ROMA

Last Night in Soho

Un altro segnale arriva dal quartiere di San Lorenzo, dove contemporaneamente all’attacco agli spazi sociali, si realizza la prima sede italiana di Soho House. Siamo di fronte al tentativo di sostituire una realtà fatta di associazioni di abitanti, giovani impegnati in attività sociali e culturali con giornalisti, pubblicitari, cineasti, creativi di ogni genere, pronti a cadere nella trappola del luogo esclusivo a loro dedicato

Oh viaggiatore che vieni a Roma, a meno che tu sia veramente al top, e allora scendi all’Hassler, se sei soltanto un hipster creativo wannabe e soprattutto se vuoi apparire tale agli occhi del mondo o della tua bolla, o dei tuoi stretti congiunti, recati alla Soho House Rome, “The place to be” secondo il “Messaggero”. Anzi, se sei un po’ cinefilo proclama: This must to be the place!

Di cosa si tratta?

Stavolta Milano è arrivata dopo. Soho House ha appena inaugurata la sua prima sede italiana, ma non quella prevista a due passi dalla Pinacoteca di Brera, bensì quella romana nel quartiere di San Lorenzo.

Nick Jones inventa i Soho House nel 1995 e apre il primo dei suoi club esclusivi dedicati a creativi e a rappresentanti delle élites della società a Londra. Oggi sono 27 sparsi in varie città nel mondo. «Eat, drink and nap» è la ragione sociale del club. Per mangiare, bere e sonnecchiare artisti, giornalisti, pubblicitari, cineasti, creativi di ogni genere si mettono in fila per entrare a far parte della community che già conta100mila soci(sono migliaia le domande presentate ogni anno e molte vengono respinte) e sono disposti a pagare intorno a 2.000 dollari l’anno. I membri avranno anche accesso esclusivo alla SH.APP (Soho House app) per connettersi agli altri membri Soho House di tutto il mondo. Praticamente è un aggiornamento del vecchio concetto del club per gentiluomini, ma questa volta non si tratta di aristocratici con soldi e tenute nella campagna inglese, ma di giovani definiti da Richard Florida «classe creativa», ai quali attribuisce la capacità di costruire un ambiente urbano aperto, dinamico, personale e professionale, che a sua volta, eserciterebbe una forza attrattiva nei confronti delle imprese e del capitale. Sono ammesse le donne (bennate e facoltose e creative), eccellente progresso rispetto agli antichi club.

Dal 2012 Nick Jones non detiene più la maggioranza della società Soho House, avendo ceduto il 60% delle quote all’americano Ron Burkle. 

Come è nata la sede romana? Dall’incontro fra un imprenditore e l’investitore, avvenuta proprio in un Soho House, del quale l’imprenditore era socio.  «Il Gruppo Barletta e il gruppo Soho House hanno recentemente concluso un contratto quadro e annessi contratti ancillari in relazione al futuro “Soho House” di Roma» – viene annunciato dalla stampa due anni fa. Il Gruppo Barletta dal 1953 è leader nel mercato immobiliare italiano con oltre 15.000 opere costruite e un milione di metri quadri edificati. Abitazioni, alberghi, aree commerciali e un’esperienza decennale nella riqualificazione e riconversione di proprietà immobiliari. Amministratore Delegato è Paolo Barletta figlio di Raffaele, fondatore del gruppo.

L’area proposta dall’imprenditore è quella di via De Lollis, ricavata dalla demolizione di uno stabile di proprietà della Cassa di previdenza ENPAPI, trasferita al Fondo Serenissima sgr, una delle società nate per la gestione del risparmio. Barletta l’aveva acquisita con l’intenzione di costruire appartamenti, ma in corso d’opera aveva presentato una variante al progetto per realizzare l’albergo.

Nel quartiere è dal 2013 che i Comitati si battono contro quell’opera che rischia di trasformare in maniera violenta quel pezzo di città e per la realizzazione di un parco archeologico nell’area limitrofa dove l’università La Sapienza vorrebbe realizzare un parcheggio multipiano proprio sopra alcuni ritrovamenti archeologici.

Sono preoccupati soprattutto che la demolizione, avvenuta nel 2015, e gli scavi di fondazione per realizzare tre piani di parcheggi interrati rappresentino un pericolo per la stabilità dei palazzi limitrofi.

Una scritta sul muro di cinta del cantiere in via De Lollis, foto dall’archivio di Dinamopress

La costruzione è andata avanti e in questi giorni è stato inaugurato la Soho House, che ha richiesto un investimento di 75 milioni di euro. L’edificio di 10 piani ha le stesse caratteristiche delle altre sedi sparse in tutto il mondo. Settanta fra stanze e appartamenti arredati con lo stile del brand, la piscina sul tetto con vista sulla città, bar e ristorante accessibili ai soli soci, spa e palestra fra settimo e ottavo livello, sala cinematografica e spazio per il coworking. L’inaugurazione nel «vivace quartiere di San Lorenzo» è stata salutata dalla stampa con toni entusiastici. Piace l’idea di un luogo riservato ai creativi «per riunirsi e fare network, tra momenti di relax e serate all’insegna del divertimento».

 «Volevamo un luogo diverso dai circuiti turistici, dal centro: cerchiamo sempre l’anima creativa delle città così la prima Soho House italiana sarà nel distretto post industriale di San Lorenzo», aveva dichiarato Nick Jones.

Così il quartiere della movida, anzi della malamovida come la definiscono le cronache dei giornali, il quartiere degli accoltellamenti tra pusher, dello spaccio dai balconi, delle molotov lanciate ai locali, della gente che dorme in strada e delle persone che non riescono a dormire nelle loro case, si trasforma nel racconto mediatico in «distretto artistico e pop della città», «”mecca” della creatività più innovativa e di tendenza», «quadrante fucina di idee». L’obiettivo è creare un «segretissimo microcosmo esclusivo», al cui interno «portare il più possibile il “vibe” giusto, affinché la “casa” sia davvero un ritrovo di “trendsetter, con gente capace di creare, dettare tendenze e rinnovarsi sempre».

Ma vediamo più da vicino, seguendo l’ampolloso peana del “Messaggero”, come si accede al Graal.

Per merito e costanza, cominciando «con un’application online e passando attraverso una rigorosa selezione». LucaMazzullo, «Head of membership and Communication di Soho House Rome» – citiamo sempre dal menzionato– lavora per avere una community inclusiva a livello di età, gender, etnia e sensibilità creative, a prescindere dalla professione esercitata», esclusivo e inclusivo allo stesso tempo, insomma basta pagare. Con l’approvazione di un comitato di Expert che valuterà l’autodescrizione del candidato (e il suo reddito) e con il versamento di tre quote differenziate rateizzabili:  Every House, per la community dei  poracci («soluzione approcciabile in  termini di spesa»), che possono accedere a un open space dove studiare e fare coworking, dotato di macchinette caffè, cappuccino e cornetto («con tanto di offerta “Food & beverage” interna), ma senza pernotto, Local House e Every House che prevedono il soggiorno e l’accesso alle “iconiche” sedi estere del club. Garantite, in ogni caso, «le “good vibes” e lo scambio “live”, tra persone che condividono una certa sensibilità e dei modi autenticamente gentili», in un ambiente che è «uno squisito mix di arredi, con lo stile “old fashioned” della sofisticata eleganza britannica di tutte le Soho House, e quello più “local” delle storiche dimore con ballatoio tipiche del quartiere San Lorenzo, tra pavimenti in Graniglia Romana e tavoli in marmo». Vietato l’uso dei cellulari per parlare e fotografare.

Ci sarà, fra le altre meraviglie, un settore beauty e fitness e un cinemino, «un’intima saletta con 42 comode poltrone di velluto, morbidi pouf per stendere le gambe e “drink à porter” da sorseggiare durante la visione» – più o meno come la tribuna Vip di Squid Game, da cui si assiste ai massacri dei povery. Infine la sala riservata ai soci di più alto livello, dove trattare gli affari seri, per «fare le conoscenze che contano» sorseggiando «l’iconico Avocado toast».

In cima, il rooftop, con piscina e vista panoramica, «ombrelloni merlati» (??), icona del lifestyle capitolino e «secret garden pensile del club», con «odorose piante della Macchia Mediterranea e sinuose colonne di argentei ulivi e profumati limoni».

Scremata la fuffa di questa presentazione anglo-italiana e ipermaiuscolata, l’operazione è chiara e si aggiunge, con un suo peso edilizio ed economico,  ad altre  manovre di gentrificazione  tristemente abituali a SanLo: la campagna su via dei Lucani, gli interventi “decorosi” dei retaker, gli acquisti sospetti di esercizi commerciali e gli attacchi ai centri sociali e al cinema Palazzo.

Segnali di una graduale, ma inesorabile espulsione per molti che nel quartiere ci vivono e lavorano.

Immagine di copertina dall’archivio di Dinamopress