ITALIA
«Serve una moratoria sulle armi». Parte la campagna Sbilanciamoci
Rete Italiana Pace e Disarmo avanza alle forze politiche la proposta di una moratoria per il 2021 su tutte le spese di investimento in armamenti: 6 miliardi da destinare alla Sanità e all’Istruzione in un momento di emergenza ed estrema necessità come quello che stiamo vivendo. Parla il coordinatore campagne Francesco Vignarca
Secondo i dettagli della Legge di Bilancio, nel 2021 l’Italia spenderà oltre 6 miliardi di euro per acquisire nuovi sistemi d’armamento. Negli ultimi anni le spese militari sono andate aumentando, a discapito di altre risorse, se solo si pensa alla Sanità pubblica, che è stata definanziata e alle risorse per l’Istruzione pubblica, che risultano essere a un livello più basso della media europea.
Davanti a queste “crepe”, rese ancora più visibili dalla pandemia in corso, la campagna “Sbilanciamoci” si è fatta sentire con un semplice interrogativo: «Cosa ci difende meglio oggi dalla pandemia? Un nuovo cacciabombardiere o 500 posti di terapia intensiva in più e 5mila infermieri e dottori che potrebbero essere assunti per tre anni con gli stessi soldi?».
Abbiamo parlato con Francesco Vignarca, coordinatore campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo che collabora attivamente alla campagna, per farci chiarire alcuni punti a riguardo.
Perché uno stato come l’Italia, con una costituzione che all’articolo l’11 ripudia la guerra e ogni sua forma, spende e investe così tanti soldi per acquisire nuovi sistemi d’armamento, piuttosto che nei servizi e nuove risorse, di cui sicuramente è sprovvista?
Questa è la conclusione di un percorso che purtroppo è partito già all’indomani dell’entrata in vigore della nostra Costituzione. Voglio dire che i padri e le madri costituenti e la popolazione italiana avevano ben chiaro cosa fosse la guerra e avevano capito che bisognava seguire altre strade. Nella Costituzione, con forma difensiva, rimane oggi la presenza delle forze armate.
Solo che, mano a mano che ci si è allontanati dalla drammaticità della seconda guerra mondiale, ci si è arricchiti ed si è entrati maggiormente in una concezione per cui la difesa del territorio è considerata anche “proiezione di potenza”, l’Italia ha abbandonato in parte il dettato originale costituzionale e ha sempre più cercato di far passare il fatto che per “difendersi bene” bisognasse armarsi tanto, e essere pronti anche a rispondere a minacce enormi dal punto di vista militare.
Voi invece come la pensate?
Noi pensiamo che non sia così. La pandemia ha dimostrato che per difendere davvero il nostro paese in termini di vite umane, società e in termini anche economici, bisogna essere pronti a far fronte ad altri tipi di minacce che non sono quelle militari, ma quelle derivanti dalle crisi, dalle pandemie e dalla mancanza di uguaglianza dal punto di vista economico. Purtroppo a un certo punto c’è stata la divergenza tra i fini e i mezzi.
C’è stato una sorta di spostamento di contenuti, tanto è vero che questo se uno parla di sicurezza alla gente, viene in mente il concetto di sicurezza “armata”. A noi piace, invece, parlare di salvaguardia perché salvaguardia ha a che fare con “salvare”, “curare” la vita delle persone e per questa salvaguardia delle persone si ha bisogno di altri mezzi che non sono certamente quelli militari. Da qui l’idea di togliere le risorse alle spese militari per darle alle spese sociali e poi l’idea della moratoria per il 2021, una richiesta eccezionale proprio per l’emergenza derivante dalla pandemia.
Se il Parlamento non dovesse decidere di modificare la proposta di budget avanzata dal Governo, cosa succederebbe? Qual è il problema di fondo, dal punto di vista strutturale?
Il problema di fondo è sicuramente di carattere quantitativo. Negli ultimi anni, nonostante la crisi finanziaria, sono state tolte risorse ad ambiti come la scuola o la sanità, mentre i finanziamenti riguardanti le questioni militari sono rimasti alti o comunque non hanno subito diminuzioni. Paradossalmente fino alla fine della guerra fredda si spendeva tanto in ambito militare, ma si spendeva per avere un esercito molto grosso, magari anche “elefantiaco”, che doveva rappresentare la difesa dei popoli per un eventuale invasione, aveva un ruolo di impiego di un certo tipo.
In seguito, è sempre di più diventato uno strumento di proiezione esterna, tanto è vero che siamo arrivati ad avere un miliardo e 4 per le missioni militari all’estero. Un esercito costruito per poter essere dispiegato in giro per il mondo a difesa degli interessi nazionali. In sintesi sono cambiati i concetti di modelli di difesa. Non a caso l’Italia è il secondo contributore della Nato per numero di soldati e di effettivi nelle missioni internazionali.
Questo è il vero problema, la crescita quantitativa ma anche quella qualitativa che poi, si vede nella crescita molto forte dei nuovi sistemi di armi. Non si tratta più di spendere soldi per gli stipendi dei soldati ma spenderli per acquisire nuove aerei, sottomarini e così siamo arrivati a 6 miliardi derivanti dal Ministero della Difesa, ma anche dal Ministero dello Sviluppo Economico impiegati per cose eccessive. Per fare un ulteriore esempio, l’Italia è con la Cina il secondo paese al mondo per numero di portaerei: tutto il contrario di quello che è lo spirito costituzionale.
Tra l’altro sappiamo che vendiamo armi a stati che magari le utilizzano per scopi terroristici…
C’è un’ambiguità di fondo legata a uno slittamento relativo non solo alle categorie legate a pace, guerra o diritti, ma anche alle categorie economiche. Una delle grandi giustificazioni che viene adottata per il commercio di armi è che bisogna venderle perché questo economicamente porta dei vantaggi. Ma non è assolutamente vero, si tratta quasi di una leggenda.
La produzione e il commercio d’armi implica un impiego di risorse che, essendo tolte ad altre necessità, rappresenta un ritorno negativo per il nostro “sistema-paese”. La politica decide sempre relativamente a una dimensione ristretta: certamente ci sono delle pressioni internazionali e ci sono dei vantaggi, ma questi interessano solo quei grandi soggetti che fanno parte del comparto militare e industriali, non tutta la popolazione.
Purtroppo però in questa fase la politica è molto debole, non ha la forza di imporre la propria idea. È più facile che una politica debole venga portata per mano da interessi economici parziali, o politici di vantaggio personale e non riesca a dire di no. Come la Leonardo, l’industria militare italiana più grande, è controllata dallo stato, ma alla fine una volta che vengono nominati i vertici sono loro a dare le istruzioni di quello che dovrebbe succedere sulla politica italiana per la difesa. Questo è un vero e proprio paradosso, perché dovrebbe funzionare al contrario.
Ci potrà essere un cambiamento?
Noi stiamo lavorando affinché avvenga. Lavoriamo su due livelli, gli unici che potranno portare un vantaggio: da un lato cerchiamo di porre più pressioni possibile nei confronti della politica: nel corso di questo ciclo di audizioni sulla legge di bilancio abbiamo tenuto noi stessi un’audizione sottolineando questi punti insieme a Sbilanciamoci, per cercare di far capire ai decisori politici che stanno prendendo delle decisioni insensate, al di là degli aspetti ideologici. Dall’altro lato, grazie anche all’aiuto dei media, cerchiamo di far conoscere queste tematiche e a creare dibattito presso l’opinione pubblica, in modo che ci sia una pressione popolare per un vero cambiamento.
Durante la prima ondata di pandemia, molti sono stati costretti a rimanere a casa, tanti non hanno potuto lavorare, eppure contemporaneamente il governo diceva all’industria militare di stare aperta, di fare come volevano perché così li avrebbero ritenuti “apicali”, cioè al vertice dell’industria italiana. Sono sicuro che in quel momento lì, chiunque che si fosse sentito dire di chiudere le scuole, le attività, i negozi, le industrie, ma non la produzione di armi, si sarebbe arrabbiato. È importante che le persone sappiano.
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