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MONDO
Ecuador, le miniere a Intag: non solo una questione ambientale
L’attività mineraria produce un impatto su diversi aspetti della vita delle popolazioni, sconvolgendo violentemente l’economia e il tessuto sociale locale. A pagarne le conseguenze sono soprattutto le donne, che si organizzano per resistere
La violenza di genere, il degrado ambientale e l’instabilità climatica sono tra le sfide più pressanti per la società odierna. Nel caso dell’estrattivismo minerario, la questione ambientale e quella sociale sono strettamente correlate e si influenzano l’un l’altra. Pertanto, comprendere e affrontare la violenza di genere è una parte fondamentale di un’azione ambientale responsabile in un mondo complesso.
Violenza di genere e questione ambientale
La complessità di una situazione si riferisce alla combinazione di un componente fisico e uno associato al sistema umano, che è riflessivo e adattivo in base alle circostanze esterne. Perciò, è necessario che l’analisi dell’impatto dell’attività mineraria valuti diversi aspetti legati all’esistenza. Innanzitutto, in Intag, la maggior parte della popolazione consuma gli alimenti che essi stessi producono in un processo di sovranità alimentare. E spesso sono le donne a occuparsi dei campi, soprattutto dall’arrivo delle miniere nella zona, che ha sconvolto violentemente l’economia e il tessuto sociale locale.
Molte donne, soprattutto nelle zone rurali, sono storicamente discriminate ed emarginate socialmente ed economicamente, a causa di un accesso limitato o inesistente alla terra e alle risorse naturali, alle opportunità economiche, all’istruzione, alla sanità, all’infrastruttura, alla tecnologia e ai servizi finanziari. In questo caso, però, la situazione si ribalta, perché, con l’arrivo delle imprese minerarie, il lavoro della terra viene screditato e quindi, ancora una volta, relegato alle fasce più emarginate della popolazione.
La maggior parte dei minatori sono uomini: le poche donne che riescono a trovare lavoro nelle miniere spesso sono esposte alla discriminazione sul lavoro e a molestie sessuali, utilizzate come mezzi per preservare un certo ordine sociale e per aiutare le aziende a mantenere il loro controllo sulle risorse. Allo stesso modo, le prestabilite norme di genere possono diventare armi, spesso anche arrivando a includere violenza.
Attività mineraria e lavoro agricolo
Nelle zone di estrattivismo, è comune che gli abitanti diventino totalmente dipendenti dai salari dell’azienda e si allontanino dalle loro terre, preferendo il lavoro minerario a quello agricolo. In più, il governo promuove l’attività mineraria come uno dei principali motori della transizione economica. Attraverso la miniera, viene auspicata la creazione di posti di lavoro di qualità, con buoni salari e stabilità, in opposizione alla precarietà del lavoro nei campi. Ma, nelle comunità preoccupa il fatto che si avrà una collettivizzazione dei danni a fronte di una privatizzazione dei benefici.
Chiaramente, la stabilità economica offerta dall’attività mineraria non è ancora paragonabile a quella offerta dall’agricoltura. Perciò spesso accade che molti uomini accettino il lavoro nelle miniere e che le donne non abbiano altra scelta se non occuparsi del lavoro nei campi, dell’allevamento del bestiame e della cura della prole.
In ogni caso, ci sono esempi virtuosi di opposizione a questa deriva devastante causata dall’attività mineraria, per dimostrare che ci sono alternative nella zona e non è necessario scegliere la via delle miniere per vivere. Ad esempio, nella comunità di Junín, a Intag, le donne hanno iniziato a cercare alternative a ciò che offriva il lavoro nelle miniere, producendo farina di yuca, banana, chifles, yogurt e prodotti artigianali.
Inoltre, negli ultimi anni, c’è stato un incremento nella promozione del turismo, che genera gradualmente occupazione diretta. A differenza dell’attività mineraria, che genera posti di lavoro solo per il tempo di vita utile della miniera, il settore turistico ha un processo di crescita e stabilizzazione a lungo termine.
«Perché l’attività mineraria ha due facce: una promettente e l’altra desolante», questo è evidente nel fatto che, mentre queste miniere distruggono il territorio, offrono lavoro a molte persone. In più, nelle aree dove arrivano le imprese minerarie, alcune cose cambiano: miglioramenti delle strade, costruzione di abitazioni, dinamicità della vita economica e sociale, crescita demografica. Ma, in realtà, si creano molte più aspettative sociali di sviluppo che accesso effettivo ai benefici della presenza di multinazionali estrattiviste.
La resistenza della popolazione locale
Ed è per questo che una parte della popolazione lavora per l’azienda e supporta l’attività mineraria, mentre altri si sono consolidati in una resistenza che continua da varie generazioni. «Prima erano tutti una famiglia, da quando è arrivata l’azienda le comunità si sono disgregate, prima era molto diverso, c’era fiducia tra tutti». Perché, se è vero che gli impatti a livello ambientale sono molto pericolosi, non bisogna dimenticare che l’attività mineraria porta anche molti problemi a livello sociale.
Con i nuovi posti di lavoro, si osserva un aumento dei prezzi, dovuto alla presenza di più denaro e all’isolamento geografico delle zone interessate. Ciò porta le comunità ad affrontare impatti negativi sulla loro sovranità alimentare, sia per i prezzi più alti sia perché le imprese acquistano vaste superfici di terra intorno alle miniere lasciando la popolazione locale senza terre coltivabili per autosostenersi.
Inoltre, a oggi, il costo della manodopera mineraria è drasticamente diminuito, provocando una scarsa stabilità lavorativa reale, dovuta sia alle variazioni dei prezzi dei minerali sia al progressivo esaurimento delle risorse. Da una parte sembra che il lavoro nella miniera sia l’unica alternativa possibile a una vita di sopravvivenza nel campo, ma, dall’altra, l’attrattiva salariale mineraria diminuisce sempre più.
Perché lo sfruttamento di risorse non rinnovabili non è sostenibile, data la scarsità delle risorse esistenti. Inoltre, l’Ecuador non dispone di leggi ambientali o lavorative robuste per proteggere la sua natura e i suoi lavoratori e lavoratrici: la Legge Mineraria tutela le imprese nel prendere possesso delle risorse senza il consenso della popolazione.
Ed è per questo che risulta fondamentale il lavoro offerto dalle associazioni della zona come alternativa, affinché si possa credere in questi nuovi mezzi di sussistenza e si allontanino dall’idea che l’attività mineraria sia l’unico percorso da seguire. Per fornire un’alternativa valida, che sia sostenibile nel tempo, per riallacciarsi alla visione dei propri antenati, che, prima di tutto, guardavano alla terra e alla sua preservazione.
Il ruolo delle donne nella resistenza
Ileana Torres, della comunità di Junín e parte del gruppo Asopavida, ci racconta che il ruolo delle donne nella resistenza non è stato solo quello di offrire alternative, ma anche di combattere in prima linea contro le imprese. «Quando sono arrivati i militari, abbiamoresistito in vari modi. Questa è una questione di vita o di morte, sia per noi che per i nostri figli e nipoti, sia per la natura da cui dipendiamo per il nostro benessere», così dice.
Come organizzazione, uno dei loro ruoli è dimostrare che si possono cercare alternative di lavoro. È necessario rimanere focalizzati sul futuro, per lasciare ai loro figli e figlie una vita migliore di quella che hanno vissuto loro. Perché è chiaro che a breve termine l’attrattiva mineraria è elevata, ma, spingendo lo sguardo più in avanti, si evidenziano le conseguenze altamente negative dell’estrattivismo.
Un’altra compagna della comunità di Junín, Silvana Ramirez, ci racconta che i primi atti di resistenza ai quali ha partecipato sono stati quando era ancora una bambina. I suoi genitori sono stati parte della resistenza fin da subito e lei ha continuato a difendere i principi che ha imparato da loro: soprattutto la difesa dell’acqua, che è essenziale per le loro vite e per quelle di coloro che verranno dopo di loro. «Siamo qui per lasciare un esempio ai nostri figli e alle generazioni future, principalmente per la cura della natura e dell’acqua, che è la cosa più importante, come i miei genitori mi hanno insegnato», ci racconta.
Proprio a Junín, per anni la polizia ha limitato i diritti umani come la libertà di circolazione, i diritti di partecipazione, la libertà di espressione, di pensiero e di opinione, il diritto di associazione. Questo porta la popolazione a una situazione di incertezza sul senso stesso di comunità, distruggendo la fiducia nello Stato e in chi dovrebbe garantire i diritti fondamentali della popolazione. In Ecuador, alcuni dei casi più gravi di violazione dei diritti umani sono legati alle imprese minerarie: attualmente più del 90% degli accusati di terrorismo proviene dai movimenti sociali contrari alla grande mineria o all’estrattivismo petrolifero in Amazzonia. Così molti attivisti finiscono in carcere, sgretolando ancora di più il tessuto sociale. Luis Robaldino di Corporación Toisan afferma: «Credo che a Intag ci sia il numero di ore più alto che ogni attivista dedica alla lotta, giorno dopo giorno».
Quando si verifica una situazione di repressione sociale, gran parte dell’impatto ricade sulle donne: in questi casi, al ruolo di cura della famiglia si aggiunge il ruolo di attivista sociale per la ricerca di verità e giustizia. Perché è necessario ampliare la visione delle conseguenze e degli impatti che la violenza ha, affinché le logiche della repressione nei confronti delle donne diventino motori di lotta.
Infatti, in questo caso, oltre ai forti impatti psicologici generati, si verifica un danno al progetto di vita, ossia un cambiamento drastico nel corso della vita della persona, che impone circostanze nuove e avverse e modifica i piani e i progetti formulati alla luce delle condizioni ordinarie in cui si svolge la sua esistenza e delle proprie capacità di portarli a termine con probabilità di successo, secondo la definizione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani.
In ogni caso, in Intag, «vivono la resistenza uniti, con attivismo, lottando contro la cattiva attitudine dell’uomo verso la terra», dice Rosana Cutino, militante del coordinamento delle donne urbane di Cotacachi. E le donne sono parte fondamentale di questa resistenza. Perché, dato che i ruoli di genere non sono altro che comportamenti stereotipati culturalmente, è possibile cambiarli. Perché i compiti che una persona svolge non devono essere associati al sesso e alla presunta condizione sociale imposta.
Entrando in gioco i concetti di ruoli, le risposte di genere ai costrutti socioculturali possono essere apprese, destrutturate e modificate. Non sono concetti fissi, e molto è già cambiato negli anni e continua a cambiare. A livello mondiale c’è una lotta storica in difesa dell’ambiente, in cui le donne e le popolazioni indigene sono state attori fondamentali contro la privatizzazione e la distruzione delle risorse naturali come le terre, le foreste e, soprattutto, l’acqua.
L’eliminazione della violenza di genere e la discriminazione contro gli attivisti e attiviste ambientali e il rafforzamento della loro voce in difesa dell’ambiente sono fondamentali per raggiungere una società equa, che consenta di condividere e sostenere risorse e benefici tra tutti. Quando gli attivisti e attiviste vengono messi a tacere, il controllo delle imprese transnazionali sulle risorse e il sostegno dei governi nei loro confronti permea la società e ne rafforza l’impunità. Ma, quando sono le donne ad allontanarsi dai ruoli tradizionali per opporsi agli interessi economici e combattere la discriminazione e l’emarginazione e difendere legittimamente i loro diritti, la collisione dei poteri le pone a un livello di rischio ancora più elevato, continuando a relegarle a sesso debole della società.
La biodiversità minacciata
La zona di Intag è stata dichiarata fondamentale per la preservazione della biodiversità in America Latina e nel mondo intero. Con la sua enorme biodiversità, contribuisce a rendere l’Ecuador il terzo paese al mondo per numero di specie presenti, solo dopo Colombia e Brasile. Le foreste che circondano la catena montuosa di Toisan comprendono alcuni dei boschi più biologicamente diversi al mondo: nel 1979, la zona è stata definitivamente inserita nel Sistema Nazionale di Aree Protette dell’Ecuador.
Comprende una straordinaria quantità di animali e piante e uno dei maggiori bacini idrici del paese e, infatti, gli impatti dell’estrazione mineraria sull’ambiente sono già evidenti. Perché i luoghi in cui il sottosuolo è ricco di risorse che il sistema in cui viviamo ha reso fondamentali per la nostra esistenza sono anche quelli più minacciati.
«Siamo mendicanti sdraiati su un sacco d’oro», afferma Luis Robalino, membro della Corporación Toisan, una delle organizzazioni territoriali che continuano a lavorare su Intag per cercare alternative economiche alla minería. «Dobbiamo lavorare per smontare la convinzione che l’Ecuador non è un paese produttivo, per riaffermare che la zona di Intag è produttiva. Le alternative ci sono sempre state, le società minerarie dicono che non ci sono opportunità, ma ci sono. Bisogna accelerare per mettere a nudo le situazioni difficili che si verificano», sostiene.
«Anche l’educazione politica è necessaria, perché senza non si può capire il lavoro delle organizzazioni. Le organizzazioni sono la strada: alcuni pensano che quando si arriva in cima alla montagna ci sia la felicità. Invece la felicità è anche lungo la strada». Ed è seguendo la motivazione personale che allo stesso tempo si fa collettiva che si riescono a individuare le modalità per continuare sulla strada della resistenza.
Perché se si lascia spazio alle imprese minerarie, gli effetti sull’ambiente circostante sono devastatori: innanzitutto si disbosca per fare spazio alla miniera, ai bacini di scarico e agli accampamenti per i lavoratori. Così facendo si abbattono centinaia di kilometri quadrati di bosque primario. E vengono utilizzate sostanze tossiche, come mercurio, acido solforico e cianuro, che si disperdono nell’ambiente, contaminando i rifiuti. Il problema principale di questo metodo è che produce il fenomeno chiamato lixiviación ácida, cioè una fuoriuscita di materiale tossico i cui residui possono perdurare per migliaia di anni nell’ambiente. Nella zona di Junín, da alcuni pozzi continua a fuoriuscire acqua contaminata anche dopo anni dalla fine della fase di esplorazione.
Le miniere da aprirsi nel territorio di Intag, come la maggior parte delle miniere moderne, sono di grandi dimensioni e a cielo aperto. Questo significa che per estrarre i metalli vengono scavati enormi crateri con lo scopo di rimuovere e processare i materiali presenti nel sottosuolo. In queste, i metalli sono dispersi in piccole concentrazioni, su vaste aree sotterranee e producono enormi quantità di scarti. Ad esempio, una tonnellata di rame puro comporta una media di 500 tonnellate di scarti; per poco meno di 30 grammi d’oro se ne producono da 20 a 60 tonnellate.
Resistenza a difesa dell’acqua
Anche l’uso dell’acqua è problematico: si utilizzano circa 12 milioni di litri di acqua al giorno, ciò che consuma un bestiame di circa 100.000 mucche da latte al giorno, come se ci lavassimo le mani 2 milioni e 400 mila volte al giorno. E gli impatti ambientali e sociali di questa forma di estrazione mineraria -a cielo aperto- sono ancora maggiori rispetto a quelli dell’estrazione sotterranea. Il primo aspetto importante è proprio l’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo da parte delle sostanze tossiche, con impatti catastrofici sulla fauna, sulla flora e sulla salute umana.
Tra le conseguenze delle miniere metalliche su larga scala c’è il drenaggio acido delle rocce, cioè l’acidificazione delle acque sotterranee dovuta alla presenza di metalli pesanti. Ciò avviene quando le acque piovane entrano in contatto con le sostanze tossiche naturalmente presenti nelle rocce estratte, creando un’acidificazione insolita delle acque che scorrono sulle rocce.
Inoltre, si verifica una massiccia deforestazione delle aree coinvolte, la distruzione degli habitat che mette a rischio di estinzione molte specie animali e vegetali. Tuttavia, uno dei problemi nell’identificare precisamente gli effetti è che gli studi di impatto sono commissionati dalle stesse aziende minerarie, il che indebolisce l’obiettività della ricerca.
Il sangue della Pachamama
Però, la nuova Costituzione ecuadoriana, approvata nel 2008, è fortemente progressista nei temi ambientali, sociali e culturali e pone grande enfasi sulla difesa della natura e dell’acqua. Si tratta di una proposta contemporanea, inserita in un secolo in cui l’acqua diventerà probabilmente la risorsa naturale più ambita e contesa. Si preserverà l’acqua, fonte di vita, base dell’alimentazione e sangue della Pacha Mama (Madre Terra), come credevano gli antenati.
Infatti, quando parliamo con Julio Espinoza dell’organizzazione DECOIN sulle motivazioni che li hanno portati alla resistenza, ci dice che la gente «si difende appellandosi al diritto alla natura, perché anche l’acqua, i fiumi, le piante, gli uccellini hanno il loro diritto di esistere».
Negli anni ’90, come risultato delle politiche neoliberali, sono state emesse norme sull’acqua che hanno ulteriormente indebolito il suo controllo, causando problemi gravi alle comunità, come la mancanza di accesso all’acqua per gran parte della popolazione ecuadoriana e l’inquinamento di gran parte delle riserve idriche.
Questa mala gestione dell’acqua ha provocato vari problemi, soprattutto l’aumento della mortalità infantile, dovuta alla cattiva qualità dell’acqua, che ha finalmente spinto le autorità a concentrarsi maggiormente sul tema. In particolare, la Costituzione prevede che le azioni legali per perseguire e sanzionare danni ambientali siano imprescrittibili, ossia potranno essere intraprese senza limiti di tempo.
Questo anche perché si riconosce che il diritto umano all’acqua è fondamentale e inalienabile. «[L’acqua] non è una risorsa, è una fonte di vita. Perché tutti noi beviamo acqua, tanto chi è contro la minera quanto chi è a favore», afferma Luis. L’acqua costituisce un patrimonio nazionale strategico per il governo, ma per la popolazione è fonte essenziale di vita.
«Poiché in questo secolo l’acqua di buona qualità diventerà sempre più scarsa, è fondamentale prendersene cura, amarla e rispettarla. Perché l’acqua è vita per tutti gli esseri viventi, è il nostro patrimonio nazionale, il nostro patrimonio e la nostra eredità, dobbiamo imparare a conservarla e valorizzarla».
In particolare, la Costituzione dell’Ecuador diventa la prima al mondo a conferire diritti alla natura, sostenendo che la Pacha Mama ha il diritto di vedere integralmente rispettata la sua esistenza e il mantenimento e la rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi. Questo impulso verso la natura comprende anche il diritto delle comunità di utilizzare, gestire e beneficiare delle risorse naturali rinnovabili esistenti sulle loro terre. Per questo, dopo anni di lotte, si è concordato che la gestione dell’acqua sia esclusivamente pubblica o comunitaria e che ne sia vietata la privatizzazione in ogni forma.
E quando chiediamo a Luis se ne è valsa la pena, ci dice che «dopo 30 anni abbiamo evitato gli immensi crateri minerari che già ci sono in Perù o a Tundayme, per esempio. Ora dobbiamo continuare a cercare nuove idee per proteggere sempre di più il nostro territorio, perché dobbiamo essere incompetenti come governo per dire che non ci sono alternative».
E le alternative ci sono, fanno parte di una visione più ampia e armonica dell’utilizzo delle risorse esistenti nel territorio, visibili e non, legata a una concezione ancestrale del vincolo con la natura, che segue i dettami di chi questa terra la abita da migliaia di anni e sa bene come comportarsi nel rispetto di tutto ciò che li circonda.
L’immagine di copertina è di Claudia Chendi
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