MONDO
Stati Uniti, politiche divergenti nella crisi del coronavirus
Gli Stati Uniti hanno superato Cina e Italia per numero di contagi e le previsioni dei decessi per Covid-19 sono drammatiche. La superpotenza mondiale svela la voragine profonda prodotta dal neoliberalismo e dalle sue feroci politiche economiche e sanitarie. Mentre il bailout (plutocratico) di Trump tenta di salvare in extremis il più grande consumatore del prodotto mondiale, gli scioperi della logistica, del settore alimentare e delle fabbriche, le reti di mutuo aiuto e la lotta di base di Sanders-Ocasio Cortez tracciano le possibilità per il mondo che verrà
IL RITARDO DELL’INTERVENTO SULLA PANDEMIA
A più di un mese dall’evidente esplosione in Europa, il Center for Disease and Control ha rilasciato alla Casa Bianca la tragica previsione secondo cui le possibili vittime del coronavirus negli Stati Uniti si aggireranno tra 100.000 e 240.000 unità. Numeri terrificanti a fronte dei quali persino la demenziale e omicida toxic masculinity di Trump è dovuta venire a patti con la realtà dei numeri e delle vittime, che nello Stato di New York sono già più di 2500 mentre i casi attivi in tutti gli Stati Uniti ormai sono parecchie decine di migliaia. Se solo una settimana fa (26 marzo), Trump dichiarava a Fox Virtual Town Hall che avrebbe voluto vedere le chiese gremite di gente per Pasqua (seguito in questo lucido delirio da un pastore di Tampa in Florida che la scorsa domenica ha radunato una massa di fedeli in chiesa nonostante lo stay at home e ha finito per essere arrestato), ieri ha dovuto per cause di forzosa necessità estendere le misure del social distancing di altri 30 giorni. Per un altro mese, quindi, si lavora da casa nei casi in cui è possibile, i viaggi sono limitati, non si fanno visite alle case di riposo per anziani, i settori chiave dell’economia (servizi sanitari, farmaceutici, alimentari e tutti i settori infrastrutturali giudicati decisivi), rimangono aperti e sono vietati assembramenti di più di 10 persone. L’impossibilità di proseguire il “business as usual” si è palesato nella sua brutale realtà anche negli Stati Uniti, nonostante le feroci opposizioni repubblicane, padronali e delle corporation che evidentemente fanno ancora da freno insieme a quello dello stesso Trump, che preso dal turbine delle sue stesse menzogne non manca di notare in ogni conferenza stampa la tempestività e l’eccezionale efficienza dell’intervento del suo governo.
È difficile elaborare un giudizio su questioni epidemiologiche senza la competenza sufficiente per farlo e, soprattutto, considerando che la “scienza” sociale che vi sta dietro è in parte empirica e in parte probabilistico-proiettiva, è altrettanto complicato valutare l’evoluzione e gli sviluppi di questa seconda fase politica della pandemia. Se in un primo momento a livello mondiale sembravano essere presenti due approcci divergenti al problema – “negazionista” l’uno ed emergenziale (nel senso della presa in carico dell’emergenza e della messa in pratica delle misure d’emergenza) l’altro – ora quasi tutte le linee d’intervento si sono uniformano verso il lockdown con significative divergenze interne, che dipendono strettamente dallo sviluppo delle infrastrutture di base del paese in questione, dalla velocità d’intervento con cui si è intervenuti sull’epidemia e naturalmente (ma non sono mai questioni separate) dall’ideologia che vi sta dietro e dalla politica che le organizza. In ogni caso, stante la difficoltà della materia, sembra più che sensato supporre che l’intervento dell’amministrazione Trump sia drammaticamente tardivo se si considera l’individuazione del primo caso di Covid-19 negli Stati Uniti due mesi fa e l’avvio di test sulla popolazione da meno di due settimane a questa parte.
LO STIMULUS PACKAGE
Non sorprende, invece, considerando la centralità economica degli Stati Uniti nell’attuale panorama globale non tanto come produttore quanto come acquirente e consumatore della produzione mondiale, la relativa celerità con la quale democratici e repubblicani, dopo un polarizzante braccio di ferro, hanno siglato il 26 marzo uno Stimulus Package dalle proporzioni ragguardevoli (2 mila miliardi di dollari) ma volto a salvare soprattutto le grandi corporation (metà della liquidità andrà direttamente alle grandi aziende). Il pacchetto finanzia a seguire anche piccole e medie imprese, tramite il disaster loan, il prestito per i disastri (a patto che si mantengano gli impiegati in busta paga) e prevede finanziamenti “a pioggia” nella forma di tax return per singoli e per famiglie (parliamo, per esempio, di 1200 dollari totali per i singoli che guadagnano meno di 75k all’anno). La vera novità del piano sta nell’estensione dei benefit per la disoccupazione per un periodo che va dalle 26 alle 39 settimane ai lavoratori autonomi e part-time (compresi lavoratori della gig economy e freelancer) con un ammontare in denaro che varia secondo lo Stato di provenienza e i redditi che venivano precedentemente conteggiati, nonché la garanzia di copertura sanitaria per le persone che attualmente non stanno lavorando e si ammalano di coronavirus – pure se nella pratica va ancora verificato come questo di fatto avverrà e il fatto che la procedura sia tuttora in discussione rende questa misura più una dichiarazioni di intenti che una realtà. Infine, il debito universitario degli studenti dei college è stato sospeso fino a settembre.
Alexandra Ocasio-Cortez dopo aver preso parola al Congresso il 26 marzo con un discorso infuocato contro la legge “vergognosa” fatta per salvare le aziende e le corporation ha rilasciato un’intervista in cui ha chiarito come lo Stimulus Package, sebbene operi un intervento economico minimale e residuale nei confronti dei migliaia di lavoratori a ore o temporanei che hanno perso il lavoro, sia uno specchietto per le allodole rispetto alla crisi che è già in corso e a quella che si sta per abbattere. Infatti, oltre a costituire una misura di salvataggio soprattutto per le corporation, la manovra taglia completamente fuori ampi settori della società, per esempio i lavoratori migranti che sono senza documenti, nonostante paghino annualmente le tasse e rappresentino il motore di diverse forme di care economy e del settore agro-alimentare.
La parte radicale (e per ora sconfitta) del partito democratico di Alexandra Ocasio-Cortez (e Sanders) non solo rilancia sull’inclusione di questi lavoratori all’interno del piano di finanziamenti, ma propone più radicalmente un basic income di 2000$ al mese e la sospensione degli affitti e dei mutui a livello nazionale.
La gestione di quest’ultimi, per ora, dipende dai singoli Stati e per ora alcuni di essi hanno bloccato gli sfratti, mentre altri hanno allentato la pressione sui mutui – per esempio, tramite la moratoria sui mutui approvata dal Governatore Cuomo nello Stato di New York. Più in generale, nonostante le cifre messe a disposizione per il bailout “plutocratico” e le dichiarazioni provenienti da Washington sulle intenzioni di sviluppare un piano infrastrutturale per il reinserimento al lavoro, la previsione di 20 milioni di disoccupati entro luglio di quest’anno nei soli Stati Uniti lasciano intravedere la dimensione della crisi devastante che si profila all’orizzonte e per la quale qualche soldo a pioggia o alcune settimane di benefit per la disoccupazione saranno tutt’altro che sufficienti.
I MOVIMENTI PER IL MONDO CHE VERRÀ
Il coronavirus anche negli Stati Uniti, come più in generale a livello globale, ha spalancato e reso tragicamente visibile la voragine prodotta dal sistema capitalistico. Ed Yong, giornalista e divulgatore scientifico, in uno dei migliori articoli usciti sul tema per “The Atlantic” rifacendosi su uno studio della University of Pennsylvania, sostiene che, «anche se le misure di distanziamento sociale possono ridurre la percentuale d’infezione del 95%, 960.000 americani avranno bisogno della terapia intensiva. Ci sono solo 180.000 ventilatori negli Stati Uniti e […] pneumologi e staff per l’emergenza per curare in modo sicuro soltanto 100.000 pazienti ventilati».
Insufficienza di personale, di mezzi, di strumentazioni, di posti letto, di ospedali: questo è il quadro a tinte fosche del sistema sanitario privato e non universale in quello che è stato fino a pochi anni fa lo Stato leader dell’economia e della politica mondiale.
Già due sole notizie di ieri (1 aprile) danno la misura della distruzione di qualsiasi tessuto di welfare: la prima è la chiusura nel mezzo della diffusione della pandemia dell’unico ospedale presente nella parte sud del West Virginia che è fallito per bancarotta; la seconda è quella dell’acquirente dello Hahnemann University Hospital di Philadelphia, Joel Freedman, che a settembre ha comprato (nonostante le proteste) l’ospedale della città che serviva i cittadini a più basso reddito per trasformarlo in appartamenti di lusso e che ora si rifiuta di rendere disponibile la struttura per l’emergenza perché l’offerta che l’amministrazione ha proposto «non è a prezzo di mercato». Il paradosso assoluto vuole che Freedman sarà oltretutto uno dei numerosi beneficiari dello Stimulus Package siglato una settimana fa. Queste due vicende esulano dalla dimensione della cronaca e indicano in modo esemplare il fallimento strutturale della gestione neoliberale americana. Come ha sostenuto la teorica e scrittrice Keeanga-Yamattha Taylor per “The New Yorker” la crisi in corso non è solo economica, politica e sanitaria ma è «esistenziale» e colpirà prevalentemente i poveri, i neri, i detenuti e tutta la classe lavoratrice (che negli Stati Uniti, vale la pena ricordarlo, vive senza alcuna garanzia nell’ambito del diritto del lavoro, sopravvivendo con un paycheck mensile dopo l’altro). La completa assenza di un sistema sanitario pubblico e di welfare renderà l’impatto del coronavirus negli Stati Uniti ancora più brutale.
L’idea di reinventare il futuro, di immaginare il mondo che verrà a partire da questa crisi radicale del “pianeta infetto” in cui viviamo non è più solo una questione di ottimismo della volontà (militante) ma è l’unica possibilità per uscire da un capitalismo che sfrutta e uccide.
I modi per farlo già si chiariscono mentre la crisi pandemica è ancora in corso: i movimenti stanno reclamando un’assistenza sanitaria gratuita e universale a livello globale e richiedono un basic income che vada oltre la contingenza della quarantena per garantire forme di redistribuzione più radicali e permanenti. E poi ancora la rete delle realtà di mutuo aiuto che si stanno moltiplicando in tutti gli Stati Uniti e che affermano la possibilità di una cooperazione dal basso e dalla costruzione di forme di solidarietà (che fuoriescano dalla logica della carità), quartiere per quartiere per far fronte all’emergenza alimentare e di riproduzione sociale prodotta dalla pandemia. Le forme di organizzazione, naturalmente, variano, in stretta dipendenza con la ristrettezza delle misure d’emergenza prese: si va dalla costruzione di campagne online che sfruttano quelle stesse piattaforme che ci rendono schiavi all’aiuto reciproco casa per casa e alla costruzione di micro-esperienze di comune a distanza. Ma ancora la costruzione di forme di riproduzione sociale e di cura dal basso che ora emergono in primo piano come il modo principale di espressione del comune implicano allo stesso tempo la lotta e gli scioperi che rifiutano un lavoro sottopagato e ingiusto che diventa ancora più tale in epoca di pandemia. Così Labor Notes ha lanciato lo slogan “Don’t Die for Wall Street” riunendo in un webinar 650 persone tra cui personale sanitario, lavoratori sindacalizzati e movimenti per raccogliere le numerose esperienze di sciopero dal lavoro. Si pensi a tutti i walkout e i sickout che si sono dati tra lunedì e martedì scorso (30 e 31 marzo) in tutti gli Stati Uniti: dai lavoratori del Bath Iron Works in Maine a quelli della Fiat Chrysler, dagli autisti degli autobus a Detroit fino a tutto il settore della logistica e dell’alimentare – Amazon, Instacart e Whole Foods. Alcuni di loro chiedono, come è accaduto anche in Italia, di lavorare in condizioni di sicurezza, altri che il loro stipendio venga aumentato per il fatto di operare in condizioni di forte rischio. Altri infine, come i lavoratori della General Electric di Lynn (Massachusetts) vogliono che il loro lavoro nella produzione di motori venga convertito in produzione di ventilatori per gli ospedali. Bastino solo questi esempi per cominciare a sostenere che la progettazione del futuro e di un mondo che verrà contro quello che sta affondando nella pandemia è già contenuto come esemplificazione, come indicazione e suggerimento in tutte queste lotte e sperimentazioni che a livello globale si stanno dando.
Foto di copertina di Kelly Salon