EUROPA
La Serbia sull’orlo di una catastrofe sanitaria
Situazione drammatica in Serbia dove contagi, ospedalizzazioni e decessi per Covid 19 continuano a crescere. Il gruppo “Scienziati uniti contro il Covid” chiede maggiori restrizioni per contenere la diffusione del virus
«Un bambino di sette anni è collegato a un respiratore, un sedicenne è morto [per le conseguenze del Covid 19], è una tragedia nazionale. Nel paese regna la sfiducia nella scienza, nelle istituzioni e nei medici, nel frattempo cresce il movimento anti-vaccini e aumenta il numero di persone indecise [sulla vaccinazione]». Queste parole della dottoressa Ivana Bašić, fondatrice del gruppo “Scienziati uniti contro il Covid”, illustrano forse meglio di qualsiasi altra cosa l’attuale situazione sanitaria in Serbia.
Stando agli ultimi dati diffusi, in Serbia nelle ultime 24 ore (dati al 28 ottobre, ndr) sono stati registrati 6.948 nuovi casi di coronavirus (su un totale di 24.490 tamponi eseguiti) e 64 decessi, mentre il numero di pazienti affetti da Covid-19 collegato ad un ventilatore polmonare è salito da 267 a 277.
La Serbia, che fino a pochi mesi fa era tra i paesi migliori nella gestione della pandemia per numero di respiratori e vaccini acquistati e che, stando alle dichiarazioni dei politici, avrebbe già «vinto la battaglia contro il Covid», ora primeggia per numero di contagiati e morti per le conseguenze del Covid-19.
Si ha l’impressione che lo stato non sia in grado di far fronte in modo adeguato a una situazione allarmante come quella attuale, ed è questo che preoccupa di più i cittadini, ma anche molti medici serbi.
«Sembra che il governo e i ministeri competenti non credano nel potere del sapere, pur promuovendolo nelle loro strategie. In un periodo in cui, stando ai dati ufficiali, ogni giorno, ormai da settimane, ci sono circa 7000 nuovi contagiati e circa 60 morti per le conseguenze del coronavirus (il gruppo ‘Uniti contro il Covid’ ha reso noto che ogni giorno [in Serbia] muoiono tra 100 e 200 persone, eppure il ministero della Salute non ha ancora fornito informazioni dettagliate riguardo al drammatico eccesso di mortalità che, secondo l’Istituto di statistica della Repubblica di Serbia, dall’inizio della pandemia fino alla fine d’agosto 2021 è stato pari a 464 decessi ogni 100mila abitanti), il governo, contrariamente alle raccomandazioni avanzate da scienziati e medici, si è limitato a introdurre l’obbligo della certificazione verde Covid-19 per accedere a ristoranti e bar dopo le ore 22, pur non essendoci alcun ostacolo legale che possa impedire [alle autorità] di introdurre un lockdown totale, l’obbligo vaccinale e una certificazione Covid da esibire in ogni occasione. La realtà richiede tali misure, soprattutto considerando che anche i bambini e i giovani sono colpiti [dalla pandemia]», si legge in una lettera aperta che lo scorso 20 ottobre il gruppo “Scienziati uniti contro il Covid”, che attualmente conta oltre 500 membri, ha inviato al governo serbo.
Gli esponenti della leadership al potere sostengono invece che il green pass introdotto abbia già prodotto i risultati attesi. Goran Vesić, vicesindaco di Belgrado, ha dichiarato che dall’introduzione dell’obbligo della certificazione Covid per accedere a bar e ristoranti dopo le 22 a Belgrado le somministrazioni giornaliere dei vaccini anti Covid-19 sono più che triplicate e che oltre il 60% della popolazione maggiorenne della capitale è vaccinato, precisando però che solo una volta raggiunta una copertura vaccinale del 75% sarà possibile revocare le misure di contenimento del coronavirus.
Il virologo Milanko Šekler la pensa diversamente . Stando alle sue parole, la popolazione in generale non è diventata più propensa a vaccinarsi dopo l’introduzione del green pass, ma solo le persone impiegate nel settore della ristorazione.
In un’intervista rilasciata all’emittente N1 Šekler ha affermato che il green pass doveva essere introdotto già a giugno o luglio, aggiungendo che l’introduzione dell’obbligo di esibire il pass sanitario per accedere a bar e ristoranti dopo le 22 è «una misura inefficace e impossibile da implementare» che non contribuirà a contenere i contagi.
Belgrado (da commons.wikimedia.org)
A ogni modo, questa misura ha suscitato forti proteste dei cittadini contrari al green pass che lo scorso 25 ottobre hanno organizzato una manifestazione di protesta davanti alle abitazioni di Predrag Kon e Branislav Tiodorović, membri dell’Unità di crisi per la lotta al Covid-19. L’episodio più drammatico è accaduto nella mattina di mercoledì 26 ottobre quando un cittadino ha aggredito il perosnale di un’ambulanza a Belgrado.
«Il paziente tossiva e l’operatore tecnico gli ha detto di indossare la mascherina, ma il paziente ha risposto di non fidarsi delle mascherine né tanto meno delle misure [anti Covid], poi ha tirato fuori un coltello, cercando di aggredire il tecnico. Per fortuna è finito tutto bene, abbiamo chiamato la polizia che è subito intervenuta», ha spiegato la dottoressa Ivana Stefanović.
È chiaro che occorre intraprendere misure più radicali per contenere la diffusione del virus, misure che però richiedono un ampio consenso della società. Ed è proprio la mancanza di tale consenso che rappresenta il problema principale, seppur non l’unico.
La dottoressa Ivana Bašić ritiene che la riluttanza nei confronti dei vaccini sia conseguenza anche del fatto che in Serbia la scienza e l’educazione vengono marginalizzate. «Si pone l’accento sugli scandali, mentre dei successi dei nostri scienziati non si parla mai. È in corso una campagna negativa ed è per questo che [i cittadini] hanno perso fiducia nella scienza. Il problema è che alcune emittenti televisive molto seguite promuovono i movimenti anti-vaccini. Si parla in continuazione della mafia farmaceutica, ma la mafia esiste anche nel campo della medicina alternativa. La lobby no vax ha guadagnato un miliardo di dollari solo sui social media», ha affermato la dottoressa Bašić.
Secondo i medici riuniti nel gruppo “Scienziati uniti contro il Covid”, la soluzione all’emergenza sanitaria attraversata dalla Serbia risiede nell’introduzione di un lockdown totale, nonché dell’obbligo vaccinale e di un green pass esteso. È difficile però prevedere se tali raccomandazioni verranno prese in considerazione dall’élite al potere.
Recentemente, commentando la riluttanza dell’Unità di crisi a introdurre misure più rigide, la premier Ana Brnabić ha dichiarato che tale riluttanza non è dovuta a ragioni economiche, bensì al fatto che la Serbia dispone di grandi quantità di vaccini.
«È errata l’interpretazione secondo cui non vogliamo imporre misure più rigide a causa dell’economia. Certo, l’economia è un fattore importante perché la lotta contro il coronavirus costa molto, basti pensare ai soldi che ogni giorno spendiamo per i tamponi e i dispositivi di protezione per gli operatori sanitari, ma anche per i farmaci innovativi, e la Serbia è sempre tra i primi paesi ad acquistarli. Non abbiamo mai risparmiato denaro per garantire le terapie che possano salvare vite e rendere più facile il lavoro del personale sanitario», ha affermato la premier.
Quindi, da un lato, il governo insiste su un discorso imperniato su affermazioni del tipo: «Noi abbiamo acquistato i vaccini, ora spetta a voi decidere se desiderate vaccinarvi», mentre dall’altro gran parte degli esperti, compreso il gruppo “Scienziati uniti contro il Covid”, ritiene che la campagna vaccinale debba essere intensificata e accompagnata da misure più radicali che però indubbiamente comporterebbero conseguenze negative sull’economia.
Infine, non bisogna dimenticare che nell’aprile 2022 in Serbia dovrebbero tenersi le elezioni politiche. I cittadini contrari ai vaccini e quelli che subirebbero danni economici nel caso dovesse essere introdotto un lockdown costituiscono una fetta importante dell’elettorato e il timore di perdere il loro consenso è sicuramente uno dei motivi alla base della nuova e drammatica impennata dei contagi da Covid-19 che sta colpendo la Serbia.
Date queste premesse, non è difficile intuire la risposta all’interrogativo sollevato all’inizio del testo sulle cause della catastrofe sanitaria a cui si assiste in questi giorni in Serbia.
Articolo pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Immagine di copertina da commons.wikimedia.org