ITALIA

La Tuscia in corteo nel parco di Vulci per dire no al deposito di scorie nucleari
La manifestazione ha riunito numerose persone per scongiurare la possibilità della costruzione del deposito unico di scorie nucleari in un’area a vocazione agricola e turistica interessata per di più da fenomeni sismici
La Tuscia non vuole il deposito di scorie nucleari: questo è il messaggio che hanno ribadito le oltre duemila persone che si sono radunate domenica mattina nel parco archeologico di Vulci, vicino alla cittadina di Montalto di Castro. A formare il lungo serpentone di bandiere gialle che si è snodato nella campagna verdeggiante erano soprattutto le famiglie che abitano nella provincia di Viterbo, dalle persone anziane fino alle nuove generazioni.
Erano presenti anche le associazioni locali, quelle che lavorano alla salvaguardia del patrimonio socio-culturale e i biodistretti, che ogni giorno promuovono lo sviluppo dell’agricoltura biologica nei territori. Ma in piazza sono scesi anche gli agricoltori, con i loro trattori, le aziende turistiche-escursionistiche e le sindache e i sindaci del territorio.
Nonostante il clima festoso e la bella giornata, erano molti i volti angosciati per quello che potrebbe essere il futuro dell’Alta Tuscia.
Il rischio infatti è che il Deposito nazionale di scorie nucleari, che ospiterà tutte le scorie radioattive delle centrali nucleari italiane ormai dismesse e i rifiuti ospedalieri la cui pericolosità è equiparata, si faccia in questa zona.
La questione va avanti ormai dal 2021, cioè da quando la Sogin, società del ministero di Economia e finanza che si occupa dello smaltimento dei rifiuti nucleari, ha individuato le 51 aree idonee a ospitare il deposito nazionale di scorie nucleari.
Di queste aree, 21 sono state localizzate tra Montalto di Castro a Civita Castellana. Questa elevata concentrazione di siti idonei in un territorio a elevato rischio sismico, dove nel 1971 c’è stato un terremoto che causò 22 morti, non è mai stata motivata in modo chiaro dai governi che si sono succeduti ed è ormai vissuta dalla cittadinanza come un’ingiustizia. La sensazione è che la scelta di Sogin sia stata motivata dal fatto che la Provincia di Viterbo è tra le meno popolate d’Italia, e che la realizzazione di questo progetto avrebbe incontrato poca resistenza da parte di chi ci risiede.
Intervistato da Dinamopress, il presidente del biodistretto del lago di Bolsena Gabriele Antoniella ha sottolineato che la Tuscia vede da tempo ricadere sul proprio territorio vari progetti con grande impatto ambientale: «Credo che la Tuscia abbia una serie di speculazioni in atto, non si tratta solo del deposito unico ma di servitù passate e di imposizioni presenti, che si ritrovano in un’idea di politica estrattivista», ha affermato facendo riferimento alla monocoltura di nocciole presente nella zona e al piano di costruzione di un parco eolico di circa 250 pale che dovrebbe realizzarsi a breve. «Questi sono progetti calati dall’alto, che hanno problemi tecnico scientifici ma anche ambientali e sociali, perché non prevedono mai un’interazione e una conoscenza del territorio».
I rischi temuti sono però tanti, e primo fra tutti è quello della salute. Il dato di partenza non è dei migliori: l’incidenza tumorale nel viterbese è già molto alta a causa dell’emissione naturale di radon, un gas cancerogeno sprigionato dal suolo di origine vulcanica, e la realizzazione del deposito non può che preoccupare ulteriormente le e gli abitanti. Anche la possibilità di inquinamento delle falde acquifere è una questione che suscita sgomento.
Ma oltre alle prospettive negative sulla salute, suscita angoscia il danno all’economia che comporterebbe la realizzazione dell’impianto di stoccaggio. La produzione nella Tuscia è infatti essenzialmente agricola, con prodotti tipici, come le castagne e l’olio di oliva.
«Chi comprerebbe i nostri prodotti sapendo che qui c’è un deposito di scorie nucleari? Quale futuro lasceremmo alle prossime generazioni?», si domanda Santina, ex-professoressa di liceo.
Le paure della popolazione hanno trovato però riscontro nella politica locale, che si è schierata compatta contro il deposito. «Chiediamo alla Sogin di rivedere la mappa perché non è stata fatta su basi scientifiche esatte», ha esclamato dal palco allestito alla fine della manifestazione la sindaca di Montalto di Castro Emanuela Socciarelli, riferendosi alla Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee.
Le amministrazioni locali dei 60 comuni della provincia di Viterbo hanno accolto, nei vari ricorsi al Tar contro la realizzazione del deposito, le contro-inchieste elaborate dai biodistretti e dalle associazioni presenti sul territorio. Il lavoro di documentazione fatto dalle organizzazioni della società civile, che nell’ultimo anno è stato divulgato alla cittadinanza locale tramite numerosi eventi pubblici, mostra l’incompatibilità della sicurezza del deposito con la natura geologica della Tuscia, caratterizzata da un terreno friabile e formato prevalentemente da roccia di tufo.
Sull’argomento si sono esposte sia la Provincia di Viterbo che la Regione Lazio, manifestando pubblicamente la loro contrarietà al progetto e presentando numerosi ricorsi al Tribunale amministrativo regionale.
«Noi oggi arriviamo a questa mobilitazione dopo aver costruito decine di comitati, di associazioni e di organizzazioni nei territori, e questo è molto importante, perché quello che abbiamo di fronte non è un percorso breve, è un percorso lungo», ha dichiarato a conclusione dell’evento il presidente del biodistretto “Valle Amerina e forre” Famiano Crucianelli. «Allora avere una struttura organizzata, comune per comune, realtà per realtà, è la più solida garanzia che questa lotta andrà avanti. Non siamo che all’inizio», ha chiosato.
La mobilitazione si sta infatti diffondendo e radicando sempre di più. Dopo lo slancio preso a Vulci, il prossimo appuntamento sarà a Corchiano l’11 maggio, con un nuovo corteo. Ma nella platea che si era ammassata ad ascoltare gli interventi dei personaggi politici che si sono poi susseguiti si vociferava già a gran voce: «se non ci ascoltano, andremo a Roma».
Immagine di copertina di Milos Skakal
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