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Le femministe argentine: è in atto una nuova “caccia alle streghe”

Il movimento femminista argentino denuncia l’aumento della violenza contro le donne e, in generale, contro l’attivismo sociale dopo l’attacco violento da parte di un gruppo di uomini la settimana scorsa all’Incontro delle donne nel Chaco. Tra la desapariciòn di Santiago e il corpo (delle donne) come territorio di conquista.

In particolare, la sparizione e l’omicidio del giovane artigiano sono diventate il simbolo della repressione contro i movimenti sociali da parte del governo Macri. “È una forma di riprodurre il terrore, di disciplinare, con l’obiettivo di impedire la participazione alle mobilitazioni” spiega Natalia Quiroga, economista femminista.

Alcune donne parlano semplicemente di “caccia”, altre di “caccia alle streghe”. Un finale insperato e triste ha segnato la 32sima edizione dell’Incontro nazionale delle donne, che ha visto più di 30mila attiviste incontrarsi nella provincia del Chaco, provincia del nord dell’Argentina, conclusosi con un’enorme manifestazione la scorsa domenica.

Lunedì mattina, quando quasi tutte partecipanti all’incontro erano già andate via, alcune donne si trovavano nella piazza 25 de Mayo, chiacchierando e bevendo mate, in attesa dei pullman per ripartire. In quel momento un gruppo di uomini e di donne, piccolo ma molto rumoroso, con in mano una bandiera argentina, ha fatto irruzione gridando “Andatevene via! No all’aborto”. Diversi uomini, armati con bastoni e pietre, si sono lanciati contro le donne sedute sul prato della piazza costringendole a scappare, come ha potuto osservare di presenza questo giornale (El Diario). “Ci hanno circondate, minacciavano di tirarci pietre, senza preoccuparsi del fatto che avevamo con noi dei bambini” racconta a El Diario una di queste donne. Al bordo della piazza, la polizia osservava la scena senza intervenire.

“Non è questo l’Incontro delle donne. L’Incontro è costruzione, amore e lotta per i diritti. Questa è la reazione codarda e patriarcale di fronte alla sensazione che noi stiamo mettendo in discussione le loro strutture di potere” afferma la giornalista Poli Sabatés. Il fatto ha offuscato un’iniziativa che si era svolta con relativa tranquillità per tre giorni, in un’atmosfera di festa, tra tanti laboratori tematici e attività culturali. Nonostante ci siano state tensioni di fronte alla Cattedrale la sera della domenica, alla fine della enorme manifestazione che ha attraversato il centro della città di Resistencia con slogan a favore della legalizzazione dell’aborto e contro la violenza machista, gli incidenti sono stati isolati. La sensazione delle attiviste è che l’episodio dello scorso lunedì nel Chaco si inscriva nella tendenza all’aumento della repressione contro il movimento femminista. “Dall’8 marzo stiamo vedendo esprimersi un modello di repressione basato sulla caccia alle donne. Un tipo di repressione statale che apre spazi e promuove una violenza fascista che oggi si concentra sulle donne” afferma Veronica Gago.

“L’attacco che le donne del Chaco hanno subito fa parte di un concatenamento di azioni violente e repressive delle forze militari e parapoliziesche nelle manifestazioni degli ultimi due anni in Argentina. È una forma di riprodurre il terrore, di disciplinare, per cercare di impedire la participazione alle mobilitazioni. Il governo di Cambiemos (la coalizione di Macri) ha criminalizzato e stigmatizzato la mobilitazione sociale, questione che si connette con il sentire di settori di destra della popolazione” sostiene l’economista femminista e decoloniale Natalia Quiroga. L’aumento della criminalizzazione dell’attivismo denunciato dalle femministe emerge chiaramente nella sua forma più estrema con la desaparición di Santiago Maldonado mentre partecipava ad una protesta, portata avanti da una comunità mapuche e repressa dalla Gendarmeria lo scorso 1 di agosto.

 

Un déjà vu dell’orrore

“È un déjà vu dell’orrore: per il secondo anno consecutivo, dopo l’Incontro delle donne ci troviamo di fronte ad un atroce cadavere. I corpi come dimensione testuale della violenza” scrive Veronica Gago. Un anno fa, le 90mila donne che si erano incontrate a Rosario scoprivano con orrore che, mentre celebravano la loro immensa riunione annuale, a Mar del Plata la giovane Lucia Perez di sedici anni era stata violentata, torturata e impalata fino a morire di dolore. Il suo caso aveva provocato la commozione di migliaia di donne che vestite di nero scesero nelle strade e nelle piazze lo scorso 19 di ottobre. Una anno dopo il rapporto della Corte Suprema della provincia di Buenos Aires afferma che non può essere provato che l’adolescente sia stata abusata sessualmente con la forza e che potrebbe essere morta per una congestione e un edema polmonare per sostanze “tossiche”.

“Il caso di Lucia dimostra come le donne, anche dopo essere state assassinate in forme macabre, continuano ead essere l’oggetto della discussione: continuano a dover dimostrare di essere state delle “buone donne”, di non essere responsabili delle condizioni in cui si è dato l’assassinio, mentre viene invisibilizzato l’assassino” scrive Natalia Quiroga “così le donne vengono permanentemente re-vittimizzate” aggiunge. Un anno fa si trattava di Lucia. Questa volta è apparso il cadavere di Santiago Maldonando, visto in vita l’ultima volta nel mezzo di una repressione polizesca di un atto di resistenza del popolo mapuche nella provincia di Esquel in Patagoniain difesa delle proprie terre. Maldonado è diventato il simbolo della denuncia dell’aumento della repressione contro i movimenti sociali a partire dall’arrivo di Macrì alla Casa Rosada.

 

Torniamo a fermare tutto per Santiago Maldonado

Come ogni anno, durante l’assemblea dell’ultimo giorno dell’Incontro delle donne si decide la sede del successivo: in Chaco questa volta si è deciso che il prossimo incontro sarà in Chubut, in Patagonia, luogo dove è desaparecido Santiago. Li vicino, al Bolsòn, Ni Una Menos e altri collettivi hanno svolto una assembla lanciata con lo slogan “I nostri corpi, i nostri territori: dov’è Santiago Maldonado?”.

“In questa regione si concentrano imprese immobiliarie, turistiche ed estrattive. La combinazione di questi affari struttura da diversi anni lo spossessamento delle terre in questa zona e rende evidente la complicità delle istituzioni politiche, giudiziarie e repressive nell’ambito di questa nuova fase della ‘conquista del deserto’, come si è chiamata la campagna militare a fine ottocento che ha portato al massacro del popolo mapuche” argomenta Veronica Gago. “La desaparición forzata di Santiago Maldonado è parte di questo scenario. L’intelligenza del movimento femminista sta connettendo i differenti modi in cui si danno le violenze senza smettere di domandarsi perché è il corpo delle donne, in quanto corpo-territorio, che appare come bottino di conquista e scenario prediletto per la crudeltà” conclude Gago.

 

 

Con il ricordo dell’attacco misogino dello scorso lunedi ancora negli occhi, il movimento delle donne si prepara già per il prossimo Incontro nazionale (il 33esimo). “È fondamental

e prendersi cura dei processi assembleari che precedono l’Incontro delle donne, perché da parte dei settori conservatori la presenza delle donne viene vista come un’invasione. Dobbiamo trasmettere l’importanza e la necessità che le donne arrivino a tutti i diversi territori, per conoscerne le problematiche: è importante che l’agenda nazionale non offuschi quelle locali”, spiega Quiroga.

Intanto, a poche ore dalle elezioni, i movimenti sociali cercano di rispondere all’incertezza e all’orrore provocate dall’apparizione di un cadavere nel fiume Chibut. Gli argentini tornano a Plaza de Mayo, come hanno fatto le Abuelas e le Madres de Mayo. In quella piazza si è convocato il movimento femminista, come scritto in un comunicato da Ni Una Menos: “Un corpo che appare dovrebbe significacre che la vita si ferma. Che tutto il mondo si fermi, smettendo di andare avanti come se nulla fosse accaduto. A fronte di questo corpo ancora senza nome, contro la crudeltà, la repressione e l’impunità, scioperiamo. A un anno dal primo sciopero delle donne, a un anno dal femminicidio di Lucia Perez, torniamo a scioperare per Santiago Maldonado, per le nostre sorelle mapuche espropriate delle loro terre. Basta. Basta continuare a vivere la vita quotidiana come se nulla fosse mentre fanno comparire cadaveri nei fiumi, nelle discariche o piuttosto da nessuna parte”.

*Nazaret Castro è una giornalista spagnola che vive a Buenos Aires, è corrispondente dall’America Latina per diversi giornali. Cofondatrice del portale di inchiesta indipendente Carro de Combate , è autrice del libro “La dittatura dei supermercati”.

Pubblicato il 20.10.2017 su El Diario.

Traduzione di Alioscia Castronovo per DINAMOPress.

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