazione del lavoro riproduttivo ci abbiano fornito gli anticorpi necessari a sopravvivere nel “laboratorio ospedaliero-militare italia”. Grazie a NUDM, so che ci sono migliaia di corpi indisposti a rinunciare a quella botta di endorfina che innescano gli incontri in strade liberate, corpi su cui non attecchisce alcuna revoca, che si sono resi immuni al controllo, tessendo parentele e sviluppando anticorpi che si chiamano trans/eco/cyborgfemminismo, corpi che in questi anni, insieme, si sono fatti marea.
Sapete quanti virus si porta dietro una marea? E quanto possono sopravvivere una volta sulla terraferma? Lo sciopero riproduttivo è così: è virale. Possono provare a contenerne i focolai, ma strisceremo impercettibili e muteremo casualmente, r/esisteremo. Che combattano da soli le loro Sars Wars, noi facciamo lo #scioperoriproduttivo!