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Le sfide della ricerca con media indipendenti e lotte indigene in Argentina

Un estratto e una presentazione del libro di Francesca Belotti “Indigenous Media Activism in Argentina” (edito da Routledge 2022, 124 pp.) informato a una postura epistemica che vuole la produzione di conoscenza al servizio della trasformazione sociale

Indigenous Media Activism in Argentina esplora l’attivismo indigeno in Argentina attraverso la lente delle pratiche mediali che le comunità di popoli originari portano avanti nelle loro emittenti radiofoniche e televisive da quando, nel 2009, la Ley 26.522 de Servicios de Comunicación Audiovisual ha pioneristicamente riformato il sistema mediatico nazionale secondo i principi del pluralismo e della diversità.

Francesca Belotti propone un modello di comprensione del lavoro decoloniale portato avanti dai media indigeni che si snoda lungo tre assi: la matrice, sia politica che culturale, del mediattivismo; l’atteggiamento, allo stesso tempo, di resistenza e di propositività; e la doppia direzione, verso l’esterno e verso l’interno del mondo indigeno, dell’impegno comunicativo e militante.

La ricerca da cui il libro attinge si appoggia su quadro teorico-concettuale che combina studi sull’indigeneità, sui movimenti sociali/decoloniali e sulle pratiche mediali, e si basa su più di trenta interviste condotte in tutte le regioni culturali dell’Argentina con media practitioner di diversa nazionalità indigena.

L’intero disegno della ricerca e, ancor di più, l’impianto analitico del libro, sono informati a una postura epistemica che vuole la produzione di conoscenza al servizio della trasformazione sociale.

Per questo motivo l’autrice discute criticamente anche le proprie pratiche di ricerca, problematizzandole nell’ambito di un delicato percorso personale e professionale di messa in discussione, in chiave decoloniale, sia del ruolo della ricerca sociale che delle forme dell’attivismo politico.

L’analisi dà conto di come le pratiche mediali nei fatti supportino l’attivismo politico e culturale dei popoli indigeni e il loro processo di auto-ascrizione identitaria etnica, sia nei territori fisico-naturali in cui le comunità abitano, sia nel campo simbolico-immateriale della cultura. Vengono inoltre in evidenza le complessità e le contraddizioni che nascono nella negoziazione quotidiana tra l’esigenza di indigenizzare i media e la spinta all’assimilazione di logiche e formati mainstream.

Estratti dal libro “Indigenous Media Activism in Argentina”

[…] I media indigeni possono essere definiti in senso lato come i processi e i progetti di comunicazione realizzati da, con e/o sui popoli indigeni con/nei media, allo scopo di costruire discorsi e pratiche che sostengano le loro rivendicazioni culturali, politiche, economiche e sociali per l’autodeterminazione e l’auto-rappresentazione […].

Nella mia esperienza di ricerca, i media hanno funzionato come un portale elettronico attraverso il quale ho potuto intravedere il mondo dei popoli originari e osservarne gli sforzi per affermare i loro diritti all’auto-rappresentazione, alla governance e all’autonomia culturale dopo secoli di politiche assimilazioniste, sottomissione ed emarginazione […].

Nel corso del libro indago le pratiche mediali come elementi costitutivi di un’ampia gamma di strategie emancipatorie dei popoli indigeni in Argentina nei tre fronti principali in cui le ho viste all’opera:

  • Territorio, inteso come lo spazio naturale in cui vivono le comunità indigene e con cui si relazionano olisticamente sulla base delle proprie cosmogonie; da difendere dalle interferenze estrattive e/o inquinanti dello Stato e delle imprese private
  • Cultura, intesa come lo spazio simbolico definito dalle credenze, dalle tradizioni, dai rituali, dai saperi e dalle lingue delle comunità indigene; da riscattare dall’invisibilità in cui sono state relegate ad opera dell’omogeneizzazione culturale imposta dal Nord e Ovest Globali
  • Gestione dei media, intesa come lo spazio operativo in cui le comunità indigene applicano i valori e i principi che identificano la loro appartenenza etnica alla produzione mediatica quotidiana, facendo i conti con le opportunità e le limitazioni di un sistema mediatico basato su logiche e formati mainstream

In ognuna di queste aree, ho notato che il mediattivismo indigeno si è sviluppato lungo tre assi principali: una doppia matrice culturale e politica; una doppia direzione, verso l’esterno e verso l’interno del mondo indigeno; e un atteggiamento sia conflittuale che propositivo. Il primo asse si riferisce all’interazione tra l’agentività politica e l’interventismo culturale attraverso il quale i popoli indigeni rispondono alle strutture di potere che hanno cancellato o distorto i loro interessi e le loro realtà […]. Il secondo asse deriva direttamente dalla posizione dei media come “interfaccia culturale” […] in cui le visioni del mondo indigene e quelle del Nord e dell’Ovest Globali si incontrano/scontrano e quindi […] si intersecano e si contrappongono nei discorsi e nelle performance culturali. Il terzo asse riguarda l’essenza stessa della “decolonialità” […], intesa come tentativo di sfidare l’influenza coloniale in ogni campo in cui si è infiltrata e di contrastarla con alternative informate da forme di vita e valori propriamente indigeni.

[…] Il capitolo 2 analizza le pratiche mediali che sostengono le lotte territoriali dei popoli indigeni come un fertile campo di battaglia in cui si può vedere la decolonialità agita verso l’interno e l’esterno dei media. Dopo aver tracciato i principali conflitti territoriali che hanno coinvolto le comunità indigene in Argentina e averli tematizzati come uno scontro ontologico e ontico tra la concezione coloniale e quella indigena di “territorio”, il capitolo illustra come ə media practitioner indigenə raccontano ciò che accade nelle loro terre, come le abitano e infine come incorporano il territorio in quanto cosmogonia nella produzione mediatica. Facendo conoscere le lotte territoriali, lanciano una chiamata all’azione, amplificando così la portata delle proteste e mettendo in rete le comunità indigene in lotta in diverse parti del Paese.

Partecipando a questi conflitti, testimoniano la loro versione della storia della colonizzazione, localizzandola così nelle esperienze di coloro che vivono e lottano per il territorio. Così facendo, incorporano anche il territorio stesso nei media come ulteriore spazio e strumento per agire […] la relazione che scaturisce dal rapporto olistico comunità-Madre Terra.

Il capitolo 3 esplora il mediattivismo indigeno nel campo della cultura, evidenziando fin dall’inizio la centralità della comunicazione come meccanismo di riproduzione delle cosmogonie indigene e di definizione di altre forme di sussistenza e di relazione. Il capitolo indaga le pratiche mediali indigene volte a promuovere queste cosmogonie e forme di vita e a contestare quelle della cultura dominante.

La prima sezione affronta la centralità dell’oralità sia nella trasmissione intergenerazionale del sapere sia nella narrazione collettiva di storie all’interno delle comunità, evidenziando così il ruolo fondamentale che le trasmissioni radiofoniche svolgono sia per gli stessi popoli indigeni sia per la società coloniale.

La seconda sezione si concentra sulla pratica decoloniale di centrare la produzione di contenuti mediatici nella vita quotidiana delle comunità indigene come gesto contro-egemonico che ridefinisce le priorità e le relazioni sociali, contrastando gli stereotipi sul mondo indigeno. Infine, l’ultima sezione analizza i molteplici significati del salvataggio delle lingue native nella programmazione dei media indigeni e conclude con una riflessione sul dialogo interculturale che l’ibridazione di generi e lingue potrebbe aprire.

Il capitolo 4 indaga l’attivismo indigeno nel campo della sostenibilità istituzionale, sociale ed economica dei media come campo di tensioni/negoziazioni con la modernità coloniale. In primo luogo, analizza le dinamiche interne dell’organizzazione e della gestione dei media, spiegando in che misura ə media practitioner indigenə riescono a indigenizzare i processi interni e in che misura prevalgono invece gli standard del Nord e dell’Ovest Globali.

In secondo luogo, il capitolo si concentra sulle dinamiche relazionali tra giovani e anziani, e tra donne e uomini, problematizzando così l’interazione tra i ruoli sociali nella cultura indigena e gli stereotipi legati all’uso delle moderne tecnologie di comunicazione. Infine, il capitolo esplora le strategie di coping adottate daə media maker indigeni per sopravvivere nel sistema mediatico, dimostrando così i loro sforzi per conciliare la militanza con la sussistenza, e per soddisfare le richieste della burocrazia rimanendo fedeli ai loro progetti politici e culturali.

[…] Mi sono avvicinata a questo lavoro come ricercatrice e attivista bianca del Nord Globale, sperando di utilizzare le mie competenze per sostenere le lotte per l’autodeterminazione indigena. […]. Come chiarisce Tuhiwai-Smith (2016: 171), la produzione di conoscenza “espande e migliora le condizioni per la giustizia [sociale]” in quanto “progetto intellettuale, cognitivo e morale, spesso irto, mai completo ma utile”. […]

Un esempio tangibile si può trovare nel modo in cui ho adattato le mie tecniche di ricerca lungo il percorso e ho lasciato che le interviste [individuali] diventassero spontaneamente collettive quando, in alcune occasioni, interi team (responsabili della gestione delle emittenti) vi hanno partecipato. […] In altre occasioni, il lavoro sul campo stesso è diventato un’opportunità di restituzione, attraverso chiacchierate informali o interviste radiofoniche in diretta, in cui ho condiviso aggiornamenti sullo studio e scambiato intuizioni analitiche preliminari con ə portavoce indigenə, secondo i loro principi di co-costruzione della conoscenza.

Queste pratiche di ricerca mi hanno posto in una posizione interstiziale, coerente con le mie esperienze liminali di ricercatrice e attivista a cavallo tra mondo indigeno e non indigeno […]. Ho sperimentato le pratiche mediali indigene vivendo tra l’accademia, i media alternativi e i movimenti di base. […]

Le reazioni deə interlocutorə indigenə e il modo in cui mi hanno percepito mi hanno guidato in questa sfida. Mentre alcunə di loro si sono rifiutatə di partecipare, altrə lo hanno fatto con disappunto (sostenevano che non spettava a una ricercatrice non indigena indagare o accompagnare le rivendicazioni indigene). Queste reazioni erano più che comprensibili alla luce delle “pratiche di ricerca non etiche” che alcunə studiosə hanno applicato per lungo tempo nel campo degli studi indigeni […]. Oltre a essere “eccessivamente ricercate e alterate” […], le comunità indigene sono state spesso studiate attraverso protocolli estrattivisti che raccolgono dal campo ma non tornano alle comunità […].

[…] Ho dovuto riconoscere, esaminare e cercare di smantellare il mio coinvolgimento individuale nei sistemi coloniali, in un processo incompiuto di “decolonizzazione del sé” […]. Ho dovuto riconoscere che non capivo davvero cosa significasse essere indigenə e subire un assoggettamento fisico e culturale per oltre 520 anni.

In questo mi ha aiutato la partecipazione al coevo movimento #NiUnaMenos, poiché le riflessioni e i dibattiti che abbiamo avuto tra le compagne della Rete Nazionale dei Media Alternativi dell’Argentina mi hanno fatto capire che i nostri compagni di lotta non potevano comprendere appieno l’esperienza della violenza patriarcale sul corpo delle donne né la forza del movimento che stavamo promuovendo. Poi ho capito che qualcosa di simile valeva per la violenza coloniale contro le comunità indigene […].

Tuttavia, non ho servito la causa indigena quanto e come avrei voluto […]. Non sono stata in grado di aprire spazi […] per discutere collettivamente i risultati della ricerca e, da lì, comprenderne l’utilizzabilità pratica. […]

Alcunə amicə indigenə mi hanno aiutato chiarendo a cosa pensavano potesse contribuire il mio studio. Un amico mapuche e uno kolla mi hanno detto che non avevano abbastanza tempo o risorse per mappare le emittenti indigene sparse per il Paese, o per elencare i loro problemi, poiché avevano altri impegni e lotte più urgenti da portare avanti; quindi, secondo loro, il mio lavoro era utile perché potevo andare dove loro non riuscivano.

Un’altra amica mapuche mi ha detto che avrebbe usato il mio report di ricerca con le autorità per rivendicare la liberazione della loro frequenza radiofonica (occupata indebitamente da una radio commerciale locale); […] in certa misura, un endorsement basato su dati empirici è stato utile […]. Questo libro rappresenta un ulteriore tentativo di contribuire a un resoconto sia del mondo indigeno che ho conosciuto attraverso la ricerca, sia di ciò che ho imparato su come affrontarlo e attraversarlo.

Il libro Indigenous Media Activism in Argentina è edito da Routledge 2022, New York, 124 pp. – ISBN 9781032151830

Immagine di copertina e foto nell’articolo di Francesca Belotti