MONDO
L’attivismo pro-Gaza esplode nei campus universitari statunitensi e nel mondo
Gli studenti di oltre 40 università e college, negli Stati Uniti e nel mondo, hanno acceso il fuoco del movimento di solidarietà con la Palestina, allestendo accampamenti nei loro campus. Chiedono che le loro università mettano fine alla complicità con il genocidio di Israele su Gaza e con l’occupazione della Palestina in generale
Benché la prima e la più lunga, occupazione studentesca sia stata quella della Vanderbilt University a Nashville, nel Tennessee, è stata la Columbia University ad accendere la miccia di un movimento studentesco massiccio, capace di farsi notare su scala globale. La decisione dell’amministrazione della scuola delle élite newyorkesi, che ha scatenato la repressione del dipartimento di Polizia di New York contro studenti che protestavano pacificamente, ha acceso un movimento globale grazie al quale, per la prima volta dopo mesi, tantissime persone hanno ricominciato a sperare. A partire dal 26 aprile, le occupazioni studentesche si sono estese anche alla Francia e all’Australia, oltre che in decine di campus negli Stati Uniti.
La repressione delle forze di polizia non è stata brutale solo alla Columbia, ma anche in altri luoghi. Alla Emerson University di Boston, Massachusetts, gli agenti del Dipartimento di Polizia di Boston sono stati ripresi in diretta mentre si scagliavano sui manifestanti, all’alba del 25 aprile. Alla Emory University di Atlanta, in Georgia, la polizia ha gettato a terra Caroline Fohlin, una professoressa di economia sbattendole la testa sull’asfalto , per aver tentato di intervenire durante gli arresti degli studenti. L’Università della California del Sud ha permesso agli agenti di sparare proiettili di gomma sugli studenti, mentre all’Università del Texas-Austin la polizia locale e statale, in motocicletta, a cavallo e a piedi, ne ha arrestati alcuni.
Ma la polizia non ha sempre avuto la meglio. Alla Cal Poly Humboldt, gli studenti sono riusciti a barricarsi in un edificio. Alla City University del City College di New York, i manifestanti hanno respinto la polizia e preservato l’integrità del loro accampamento.
In queste proteste, gli studenti hanno radicato le loro rivendicazioni su ciò che conta veramente: le condizioni di vita a Gaza e i legami intrattenuti dalle loro università con Israele.
Proprio mentre l’establishment faceva spallucce rispetto alla rivolta studentesca – il presidente Joe Biden ha provato a tacciarla di “antisemitismo” – in Palestina sono state scoperte due fosse comuni, all’indomani dei raid terroristici israeliani su due ospedali di Gaza. Circa 400 corpi di medici, pazienti, bambini e altre persone sono state ritrovate morte, alcuni delle quali sepolte ancora in vita.
In tutto il mondo, tra le alte sfere dei campus universitari, dei consigli di amministrazione e dei palazzi presidenziali, nessuno ha avuto nulla di nuovo da dire in merito alle strategie orribili e assassine di Israele. Il genocidio dello Stato sionista a Gaza ha già raggiunto il suo 200° giorno, con almeno 34.000 morti e un’invasione imminente a Rafah, città meridionale luogo di ultimo rifugio per centinaia di migliaia di palestinesi.
Mentre qualcuno sosteneva che il movimento studentesco, principalmente quello statunitense, fosse una distrazione, rappresentanti del movimento come Harsha Walia hanno posto l’accento sui parallelismi tra la violenza razzista di Stato negli Stati Uniti e in Israele e altrove. E, quantomeno, il movimento studentesco ha dato a diversi attivisti solidali con la causa palestinese qualcosa di concreto da fare, al di là del guardare per ore immagini orribili da Gaza sugli smartphone o cercare di andare avanti con le loro vite a fronte del genocidio in corso. E ci è riuscito prima che la “Freedom Flotilla” salpasse con i suoi aiuti e in anticipo sulla Giornata internazionale dei lavoratori.
Inoltre, visti e considerati i loro miliardi di dollari in sovvenzioni, capitale sociale e, in alcuni casi, i legami diretti con lo Stato di Israele, le università sono un importante luogo di lotta per l’avanzata del movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. La Columbia University, per citare un esempio, ha un campus proprio a Tel Aviv.
Gli Stati Uniti si dimostrano sempre più inospitali per la libertà di parola, pietra angolare della democrazia; e, a quanto pare, quasi tutte le istituzioni pubbliche e private sono state aziendalizzate, militarizzate, o entrambe le cose. Creare le condizioni affinché le università riassumano il loro ruolo storico di centri di conoscenza e interesse pubblico, come stanno facendo gli studenti in questi giorni, potrebbe offrire uno spazio di resistenza non solo al genocidio di Gaza, ma anche a molto altro.
Nei prossimi giorni potrebbero sorgere diversi accampamenti, formando una mappa in continua espansione su scala globale. I manifestanti sono uniti nella loro lotta: “Disclose, divest; we will not stop, we will not rest!” (Divulgare, disinvestire; non ci fermeremo, non avremo pace!, ndt) è il loro grido comune, che risuona in tutto il mondo.
Traduzione da Globetrotter a cura di Benedetta Rossi, Dinamopress
Foto di copertina da Flickr di Alisdare Hickson, in creative commons
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