EUROPA

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Le destre e noi nel regime di guerra

Le elezioni europee ci parlano di un processo di fascistizzazione dell’ Europa, ma c’è una componente tenace e resistente dalla quale ripartire per creare spazi concreti di risposta. Un’analisi dei nuovi equilibri e delle forze in campo dopo la tornata elettorale

Le recenti elezioni europee ci consegnano un quadro fosco, con un consolidamento delle destre neo- e post-fasciste, con la maggioranza di queste formazioni a trazione atlantista (come ad esempio Fratelli d’Italia) e altre che hanno storicamente relazioni solide con la Russia più o meno abiurate (vedi Rassemblement National); una miscela dagli esiti incerti ma sicuramente non inaspettata. Il rischio di una escalation reazionaria nell’area europea era sotto gli occhi di tutti da diverso tempo, con episodi, relazioni e intenti evidenti.

Ma nonostante questo, per quanto ci riguarda, i risultati elettorali fanno intravedere anche dei piccoli spazi di possibilità che andrebbero colti.

Per poter comprendere l’avanzata del Rassemblement National in Francia, o il successo del AFD in Germania, così come la tenuta di Fratelli d’Italia nel nostro paese, è necessario inquadrare il contesto sociopolitico in cui si è svolta questa tornata elettorale.
Segnatamente, le elezioni appena passate si collocano in un contesto di estrema insicurezza e paure la cui cifra comune era ed è una: la guerra, resa evidente tanto dall’imperituro conflitto in Ucraina, quanto dal brutale genocidio in corso in Palestina, in un contesto di polarizzazione globale in cui le varie potenze iniziano un processo di posizionamento in blocchi contrapposti. Da un lato lo storico blocco occidentale, dall’altro quello che si sta aggregando intorno all’asse russo-cinese, per quanto in forme ancora spurie e piene di contraddizioni interne. Sullo sfondo, la destabilizzazione in Africa conseguenza da un lato del fallimento dei progetti neocoloniali occidentali (vedi la cacciata dei francesi o degli statunitensi dal Sahel), dall’altro dell’iperattivismo russo-cinese. E soprattutto, l’ipotesi inquietante di un futuro scontro armato tra USA e Cina.

Conseguenze di questo quadro geopolitico (ma non solo) sono l’inflazione, l’aumento delle migrazioni, e un attacco feroce alle politiche “green” sul piano sia culturale che istituzionale.

Una condizione di insicurezza e crisi permanente che si afferma da un lato come vero e proprio progetto governamentale, in cui la guerra militare e commerciale diventa strumento volto a supplire l’evidente crisi di autorevolezza degli attori politico-economici in campo e delle convenzioni su cui il consenso dei governati dovrebbe costruirsi, in un clima in cui la paura diventa il sentimento sociale predominante. Dall’altro lato, questa condizione di insicurezza è benzina sul fuoco del razzismo, del sessismo e dello sfruttamento messi in campo in primo luogo proprio da quei settori della piccola e media borghesia che più si riconoscono nelle opzioni “sovraniste” in campo e che richiedono un rilancio dell’oppressione di razza, di classe, di genere e dello sfruttamento ambientale.

Una borghesia che poco ha a che vedere con le borghesia transnazionali e coi loro flussi di capitali finanziari, le loro catene logistiche globali e le loro multinazionali mortifere ma piuttosto legata ai processi produttivi del territorio, esclusa dalle concatenazioni produttive globali e tendente all’impoverimento, e che, al fine di mantenere e difendere le posizioni di potere conquistate negli anni è maggiormente ricettiva rispetto alle opzioni politiche inequivocabilmente reazionarie e nazionaliste, antiglobaliste, strenue avversarie della cultura “woke” e gender.

Una borghesia pericolosa che nel rilancio e nell’estensione dell’oppressione di classe, di razza, di genere e dello sfruttamento ambientale vede la soluzione più immediata ai rischi connessi al quadro geopolitico.

In questo quadro complesso, è necessario compiere uno sforzo prima analitico per leggere l’intreccio trai piani delle relazioni internazionali egli specifici interessi nazionali e nazionalisti che spesso producono cortocircuiti e nello stesso tempo prendere in considerazione gli interessi di classe che sottendono a quelle stesse dinamiche.

I dati elettorali ci mostrano il totale declino dell’idea di Europa come progetto politico di cooperazione, pace e sviluppo. Questo producendo una dinamica di progressiva riduzione del welfare (gia messo in discussione in questi anni da un propensione al workfare) e del cosiddetto “green deal”.

Una prospettiva di aumento della precarietà e sfruttamento del lavoro nell’immobilità più totale rispetto alla crisi climatica e alle necessarie politiche per affrontarla.

Il peggiore scenario possibile in cui un’élite di mercanti di morte, continua ad arricchirsi trovando uno sbocco alla crisi di produzione investendo sulle armi, con l’approvazione delle istituzioni europee che hanno sostituito senza troppi problemi la “produzione green” con la produzione di armi come settore d’investimento strategico per la crescita del continente

In questa dinamica, interessi privati e interessi delle istituzioni (europee, nazionali, territoriali) si sovrappongono e si distanziano in modo siderale da quelli della maggioranza della popolazione (del resto l’astensione rappresenta anche questo), si conferma dunque un interesse di classe a scapito di un altro.

L’effetto che pare non spaventare molto “loro” ma che interroga molto “noi” è la produzione di macerie e distruzione a opera di povertà e guerra.

La foto restituita dalle elezioni è schiacciata da un lato, dal consolidamento di partiti sovranisti e/o nazionalisti, dall’altro dallo scetticismo sull’utilità del voto, ciò in particolare in Italia.

Concentrandoci su Francia, Germania e Italia:

In Francia, con una affluenza del 51,49%, Rassemblement National e soci ha preso il il 31,37% dei voti. La scommessa di Macron che ha convocato rapidamente nuove elezioni è miseramente fallita, col Rassemblement National che conferma e consolida le proprie percentuali, complice anche l’alleanza con parte dei Républicains, che conferma l’assoluta disponibilità della destra liberale a governare con l’estrema destra e a mettersi al servizio di un’operazione di ripulitura di facciata di quest’ultima. In questo quadro, sarà il secondo turno a dirci se l’estrema destra governerà la Francia o meno ma quel che è certo è tanto il fallimento del progetto macronista, quanto la fragilità del Nouveau Front Populaire, animato da organizzazioni molto diverse tra loro e spesso in conflitto.

In Germania, con una affluenza del 64,78%, l’AFD è secondo partito con il 16%, sebbene sia primo partito nell’ex DDR. Inoltre, dato ancor più inquietante, il 17% della popolazione votante sotto i 30 anni ha votato per questa formazione.

Diverso è il caso italiano:

quest’anno ha votato il 49,7% del corpo elettorale, con un calo di oltre sei punti rispetto alle ultime consultazioni europee, pari al 56,12%;

Fratelli d’Italia (28,81%) e Partito democratico (24,04%) ottengono insieme circa il 53% dei voti validi – che tuttavia corrisponde solo a poco più del 25% degli elettori. All’interno della dinamica italiana, nonostante non ci siano motivi per stare sereni, ci sono due tendenze da registrare. In prima battuta, il Partito Democratico ha ottenuto, in termini assoluti e relativi, un risultato positivo, superiore a molte delle previsioni.

In relazione alle cifre assolute, il PD ha conseguito un numero maggiore di voti rispetto alle ultime elezioni politiche italiane (5.484,984, e dunque + 136.308 rispetto alle elezioni del 2022), accorciando la differenza nei confronti di FDI, che invece, sempre in termini assoluti, riduce il proprio consenso (6.575,531, perciò – 725,772 di voti rispetto al 2022).

Il risultato del Partito Democratico è il prodotto di molteplici fattori, tra i quali ha avuto un ruolo il parziale e ambiguo “spostamento verso sinistra” configurato nell’ambito segreteria Schlein.

È una tendenza da registrare positivamente anche quando la si osserva dalla nostra prospettiva, al di fuori di quel recinto: è il segno di quanto l’elettorato, in questa specifica congiuntura, risponda positivamente se sollecitato sui temi del welfare, del salario minimo, delle politiche redistributive.

Inoltre, bisogna dedicare la giusta attenzione al dato elettorale ottenuto dalla Coalizione della Alleanza Verdi- Sinistra.

Quest’ultima ha ottenuto 6,73% di voti (1520,61 + 498.806). Indubbiamente la campagna per la scarcerazione di Ilaria Salis (che ha ottenuto circa 165.000 voti) e l’aver candidato Mimmo Lucano (circa 120.000 voti), hanno avuto un effetto volano non indifferente, avendo coinvolto una parte di elettorato che non votava da anni e che si è mosso per il raggiungimento di un obiettivo concreto. Ci si chiede quanto del 2,2% ottenuto dalla lista promossa da Michele Santoro abbia rosicchiato in termini di voto ad AVS.

Tuttavia, le candidature di Ilaria Salis e Mimmo Lucano non possono spiegare del tutto il risultato, inaspettato, di AVS.

A nostro avviso c’è di più.

In questo regime di economia di guerra e di terrore, in cui la catastrofe e la crisi è diventato modello di governo, fronte dell’incertezza del mercato, è proprio un pezzo di borghesia a investire su opzioni neo-post-fasciste e reazionarie trovando una saldatura (sulle paure) con una parte dell’elettorato popolare: in questo senso si possono spiegare i risultati di AFD e Rassemblement National e, in parte, anche il consenso – sebbene limitato in termini di voti assoluti – di Fratelli d’Italia.

Ma esiste in questo paese, una ampia componente di persone (tra i 20 e i 40 anni, la maggioranza forse di questi), che nel pieno dello spaesamento politico e sociale che stiamo vivendo ha l’impellente bisogno di trovare una alternativa ai venti di guerra, al fascismo, allo sfruttamento, al razzismo e sessismo imperante, all’omofobia.

Una componente che vuole mettersi in gioco, lottare e non essere letteralmente marginalizzata perché preoccupata dalla catastrofe climatica che incombe. Una parte che vuole vivere felice, amare, meticciarsi con altre culture e che sa che tutto ciò sarebbe possibile.

Quando si aprono delle piccole possibilità e ipotesi, è nostro dovere indagarle fino in fondo: se il voto di queste europee, ha posto alcune domande, le risposte sono bel lungi dall’esserci.


Forse però degli stralci di risposta è possibile intravederli:

– Se tale termine non fosse stato così abusato, bisognerebbe rivendicare la necessità della costituzione di una coalizione sociale. Sarebbe interessante se si instaurasse una dinamica virtuosa in cui si costruisca una confronto tra organizzazioni politiche, movimenti sociali, sindacali, mondo dell’associazionismo, in cui le componenti politiche dessero spazio e supporto alle istanze che arrivano dal basso, non in termini di “rappresentazione” bensì di messa a disposizione di risorse, mezzi, strumenti al fine costruire momenti di lotta efficaci; l’alternativa, è tornare a posizionamenti, arroccamenti identitari e piccole patrie di partito, dannose e inutili.

– In questo spazio, bisognerebbe costruire un discorso che rifugga la retorica dello scontro di civiltà che ci sta portando sull’orlo del baratro, diserti l’adesione campista ai blocchi contrapposti e le fascinazioni per l’autocrazia o la teocrazia di turno solo perché avversa al blocco occidentale ma senza rinunciare alla battaglia feroce contro la politica imperialista dell’Occidente a trazione USA. Un discorso che rimetta al centro le persone e le dinamiche sociali concrete piuttosto che le nazioni e i loro interessi che sappiamo coincidere molto raramente con quelli dei popoli, più frequentemente con quelli delle élite e dei ricchi.

– Per fare ciò sarebbe necessario costruire dei momenti di confronto pubblici, sulla base di un programma minimo, contro il regime di guerra e il modello economico che ne consegue. Momenti di confronto da subito, per immaginare un autunno di lotte: rafforzando quei momenti che già sappiamo si daranno ma anche innovando pratiche e cogliendo le indicazioni che proprio dai recenti conflitti (in Italia e in Europa) ci arrivano.

– Il campo della contesa è lo spazio europeo. Contro le nuove trincee e il ritorno di rigurgiti nazionalisti e fascisti, è necessario rinnovare e dare linfa ad un nuovo internazionalismo, in grado davvero di mettere al centro gli interessi di classe.

Sottrarsi alla paura per leggere le dinamiche di sfruttamento e produzione di valore, tanto sulle nostre vite quanto sulla vita del pianeta. La crisi in cui ci troviamo, la corsa agli armamenti, l’abbandono di politiche economiche redistributive chiudono la prospettiva social-democratica dell’Europa e ci introducono nell’opzione neo-autoritaria.

La possibilità di rilanciare sta proprio nella possibilità di costruire, su questi terreni e contenuti, spazi di discussione, azione politica e organizzazione collettiva… ancora una volta fantasmi in giro per l’Europa!

L’immagine di copertina wikimedia commons

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