MONDO
L’affaire dei rifiuti dalla Campania alla Tunisia
12000 tonnellate di spazzatura dall’Italia nella città di Sousse senza seguire le convenzioni internazionali. Mobilitazioni e indignazione in Tunisia, silenzio in Italia. Parlano il deputato Majdi Karbai e la Réseau Tunisie Verte
A inizio novembre sull’altra riva del Mediterraneo, nella città di Sousse, è scoppiato un caso che ha scosso la politica tunisina, con un’inchiesta che ha portato all’arresto, domenica 20 dicembre, di 23 alti funzionari, tra cui il ministro dell’ambiente Mustapha Aroui (dimissionato dal governo il giorno prima). Alla base dell’inchiesta l’esportazione in Tunisia dal porto di Salerno di 282 container, avvenuta in due fasi tra i mesi di maggio e luglio, contenenti 12000 tonnellate di rifiuti classificabili come rifiuti urbani Y 46, il cui trasporto transfrontaliero è regolato dalla convenzione di Basilea che prevede precise procedure, che non sarebbero state rispettate dalle parti, secondo il j’accuse tunisino. A quanto si apprende, inoltre, la società tunisina coinvolta, la Soreplast, il cui proprietario risulta al momento latitante, sarebbe una società cosiddetta dormiente addetta alla sola lavorazione di rifiuti di plastica post industriale.
Le domande a cui mancano risposte chiare sono tante, se si aggiunge che la Tunisia è firmataria della convenzione di Bamako dell’Unione Africana che proibisce l’esportazione in Africa (nei paesi aderenti) di tali tipologie di rifiuti.
Senza contare che il paese maghrebino ha enormi difficoltà strutturali nella raccolta e smaltimento già dei propri rifiuti e non possiede le capacità gestionali per poter procedere alla lavorazione dei rifiuti ricevuti dall’Italia.
Mentre la magistratura tunisina è al lavoro, con un’inchiesta che ha fatto tremare i vertici ministeriali e dell’Agenzia nazionale di gestione dei rifiuti (Anged), le associazioni e i movimenti locali stanno continuando a fare pressione sulla politica per attivare canali diplomatici con l’Italia al fine di far emergere la portata dello scandalo anche alle nostre latitudini e risolvere la problematica ecologica causata dallo stazionamento dell’ingente quantitativo di rifiuti potenzialmente pericolosi nel porto di Sousse. Se in Tunisia, da un punto di vista politico, si segnalano delle resistenze ad andare fino in fondo nella questione, con i ministri dell’ambiente e degli esteri che, seppur sollecitati dalla società civile, al momento non sono ancora intervenuti in maniera efficace, in Italia tutto (o quasi) tace, sia sul lato giudiziario che politico che del mondo ambientalista.
Come ci ha confermato il deputato tunisino residente a Milano (ed eletto con i voti della diaspora tunisina in Italia) Majdi Karbai, che è stato tra i primi ad attivarsi sull’affare dei rifiuti, nonostante i ripetuti tentativi di contattare diversi interlocutori politici, istituzionali ed associativi italiani, al momento hanno risposto all’appello solo l’eurodeputato ex 5 Stelle Piernicola Pedicini e soprattutto la consigliera regionale campana 5 Stelle Mari Muscarà che ha provato a interrogare la regione Campania che ha autorizzato la contestata esportazione dei rifiuti e il cui ruolo è fondamentale nella vicenda.
D’altronde mentre a poche miglia di mare dalle nostre coste mediterranee l’argomento è fonte di dibattito, qui da noi sono state davvero poche le voci che si sono alzate, anche sulla stampa e al di fuori di Palazzo Santa Lucia (sede della Regione Campania).
Allo stato attuale si segnala solo l’attivismo di Potere al Popolo che ha redatto un comunicato congiunto con il Partito dei lavoratori della Tunisia per sollevare la questione. Un lavoro comune che sta andando avanti anche in questi giorni, con i militanti tunisini della sezione di Sousse che hanno presentato un dossier al comitato regionale dell’INLUCC (Istanza nazionale di lotta ala corruzione) con la richiesta di portare a compimento l’inchiesta con il massimo rigore e senza condizionamenti di alcun tipo, chiamando in causa le alte sfere politico-istituzionali coinvolte.
La richiesta di una maggiore attivazione a tutti i livelli, soprattutto dal basso, in Italia arriva anche da uno degli attori principali che ha fatto venire fuori la vicenda, ovvero la rete di esperti e Ong tunisine attive sulle tematiche ambientali Réseau Tunisie Verte, in prima linea in questi mesi con mobilitazioni e petizioni. Nel farci un resoconto delle iniziative messe in campo finora, Nidhal Attia, uno dei militanti più attivi della rete, ha sottolineato come in questa fase sia fondamentale fare pressione a livello politico e diplomatico per riuscire a realizzare la richiesta principale della società civile tunisina: il rimpatrio immediato dei rifiuti in Italia.
Il lavoro delle associazioni, grazie al contributo di alcuni parlamentari quali Majdi Karbai, sta riuscendo a fare passi avanti in tal senso, avendo ottenuto un’audizione parlamentare aperta del ministro degli esteri tunisino il 6 o il 7 gennaio.
Il tempo però stringe – come evidenza Nidhal Attia – per riuscire a far attivare canali diplomatici tra le due parti al fine di trovare un accordo sul rimpatrio dei rifiuti prima che l’unica via sia il ricorso a un arbitrato internazionale che allungherebbe oltremodo i tempi. In tal senso le associazioni contano di riuscire ad interpellare anche l’ambasciatore italiano in Tunisia per avviare un’interlocuzione.
Dal canto nostro, qui nel Belpaese, riusciremo ad accogliere l’invito dei movimenti politici e della società civile tunisina o continueremo a far finta che non ci interessi quello che accade sull’altra riva del Mediterraneo, che invece ci tocca, in questa vicenda come non mai, così da vicino? A dieci anni dalla rivoluzione la Tunisia, come dimostra questa ennesima inchiesta, deve fare ancora i conti con un apparato politico-istituzionale segnato dalla corruzione ma dimostra anche quanto sia viva da un punto di vista sociale la capacità e la voglia di mobilitarsi. Ma a dieci anni dalla rivoluzione, oltre che analizzare giustamente il contesto interno tunisino, sarebbe interessante anche indagare il ruolo passato e attuale dell’Italia e dell’Europa, sempre in prima linea quando si tratta di controllare le frontiere e di impedire ai migranti di raggiungere le nostre coste ma silente, quando emergono vicende come quella dei rifiuti, che tirano in ballo rilevanti inte