approfondimenti
ROMA
“Le parole sono pietre”, assemblea pubblica di convergenza a Roma
Riportiamo l’appello per una assemblea pubblica a Communia il 14 novembre. Davanti al moltiplicarsi di lotte e manifestazioni di questo mese è necessario trovare fili comuni e convergenze, a partire da parole condivise, guardando l’autunno e oltre, per superare la frammentazione esistente e non arrendersi davanti alla durezza della situazione
Da un paio di mesi si incontra a cadenza bisettimanale una assemblea pubblica composta da decine di realtà cittadine, spazi, collettivi, reti e singole persone. Il desiderio è quello di provare a costruire uno spazio di convergenza tra lotte e istanze a livello locale ma con lo sguardo aperto alla situazione del Paese e a quella globale. C’è in cantiere il progetto di un momento residenziale a inizio 2025 in cui tessere reti e costruire un terreno comune di mobilitazione quanto mai necessario in questo momento storico.
Alla base vi è la consapevolezza che viviamo in un regime di guerra nel mondo, in Europa e nell’Italia del governo fascista di Meloni. In comune c’è la voglia di articolare resistenze a partire da alcune parole chiave, che sono condivise nel documento di convocazione.
Le due settimane tra il 15 e il 29 novembre diventano uno spazio naturale in cui provare ad avviare questa convergenza per la prossimità di numerose mobilitazioni, dallo sciopero studentesco del 15 fino a quello generale del 29, passando per il Climate Pride e per il corteo transfemminista di Non Una di Meno del 23 novembre.
Il 14 novembre a Communia vi sarà una assemblea aperta proprio per tenere assieme i fili che ci legano assieme in questo mese di lotte e per guardare all’orizzonte futuro cospirando, ossia respirando assieme.
A seguire il testo di convocazione dell’assemblea
«Tirar su le pietre dalla pianta dei sogni», scriveva Marguerite Yourcenar. Oggi più che mai ci sembra calzante per la fase storica che stiamo attraversando, non una tra le tante.
L’accelerazione bellicista e autoritaria nel discorso pubblico prepara il terreno per la guerra di lunga durata e per un suo prossimo allargamento, per il definitivo smantellamento del welfare state a colpi di tagli lineari, in favore dell’industria bellica, per la compressione dei diritti, della libertà e della possibilità di dissenso.
Per questo immaginiamo le giornate di mobilitazione da metà novembre, dal 15 al 23 e oltre, fino allo sciopero generale del 29 novembre, recentemente proclamato e che sfida la frammentazione sindacale degli ultimi anni, come un momento di convergenza, riconoscimento reciproco e di conflitti condivisi e come un’occasione da cogliere.
Per farlo invitiamo tutte e tutti a un’assemblea pubblica proprio per confrontarci su questi temi,
provando a definire alcune parole necessarie per un vocabolario comune.
GUERRA E REGIME DI GUERRA
Da ormai quasi tre anni si combatte in Ucraina, con centinaia di migliaia di morti da una parte e dall’altra e la distruzione di parti sempre più grandi del paese, mentre da oltre un anno si perpetua un genocidio, terribile e mostruoso, in Palestina, parte di un conflitto che promette di allargarsi all’intera regione.
Nel frattempo, la guerra e le sue logiche hanno trasformato le condizioni in cui ci troviamo: il militarismo ridefinisce globalmente la società su una molteplicità di piani, alimentando l’autoritarismo e il razzismo, rafforzando le gerarchie, dirottando risorse dal benessere collettivo alle spese militari.
Questo è drammaticamente vero in particolare nel nostro Paese, tra i maggiori produttori di strumenti di morte, con le grandi corporations, Leonardo su tutte, pronte a cogliere l’imperdibile occasione di profitto nello scenario contemporaneo.
Il paradigma politico-culturale prodotto dal regime di guerra ci coinvolge direttamente, chiedendoci di accettare il presente per il bene della Patria e dell’Occidente tutto, con buona pace dei salari fermi al palo da più di trent’anni, della spesa sociale già ridotta all’osso da anni di austerity ma sempre pronta per essere ulteriormente saccheggiata, dei diritti e delle libertà di tuttə.
Chi non si allinea va rieducato, represso, cancellato, sommerso, perché i grandi interessi economici devono poter liberamente pasteggiare sul cadavere delle democrazie alla deriva. La guerra che si fa mondiale impone fronti, schieramenti. La logica amico/nemico si insinua anche nei movimenti, riducendo esperienze e possibilità.
Noi invece scegliamo in modo ostinato e contrario di rifiutare la guerra che, nuovamente, garantisce la ridefinizione dei poteri e l’espansione dei profitti. Scegliamo di essere disertori e di opporci alla guerra e alle sue logiche.
ECOSISTEMA
L’emergenza climatica ed ecologica è sotto i nostri occhi, irrompe in Europa con la stessa forza con cui già da tempo devasta il Sud Globale, producendo migrazioni, morte, collasso degli ecosistemi, approfondimento delle disuguaglianze. Scegliere consapevolmente di non vedere, o piuttosto approntare forme di transizione “sostenibili” per il capitale, si rivela di giorno in giorno un progetto che da un lato scarica costantemente i costi di questa transizione sul lavoro vivo e dall’altro resta una goccia nel mare di una devastazione che pare non arrestarsi mai.
Abbracciare una visione ecosistemica, comprendere che il brusco stravolgimento degli equilibri naturali è il prodotto dell’impatto devastante dell’economia capitalistica sull’ambiente, fare dell’ecologia un campo di battaglia è l’unico modo per opporsi alla devastazione ambientale e per immaginare un nuovo sistema fondato sull’uguaglianza e sul rispetto, non solo per gli esseri viventi ma per tutto il pianeta. Che, vale la pena ricordarlo, per ora è l’unico che abbiamo.
TRANSFEMMINISMO
La violenza maschile e di genere e il sistema patriarcale tutto sono rafforzati dalla guerra e trovano sostegno nelle politiche autoritarie di questo governo. Vengono stanziati ingenti fondi per l’industria bellica e per la militarizzazione dei territori, mentre si smantellano welfare, diritti, istituzioni pubbliche di supporto e cura. Il contrasto alla violenza di genere diventa un miraggio, e la crisi abitativa aggravata dal Giubileo rende la completa fuoriuscita dalla violenza un privilegio che nessunə può davvero sostenere.
Il familismo di governo attacca il lavoro delle donne, rendendolo sempre più precario e colpisce particolarmente le donne migranti e razzializzate, per cui lo sfruttamento e l’invisibilizzazione sembra l’unico destino possibile.È necessario disvelare la narrazione dominante, trovare nuove parole d’ordine che non ripropongano i soliti stereotipi ma che mirino a creare un nuovo sistema sociale economico e culturale.
Le maree transfemministe dell’ultima decade hanno travolto il dibattito pubblico e quello “di movimento” dei gruppi e delle realtà organizzate. Continuare a contrapporre i diritti civili ai diritti sociali, mentre sono erosi gli uni e gli altri, rappresenta, nella migliore delle ipotesi, una scusa per evitare un cambiamento necessario, nella peggiore voler mantenere un sistema di potere patriarcale, e questo vale per la società tutta, nelle sue parti più retrograde e conservatrici come in quelle più progressiste.
Scegliamo di mettere in discussione noi stessə rifiutando e combattendo la gerarchizzazione delle lotte, la brutalità quotidiana della violenza di genere, l’esclusione e la subordinazione a cui sono sottoposte le donne, le persone trans* e chi vive ai margini, la riproposizione di stereotipi maschili e femminili, il motivetto “dio, patria e famiglia”, la riproduzione quotidiana di queste dinamiche.
SCIOPERO
Uno strumento di lotta che, lo ammettiamo, è quanto mai spuntato. Dall’inadeguatezza e dal corporativismo di una parte del sindacalismo italiano, dalla trasformazione del mercato del lavoro, dalla precarietà che è misura del lavoro contemporaneo e della vita tutta, insieme alla frammentazione drammatica della forza lavoro e della possibilità di organizzazione e azione collettiva. La lotta di classe è combattuta in modo spietato dal capitalismo, senza esclusione di colpi.
Lo scioperò però è stato negli ultimi anni, e continua a essere, anche e soprattutto un campo di battaglia, come ci mostra lo sciopero globale transfemminista e il tentativo di risignificare uno strumento a cavallo tra lavoro e non lavoro, uno strumento politico utile anche alle figure più precarie e ricattabili, isolate all’interno di un mondo del lavoro sempre più frammentato.
Bisogna dunque riorganizzare il fronte, dichiarare l’insubordinazione di massa contro lo sfruttamento, riprendere in mano lo sciopero, generale e sociale, per rifarne strumento contundente, forma di riconoscimento, di unione e convergenza delle lotte per scioperare la guerra, facendone un processo di costruzione d’alternativa.
TIRIAMO SU PIETRE, COSTRUIAMO ALLEANZE
Ci siamo confrontati negli ultimi mesi su questi temi e sull’urgenza viscerale di costruire chiavi di lettura e strumenti d’azione condivisi, uno spazio di movimento aperto e collettivo, in cui mettere in comune i conflitti che esistono per costruire quelli che verranno. Vogliamo farlo a partire dalle tante piazze che ci saranno nelle prossime settimane. Vogliamo nominarle, una per una: 15 novembre cortei studenteschi in tutte le città italiane, 16 novembre street parade nazionale “Climate pride”, 17 novembre giornata di mobilitazione nazionale GKN a Firenze, 23 novembre manifestazione nazionale del movimento transfemminista Non Una Di Meno, 29 novembre sciopero generale e sociale.Vogliamo però anche guardare al prossimo anno, oltre le scadenze autunnali, per la costruzione di un momento di incontro, una “residenza politica”, di respiro nazionale. Per farlo invitiamo tuttə, movimenti, realtà sociali, sindacati di base e singol* attivist* e militant*, ad un’assemblea pubblica giovedì 14 novembre, alle ore 18, a Communia.Non per sommare energie ma per moltiplicarle, farle esplodere.
Perché quelle pietre smettano di esser solo pesi ma diventino la forma solida dei nostri sogni.
Foto di copertina, Renato Ferrantini
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