approfondimenti
EUROPA
La Spagna dopo le elezioni europee
I risultati elettorali consolidano un’inerzia istituzionale con i popolari tallonati dai socialisti. Tuttavia, il voto spagnolo all’estrema destra contiene alcuni elementi, non ancora egemonici ma forse destinati a diventarlo: un principio di Alt-Right come reazione alla quarta ondata femminista
Qual è lo scenario che ci consegnano le ultime elezioni europee in Spagna? Al netto della fisiologica singolarità che normalmente caratterizza le tornate elettorali europee – come l’astensione e un minor interesse generale – ne deriva una situazione relativamente simile a quella già esistente: una partita per la maggioranza assolutamente aperta tra i popolari e i socialisti, in cui i primi, pur possedendo un lieve vantaggio in termini di punti percentuali, rimarrebbero tallonati dai secondi, comunque obbligati a dipendendere da una sinistra – sempre più a pezzi – ma soprattutto dai partiti territorialisti (catalani e baschi in primis). Rispetto all’ondata reazionaria – per ora uno dei focus principali del dibattito pubblico – possiamo dire (in linea con altre analisi) che nemmeno qui si è data, almeno in confronto con Francia o Germania. Tuttavia, il voto spagnolo all’estrema destra contiene alcuni elementi, non ancora egemonici ma probabilmente destinati a diventarlo, che è utile iniziare a cartografare.
A chi ci riferiamo quando parliamo di estrema destra in Spagna? Innanzitutto c’è Vox che in Europa confluisce insieme a Fratelli d’Italia nel gruppo dei “Conservatori e Riformisti europei”. Vox entrò per la prima volta nel parlamento nazionale cinque anni fa e rappresenta ormai una costante del panorama istituzionale. Questa volta raccoglie poco più di un milione e mezzo di voti (circa il dieci per cento): non è il miglior risultato ottenuto finora, ma sufficiente per confermare la terza posizione.
Le ultime elezioni ci presentano però un attore nuovo. Si tratta del partito Se acabó la fiesta (È finita la festa) organizzato intorno al personaggio di Luis Pérez, meglio noto come Alvise. Malgrado la presunzione di outsider, Alvise non è nuovo alla politica
Esordí durante il periodo universitario nel vecchio partito di centro-destra UpyD (Unione Progresso e Democrazia), per affiliarsi successivamente all’ormai scomparso Ciudadanos, dove lavorò come consulente di comunicazione. Fu proprio a partire da quest’esperienza che iniziò ad affinare le sue capacità di agitatore mediatico, specializzandosi nell’uso dei social e nella diffusione di fake news, un’attività che lo ha esposto a varie denunce e diversi procedimenti giudiziari. La candidatura alle europee è infatti motivata, come lui stesso ha ammesso più volte, dall’intento di sottrarsi a eventuali conseguenze penali grazie all’immunità parlamentare.
Domenica sera Alvise faceva irruzione nello scenario politico con un totale di oltre ottocentomila voti e tre seggi nel parlamento europeo, uno più di Podemos. Cosa c’è alla base di questo successo? Una buona parte delle analisi insiste molto su un’eccessiva attenzione da parte dei media, tanto di destra come di sinistra: i primi per un interesse più o meno diretto, i secondi con il fine di imporre la dicotomia “noi o il fascismo” ricattando così l’elettorato progressista (con un esito abbastanza negativo).
Tutto questo è sicuramente vero, ma non aiuta a fare luce sulle origini più profonde del fenomeno. La mia ipotesi – che provo ad argomentare in quest’articolo – è che la nuova destra esprime una materialità realmente esistente, il riflesso di un mutamento antropologico oltre che di una serie di fattori che agiscono insieme retroalimentandosi, in continuità con quanto accaduto in paesi come Argentina e Stati Uniti.
Lo scarto rispetto a Vox
Vox si affermò nel dibattito pubblico come reazione al processo d’indipendenza catalano. Lo fece con un discorso fortemente centrato sull’unità nazionale e impregnato di un nazional-cattolicismo nostalgico che si nutriva della paura dell’ETA e di un’ipotetico ritorno del Frente popular. Parliamo di temi che per quanto possano fare presa sui settori più conservatori della popolazione, più o meno numerosi a seconda del contesto, hanno sempre faticato a trasversalizzarsi e diventare maggioritari. Soprattutto, si tratta di un lessico ancorato a categorie proprie della “provincia ispanica”, che risuonano poco con il ciclo reazionario globale.
Alvise non nega niente di quanto sopra menzionato. Piuttosto costruisce su esso, lo rinfresca, convergendo su un atteggiamento meno ideologico e più svincolato da simbolismi del passato, con uno sguardo rivolto a figure dell’attualità come Bukele o Milei e la loro guerra contro i migranti, la corruzione e la delinquenza. Ne risulta dunque uno stile nuovo, un’altra semiotica allineata con quella della moderna Alt-Right globale
La dimensione digitale
Un altro elemento cruciale che Alvise condivide con la Alt-Right è l’uso della rete e dei nuovi mezzi digitali. La struttura portante dell’ultima campagna elettorale è stato un canale Telegram che conta più di mezzo milione di membri, praticamente i due terzi dei suoi votanti. Attraverso questo canale Alvise è riuscito a costruire una sfera comunicativa propria, capace di strutturare una comunità (gli utenti possono commentare e dunque farsi parte attiva nella comunicazione) e in particolare di costotuire una nuova realtà a base di notizie false e teorie cospiranoiche.
Alvise riprende inoltre una caratteristica molto importante dell’uso che il movimento 15M fece in passato di certi strumenti digitali: la sua reciprocità con la dinamica di piazza. Durante l’ultimo anno, infatti, non sono mancate mobilitazioni che hanno rappresentato per la nuova destra momenti di ricomposizione e di soggettivazione. Mi riferisco ad esempio alle partecipatissime manifestazioni sotto la sede del PSOE a Madrid contro l’amministia ai leader catalani, così come alle marce degli agricoltori (certamente ambivalenti e che meriterebbero un’analisi a parte). In questo contesto, il layer fisico e quello digitale agivano sincronizzati dando luogo a un gioco ricorsivo e performativo, capace di trasformare un evento in “evento aumentato” che può essere vissuto, pre-vissuto, e post-vissuto, quindi storicizzato.
L’odio alla casta e la questione generazionale
Vox nacque da una scissione del Partito Popolare e nel fondo non è mai stato estraneo al sistema di partiti creati con la transizione del ’78. Alvise invece attacca apertamente la “partitocrazia” posteriore alla dittatura, confondendo pertanto “partito” con “democrazia” in una formula che chiaramente punta su soluzioni autoritarie. In questo quadro, riappare il termine “casta”, un tempo monopolio del movimento 15M e del primo Podemos.
La parola “casta” è fluida e multiforme ed esorcizza il disagio per una distanza tra la popolazione e i governanti. Per gli elettori di Alvise si tratta in primo luogo di una distanza generazionale. Secondo un’analisi presentata su ElDiario.es, infatti, la maggior parte del voto ad Alvise si concentra nei municipi dove l’età media è più bassa e decresce in funzione di essa.
Ma c’è qualcosa di più. La parola “casta” condensa anche una distanza economica tra la miseria dell’economia domestica e il rumore della politica. Proprio mentre scrivo Alvise ha pubblicato un post in cui si scaglia contro «i politici che festeggiano con ostriche e champagne». Su questo piano c’è un altro salto importante rispetto a Vox, che dopo tutto, è sempre stato il partito dei redditi alti. Alvise invece, pur mantenendo un consenso tra i ricchi, riesce a estendersi anche nei ceti meno abbienti. In particolare, riscuote maggiore successo proprio nei comuni con maggiore tasso di disoccupazione.
Risentimento maschile e reazione patriarcale
C’è un aspetto molto importante che Vox e Alvise condividono: in entrambi i casi l’elettorato è maggioritariamente maschile. Maschi che stanno male, che provano rabbia e rancore per i privilegi persi. La nuova destra si sintonizza con questo malessere, elabora una narrativa ma soprattutto suggerisce un colpevole: il femminismo. A titolo d’esempio vale la pena soffermarsi sul caso degli uomini divorziati. Praticamente tutte le analisi d’intenzione di voto convergono sul fatto che la gran maggioranza di questi finiscono per votare all’ultradestra. Questa infatti è capace di leggere una certa microfisica delle relazioni umane e proporre una spiegazione (falsa, ovviamente) secondo la quale la donna per rincorrere le sue libertà avrebbe distrutto la vita del marito che ora non sa come mantenere la casa, prendersi cura dei figli, ecc.
Si tratta di un processo profondamente interconnesso con la dimensione digitale. La reazione patriarcale non si comprende a fondo senza considerare la cosiddetta manosfera. Il neologismo (composto da “man”, uomo, e “sphere”, sfera) si riferisce all’insieme di blog, account di YouTube o altre reti sociali in cui si alimenta l’odio e l’ostilità verso donne e femminismo. Risaltano forum come Forocoches in cui si diffondono i nomi di vittime di aggressioni in fondo “non così gravi”, o Artistas del ligue (Artisti del flirt) in cui si forniscono trucchi per aggirare le leggi contro gli stupri.
Quest’antifemminismo infatti si è esasperato in risposta alle politiche in materia d’uguaglianza della ministra Irene Montero di Podemos e in particolare delle legge del “solo sì è sì”, che – riassumendo molto brevemente – introduceva una base giuridica per far sì che la responsabilità di uno stupro non ricadesse sulla persona sopravvissuta alla violenza (come in parte accadde nel caso La Manada)
Il dibattito intorno a quest’argomento finì per incendiare la manosfera (e non solo) dove proliferarono teorie secondo le quali il femminismo era un complotto per mettere tutti gli uomini in carcere. Inoltre, il binomio “femminismo-governo” incarnato dalla ministra per l’uguaglianza contribuì a rafforzare – d’accordo con quanto sopra detto – il carattere antipolitico delle nuove tendenze reazionarie, e la loro (falsa) pretesa di andare contro la casta.
Conclusioni: verso un fascismo molecolare?
Il fenomeno Alvise lascia prefigurare la affermazione di una sorta di Alt-Right iberica, riflesso di un insieme di dinamiche sociali che realmente esistono, indipendentemente dall’uso strumentale da parte di alcuni media mainstream. Al momento è difficile dire se questi tre scranni cadranno nell’irrilevanza o se invece rappresentano l’inizio di un esperimento destinato a essere determinante nello scacchiere istituzionale. Anche Podemos fece la sua apparizione nelle elezioni europee del 2014 e si trasformò in una costante della politica spagnola. Non è questo il punto: il nocciolo della quesitone è che certi codici, certi linguaggi sono già penetrati nel dibattito pubblico e probabilmente finiranno per condizionarlo in futuro, a prescindere da quale ne sarà l’espressione partitica. Sono codici e linguaggi che ci mostrano un fascismo molecolare in cui l’esasperazione dell’identità non avviene (solo) attraverso l’aderenza ai blocchi storico-narrativi tradizionali (la patria, la religione, ecc.) ma con l’esaltazione della rabbia esacerbata dalla vita quotidiana e domestica.
Immagine di copertina da Flickr
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