MONDO
A las barricadas por la educación: una cronaca dalle mobilitazioni universitarie in Colombia
Una settimana dopo le manifestazioni che hanno riempito le piazze in tutto il paese, gli studenti universitari tornano a protestare contro i tagli all’educazione che rischiano di far chiudere gli atenei. Un racconto in prima persona dall’occupazione dell’Università del Valle a Cali ed una galleria di foto dentro il movimento.
La settimana scorsa l’intero paese è stato attraversato da enormi mobilitazioni studentesche, con oltre mezzo milione di studenti in piazza. Ma la risposta del governo, con la promessa di Duque di aumentare di 1 miliardo di pesos il bilancio per l’educazione, non ha convinto gli universitari, che in risposta hanno diversificato le pratiche di lotta.
L’Universidad del Valle è il più importante centro didattico di tutto il Dipartimento del Valle del Cauca, la regione il cui capoluogo è Cali. Non è solo un ateneo, è concretamente l’unico accesso all’educazione superiore pubblica per milioni di persone. La sua chiusura o privatizzazione de facto significherebbe negare la possibilità di istruirsi a tutti coloro che non possono permettersi di pagare le rette semestrali. Per questo il 10 ottobre gli studenti sono scesi in piazza e, visto che il governo ha fatto orecchie da mercante, dopo una settimana sono tornati a protestare con più determinazione.
L’assemblea Univalle ha convocato dalla pagina facebook una acampada. Martedì, nel tardo pomeriggio, il porticato e il giardino del polo scientifico si riempiono di tende.
Una lunga coda di ragazzi e ragazze aspetta ordinata d’essere registrata: è importante contarsi, sapere i nomi di chi c’è, marchiarsi il braccio con un segno di pennarello. In un passato troppo recente alcuni studenti sono rimasti vittime della polizia e nessuno deve rimanere anonimo. Ci si riunisce in assemblea, pochi minuti per spiegare a tutti come si divideranno i compiti per far sì che tutto vada bene. L’obiettivo è erigere barricate, all’alba, per mandare in tilt il traffico mentre le persone vanno al lavoro. Si autogestiscono tre gruppi diversi.
Il primo corrisponde al servizio d’ordine: si organizzano turni di guardia di due ore e un perimetro che circonda l’accampamento. L’idea è che ci sia sempre qualcuno all’erta per avvertire tutti nel caso entri la polizia di notte. Normalmente le forze dell’ordine hanno bisogno dell’ordine del rettore e del governatore per entrare nelle università, ma è una regola debole. Nel 2005, in una situazione analoga, l’ESMAD (Reparto celere della polizia colombiana) è entrata nell’ateneo e ha ucciso un ragazzo disabile, Jhonny Silva.
Il secondo gruppo si occupa dell’autogestione dell’accampamento: preparare pentoloni di cañelazo, la bibita degli studenti a base di cannella e acquavite, cucinare la colazione per il giorno dopo e rispondere alle esigenze dei manifestanti. Il terzo gruppo, “logistica”, ha il compito di preparare il necessario per costruire le barricate il giorno dopo. Vicino a una delle entrate si accumulano cassonetti, lampadari, mobili, pali di cemento, copertoni, spartitraffico e vari altri oggetti.
Il moderatore dell’assemblea presenta due altri gruppi: il gruppo “Diritti Umani”, che si occupa di controllare che la polizia rispetti le convenzioni internazionali sui diritti fondamentali,e il gruppo Salute, composto da studenti di medicina preparati a dare un primo soccorso in caso di emergenza.
Anche se c’è un po’ di tensione rispetto all’azione prevista per il giorno dopo, l’atmosfera è gioiosa, i ragazzi e le ragazze ridono, scherzano e cantano. Si vive l’atmosfera delle occupazioni studentesche, si gioca a carte o “alla bottiglia”, si accendono fuochi e si suonano tamburi e trombe.
Le tende creano un paesaggio colorato mentre una ragazza gioca con le bolas nella penombra. Ci sono laboratori di serigrafia che stampano magliette con i simboli della protesta o un capannello di coraggiosi che sta scrivendo un comunicato. A un certo punto due grossi boati risuonano nel cortile; i capuchos, i ragazzi che alle manifestazioni si occupano del confronto diretto con la polizia, hanno fatto esplodere un paio di petardi per scherzo. Urla di gioia e fomento salgono dall’accampamento.
Si blocca la città
La notte passa rapida, un paio d’ore di sonno e tutti sono già in piedi, svegliati del suono dei tamburi. Sono le 5, ci si sveglia in fretta per riunirsi in assemblea. Il gruppo logistica spiega come e dove si effettueranno i blocchi, quali saranno gli effetti sul traffico, da dove potrebbe arrivare l’ESMAD e come ci si deve comportare quando cominceranno gli scontri. Senza neanche aver fatto colazione, i ragazzi e le ragazze si dirigono verso i cancelli dell’università portandosi dietro il materiale messo da parte la notte prima.
Velocemente bloccano la via principale di fronte all’università e una via secondaria adiacente ma soprattutto chiudono uno degli incroci della Calle 5, forse l’arteria più importante della città.
Pochi automobilisti protestano, alcune moto provano a passare attraverso le barricate, il MIO (sistema di trasporto pubblico) è paralizzato, tutti i bus sono fermi e fanno scendere i passeggeri ma in generale c’è solidarietà. I giovani creano un grande cerchio in mezzo all’incrocio e cominciano a cantare i cori della protesta. Il blocco dura più di una ora e mezzo, vengono bruciati dei copertoni ma si continua a cantare e a ballare.
Finalmente arriva la notizia che l’ESMAD si sta schierando nei pressi della prima barricata. La polizia arriva schierata, con un effettivo ridotto ma armato fin ai denti e con un mezzo blindato dotato di cannoni ad acqua.
In pochi secondi sfondano le barricate, la moltitudine resiste lanciando oggetti e petardi ma deve subito rifugiarsi dentro l’università per evitare il massacro. Lo scontro prosegue con la polizia che spara candelotti lacrimogeni mirando ai ragazzi e con gli studenti che si difendono come possono. Vengono accesi dei piccoli tumuli di foglie per fare fumo e ostruire la visuale all’ESMAD.
Wilson, un signore con la pettorina del gruppo dei Diritti Umani, ci spiega qual’è il suo compito: «Siamo lavoratori dell’università, riuniti in tre sindacati; il mio per esempio si chiama SintraUnicol. Il nostro compito è aiutare gli studenti, esserci per qualsiasi evenienza. Nel caso si presenti una situazione delicata con la polizia abbiamo gli strumenti legali per garantire il rispetto dei diritti umani e identificare i responsabili di eventuali infrazioni».
Piano piano, gli studenti tornano all’accampamento per bere tutti insieme la cioccolata appena preparata. Nessuno si è fatto male, tutti sono tornati. La tensione si è allentata e si legge nel volto dei ragazzi e delle ragazze una certa soddisfazione.
In piazza anche di notte
Si smontano le tende mentre alcuni si riposano sotto il porticato. Il tempo per rilassarsi però è poco, perché nel tardo pomeriggio è già in programma una atorchada, ossia la marcia con le torce di fuoco che attraverserà la città. Alle cinque ci si riunisce tutti all’Agorà dell’ateneo per preparare i materiali.
Un vademecum su come si fanno le torce gira da qualche giorno sui social e ognuno vuole illuminare la notte a modo suo. Si fanno torce con qualsiasi cosa: schegge di bambù, bastoni con stracci inzuppati di benzina, lattine e bottigliette di vetro contenenti liquido infiammabile ecc. L’idea è farsi notare, da tutti, il più possibile.
Quando il corteo esce dall’università, centinaia di fiaccole danzanti invadono l’Avenida Pasoancho. Sotto i cavalcavia i cori rimbombano e sembra quasi che l’asfalto stia tremando sotto i nostri piedi.
Anche se stanchi, i ragazzi e le ragazze, che dall’alba sono in piedi per protestare, si rincorrono nel corteo tra urla e risate. Si dà libero sfogo alla creatività: un paio di ragazzi si sono travestiti da lottatori di wrestling messicano, un signore con un costume da pagliaccio cammina sui trampoli e un’altro studente con una spada laser e un completo nero regge un cartello che recita: “Anche Kylo Ren difende l’università pubblica”.
L’atmosfera è particolarmente bella, sembra che nessuno vuole andarsene dal corteo, anche se, poco a poco, ci si avvicina verso il parque de las Banderas dove si scioglie la manifestazione tra balli, cori e fumogeni colorati.
Contro il debito studentesco
Il venerdì il movimento studentesco si convoca un’altra volta. L’obiettivo del giorno è sanzionare la sede dell’ICETEX, l’odiata istituzione di credito che elargisce i prestiti d’onore. Infatti secondo un perverso sistema politico-economico, il finanziamento dell’educazione superiore in Colombia fa perno intorno a una banca.
Oltre a fornire crediti agli studenti, l’ICETEX è il pilastro del programma “Ser Pilo Paga”, messo in piedi dall’ex presidente Santos. Il principio di fondo è quello di permettere l’accesso all’università alle fasce meno abbienti, però il sistema finisce per versare fondi pubblici alle università private.
Elisa, una studentessa indebitata, ci racconta che «dopo la maturità un certo numero di studenti meritevoli viene selezionato come vincitore. Gli si dà la possibilità di scegliere tra qualsiasi università, che sia privata o pubblica, e lo stato paga la retta. Ovviamente la gente, visto che può scegliere, preferisce andare nelle università private più prestigiose. Però così i soldi pubblici, i nostri soldi, che dovrebbero servire per rendere una università pubblica gratuita e di qualità, vanno direttamente alle università private. Questo programma sta facendo collassare gli atenei pubblici: se non vengono inseriti immediatamente 4,5 miliardi di pesos nel sistema universitario le aule rimarranno chiuse, a meno che le università pubbliche aumentino le rette, diventando effettivamente private».
L’azione davanti all’ICETEX è alquanto irriverente: gli studenti hanno portato ognuno la copia dell’ultima rata versata, occultando sul documento il proprio nome. Ogni ricevuta viene appiccicata sulla vetrina d’ingresso della banca mentre la piazza grida “ICETEX, codisioso, la educación no es un negocio” (ICETEX, avaro, l’educazione non è un affare).
La seconda settimana di mobilitazioni contro i tagli all’università pubblica è stata densa di appuntamenti, dibattiti, cortei e azioni in tutto il paese. La cronaca delle gesta degli studenti e delle studentesse della Universidad del Valle sono solo un piccolo racconto delle lotte che si stanno svolgendo in tutta la Colombia.
A Bogotà per esempio gli studenti hanno marciato in corteo fino alla centralissima piazza Bolívar, dove hanno tentato di montare alcune tende. Purtroppo la polizia li ha sgomberati dopo poche ore.
Nonostante la repressione e le promesse (incompiute e confuse) del governo, il movimento studentesco non demorde e annuncia già nuove manifestazioni per la settimana prossima. Si prova a organizzarsi, coinvolgendo tutti i territori e le università più marginali ma soprattutto si cerca di entrare in contatto con i lavoratori organizzati.
La protesta, iniziata dai giovani delle università, potrebbe presto coinvolgere tutti i settori d’uno dei paesi più diseguali dell’America Latina.
Galleria di foto a cura di M. S. per DINAMOpress.