approfondimenti

ITALIA

L’attivismo ecologista è sotto attacco

Cresce la preoccupazione in tutto il mondo per la forte repressione contro i nuovi movimenti ecologisti. Un report dettagliato analizza il caso italiano, ma la situazione è grave anche in altri paesi. Il fenomeno sta assumendo carattere sistemico ed è il chiaro segno che i governi non vogliono cambiare rotta rispetto alle politiche climatiche

Chi lotta per tutelare l’ambiente è da tempo in pericolo, ovunque nel mondo. Questo accade, banalmente a causa degli interessi che qualunque protesta ecologista radicale va a intaccare quando mette in discussione lo sfruttamento delle risorse del pianeta a fini di profitto. Sarebbe improprio pensare che la tendenza repressiva sia solo un fatto degli ultimi anni.

Global Witness -ong anglosassone conosciuta per la sua serietà- pubblica ogni anno fin dal 2012 un report globale molto dettagliato relativo alle uccisioni di attivist3 impegnate a difendere la terra e gli ecosistemi. Se vogliamo invece concentrarci invece sull’Italia, il movimento No Tav – senza dubbio uno dei movimenti ecologisti più radicali del nostro paese – ha subito negli ultimi 14 anni una forma di repressione deliberata e strutturale, completamente sproporzionata rispetto ai reati imputati. I casi di Dana Lauriola e di Nicoletta Dosio, che abbiamo spesso seguito su Dinamo, sono paradigmatici in tal senso.

Detto ciò, i segnali di una ulteriore grave crescita dell’accanimento giudiziario e legislativo-repressivo nei confronti di chi lotta per la tutela degli ecosistemi sono oggi evidenti a chiunque. Questa tendenza è di carattere internazionale e vede l’Italia al centro dell’azione autoritaria.

La scorsa estate la rete In Difesa Di, assieme a Greenpeace e a Osservatorio Repressione hanno pubblicato un report molto importante rispetto alla questione. Il report è scaturito da un gruppo di lavoro promosso all’indomani della visita accademica nell’aprile 2023 in Italia di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente, nell’ambito della Convenzione di Aarhus. Da allora, legali, avvocati di movimenti quali No TAP e No TAV, rappresentanti della rete In Difesa Di, organizzazioni tra cui Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Yaku, A Sud, Extinction Rebellion XR! Italia, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima fuori dal Fossile, Controsservatorio Valsusa e CASE Italia si sono incontrati periodicamente per scambiare esperienze e pratiche di repressione e difesa legale.

Nel rapporto si denuncia la crescente criminalizzazione della protesta ecologista, attuata attraverso leggi, provvedimenti e processi contro attivisti e attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, spesso etichettati come “criminali”, “eco-vandali” o “nemici dell’ordine pubblico”. La torsione repressiva vissuta da queste realtà in Italia è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava in modo particolare negli ultimi anni.

«Nel caso dell’Italia, disposizioni normative adottate ad hoc per contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente e il clima risultano in gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni presi dal nostro Paese sul rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e sulla tutela e il rispetto dell’operato di chi difende i diritti umani e dell’ambiente», dichiara Francesco Martone, portavoce della Rete in Difesa Di.

Una protesta ecologista davanti ad Eni, Archivio Dinamopress

In Italia oggi c’è un governo autoritario di stampo neofascista che ha interesse ad annichilire qualunque forma di dissenso rispetto alla gestione governativa del potere. Tra queste forme di dissenso, negli ultimi anni ha avuto un ruolo importante la protesta ecologista. Senza dubbio le campagne di Ultima Generazione sono servite ad accrescere la visibilità delle proteste climatiche e a criticare l’inazione del governo, anche se forse non sono riuscite parimenti ad accrescere il consenso attorno alla tematica. Abbiamo assistito al rapido passaggio tra il 2019 in cui sono esplose le proteste di Fridays For Future nelle piazze e il movimento è stato trattato con un misto di paternalismo e infantilizzazione bonaria e il biennio 2021-2023 in cui quelle stesse piazze sparivano dai giornali nonostante si arricchissero di radicalità di contenuti. Contemporaneamente, in Italia ma anche in tutta Europa crescevano le proteste di Ultima Generazione venendo stigmatizzate come fastidiose e inutili da tutti i media. Le campagne mediatiche però non sono bastate e ora si è passati alla repressione giudiziaria.

In questo inizio di autunno la situazione sembra peggiorare ancora. L’abominevole DDL 1660, in esame nelle aule parlamentari e ormai prossimo all’approvazione definitiva, ha tra i suoi vari scopi anche quello di colpire l’attivismo ecologista. In particolar modo l’invenzione del nuovo – gravissimo – reato di resistenza passiva e l’aggravio di pene per i blocchi stradali hanno evidentemente anche l’obiettivo di fermare proteste tipiche di gruppi ecologisti come Ultima Generazione e Extinction Rebellion.

Inoltre si può notare che l’apparato legislativo lavora in coordinamento evidente con quello poliziesco- giudiziario: non a caso sono già arrivate le prime richieste di sorveglianza speciale per attivist3 per il clima, prima da parte della questura di Milano e ora da quella di Roma.

Il fenomeno italiano è parte di una tendenza globale, come spiega lo stesso report sopra menzionato.

Interessante è notare ad esempio quanto accaduto in questi stessi anni nel Regno Unito, il luogo in cui le potenti campagne di Just Stop Oil e Extinction Rebellion hanno avuto la massima diffusione e impatto. “The Guardian” in un articolo ha collezionato esempi di grave accanimento giudiziario nei confronti di attivist3 per il clima: dalla proibizione di nominare davanti al giudice le parole climate change, fuel poverty, the civil rights movement che ha determinato l’incarcerazione per chi le nominasse, a pene spropositate per persone che hanno compiuto proteste nonviolente come appendere striscioni dai ponti. Più recentemente, due attiviste di Just Stop Oil sono state condannate a 3 anni e 8 mesi di carcere per aver lanciato i barattoli di zuppa sul quadro “I Girasoli” di Van Gogh, una azione che fece il giro del mondo. Le due attiviste hanno 22 e 23 anni.

Similmente, l’accanimento contro il movimento Soulevements de la Terre – il più radicale movimento ecologista francese contemporaneo – ha destato forte preoccupazione a livello internazionale. Dopo una gravissima repressione nelle manifestazioni Macron ha cercato addirittura di rendere illegale Soulevements attraverso un provvedimento legislativo, per fortuna poi bloccato grazie a un ricorso al Consiglio di Stato.

Casi di grave repressione poliziesco-giudiziaria contro attivist3 per il clima si sono registrati anche in Germania, Austria ma pure nei democratici e liberali Belgio e Paesi Bassi dove membri di Extinction Rebellion sono stati portati a giudizio con l’accusa di sedizione.

Evidentemente siamo di fronte a un fenomeno globale che si caratterizza a seconda del paese ma che ha notevoli tratti in comune.

Una protesta di Extinction Rebellion contro Eni, Archivio Dinamopress

Gli impatti del collasso climatico non sono più solo nelle previsioni della scienza ma sono sotto gli occhi di tutte e tutti, eppure i governi continuano a ignorarli. Nei giorni scorsi è transitata per l’Europa la tempesta Boris, che ha causato inondazioni, disastri e morti in un spazio geografico enorme dalla Germania alla Romania terminando poi in Romagna.

Mentre le città si allagavano e i fiumi straripavano Von der Leyen e Meloni hanno espresso con poche sfumature lo stesso concetto. Hanno detto che le politiche europee – moderatissime, tra l’altro – per far fronte alla crisi climatica sono un intralcio per la crescita e i profitti delle imprese e vanno accantonate. Era prevedibile e sta accadendo.

Chiunque si opponga al disastro deve pertanto affrontare la repressione che, al momento, sta in parte funzionando nell’obiettivo di inibire le proteste.

Bisognerà capire fino a quando la tendenza continuerà e fino a quando riusciranno a ribadire «Don’t Look up!»

Foto di copertina, Renato Ferrantini

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