MONDO

La violenza sistematica contro le donne in Iran

Alla vigilia del 25 novembre, femminicidi ed episodi di razzismo si moltiplicano in Iran. Ma anche inaspettati tentativi di convergenza, come il sostegno del movimento dei pensionati a Ahoo Daryaee

Proprio nei giorni più bui del panorama socio-politico iraniano, oppressi dal peso incombente della guerra e mentre gran parte del dibattito intellettuale era incentrato su un possibile attacco iraniano a Israele e su scenari militari, con scarso interesse per gli scioperi degli infermieri, dei lavoratori del petrolio e le manifestazioni dei pensionati, la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Teheran ha organizzato una protesta durante la quale sono stati intonati gli slogan “Donna, Vita, Libertà” e altri a sostegno del diritto a formare sindacati indipendenti. Questa manifestazione ha evocato lo spirito errante della rivolta di Jina Mahsa Amini e riportato alla mente quei momenti a molti e molte. Poco dopo questa protesta, una studentessa, Ahoo Daryaee dell’Università di Scienze e Ricerca (Oloom Tahghighat), dopo uno scontro con le guardie di sicurezza a causa dell’hijab, si è denudata parzialmente e, con il proprio corpo, creando un’atmosfera di gioia nella società, e risvegliando molti e molte da una letargia personale e sociale.

La foto di Arezoo Khavaril diffusa sui social

Tre giorni dopo questo evento, la notizia del suicidio di una ragazza, Arezoo Khavaril, in una scuola nel sud di Teheran (il quartiere più povero) è stata diffusa dai media. La prima immagine pubblicata, e il nostro primo incontro con questa giovane, è stata una fotografia scattata pochi secondi prima della sua morte, mentre lei era in piedi sul bordo del tetto della scuola. Un’immagine che spinge al parossismo il rapporto tra immagine e realtà.

Poche ore dopo l’accaduto sono usciti i dettagli di questo suicidio, o di quello che più precisamente si dovrebbe chiamare femminicidio: Arezoo Khavari, a causa dell’uso dei jeans e per aver ballato durante una gita scolastica, aveva ricevuto ripetuti richiami dalla scuola, i suoi genitori erano stati informati ed era stata minacciata di essere espulsa.

In realtà, abbiamo scoperto che, in seguito a diverse pressioni, tra cui la violenza di genere, Arezoo Khavari aveva deciso di porre fine alla sua vita. In un’intervista rilasciata a una rivista, suo padre ha rivelato di essere afghano e di lavorare come operaio.

Nell’imminenza dell’anniversario della rivolta di Jina Mahsa Amini, assistiamo a una sistematica campagna di disinformazione e di odio condotta sia dal potere statale che da una consistente parte dell’opposizione di estrema destra, diretta contro i e le migranti afghane. La diffusione massiccia di notizie false e la manipolazione della realtà, con l’obiettivo di emarginare socialmente e creare un clima di ostilità nei confronti di questo gruppo, sono diventati strumenti chiave di questa crociata. Una società già ferita dal fallimento di una rivoluzione, sta gradualmente scivolando verso ideologie fasciste, scaricando sui migranti la colpa dei propri problemi e cercando così di sottrarsi alle proprie responsabilità. Le e gli afghani sono stati ridotti a parassiti, la cui uccisione è considerata lecita e la cui vita è ritenuta di valore inferiore rispetto a quella di un essere umano iraniano.

Il suicidio di Arezoo Khavari è il risultato diretto di una progressiva marginalizzazione sociale che si manifesta attraverso diverse forme di oppressione: razzismo, sessismo religioso e sfruttamento della sua famiglia.

Questo tragico evento, avvenuto subito dopo la protesta di Ahoo Daryaee, ha innescato un intenso dibattito e ha spinto molti a riconsiderare la propria posizione e a impegnarsi in un nuovo percorso di cambiamento rivoluzionario. Ad esempio, come già sottolineato all’inizio, da diversi anni, i pensionati stanno organizzando proteste di piazza. Nel corso del tempo, le loro richieste sono andate ben oltre le questioni puramente sindacali. Hanno più volte espresso solidarietà a personaggi come Tomaj Salehi, il rapper incarcerato, e a Sharifeh Mohammadi, l’attivista operaia condannata a morte. Anche il loro sostegno ad Ahoo Daryaee ha sorpreso molti.

Molti e molte pensavano che il suo gesto (la nudità) non avrebbe trovato alcun sostegno nelle generazioni più anziane, nemmeno tra gli attivisti. Tuttavia, queste manifestazioni hanno dimostrato che, in questi anni, c’è stato un grande progresso, sia a livello pratico che ideologico.

Oltre a ciò, sono nati movimenti virtuali sui social media, sono stati e vengono prodotti testi, video art e immagini da artisti e artiste, tutti segni di una lotta ancora viva. Certo, tutto ciò non basta di fronte a tanta misoginia e sessismo che imperversano nella società. Negli ultimi giorni, si sono verificati numerosi femminicidi commessi da mariti e padri di famiglia. Alla vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, abbiamo assistito a casi in cui mariti hanno aggredito le proprie mogli con un piccone, sfracellando loro il cranio, a causa di una presunta mancanza di intimità affettiva e sessuale. In un altro omicidio, il motivo addotto è stata una lite per la preparazione dei pasti.

Una delle principali cause dell’aumento di questi femminicidi è l’assenza di leggi severe per punire tali atti. Ad esempio, le pene inflitte ai padri che uccidono i propri figli, in particolare le figlie, le persone transgender o appartenenti alla comunità LGBTQ+, sono spesso molto miti. Inoltre, un sistema politico patriarcale e la persistenza di una cultura maschilista nella società, sebbene in declino, riducono le donne a proprietà, condannandole a morte per il più piccolo errore ai loro occhi. In vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è fondamentale rafforzare la solidarietà tra le donne, soprattutto quelle più vulnerabili, in diversi paesi, poiché molte di loro subiscono le stesse violenze e perdono la vita.

Foto di copertina da WikiCommons


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