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La scomparsa di Philip Roth
Questa notte è morto Philip Roth, un grande scrittore “popolare”, che ha accompagnato nel suo mondo diverse generazioni di lettori
La scomparsa di Philip Roth (Newark, 19 marzo 1933 – New York, 22 maggio 2018) chiude definitivamente una vicenda, quella di un Nobel per la letteratura da moltissimi invocato ma mai concesso, che per strana e “giocosa” potesse essere e ad alcuni fosse apparsa negli anni, è risultata sempre più sorprendente agli occhi dei lettori “medi” di tutto il mondo, attenti e interessati a una narrativa, appunto, come quella di Roth: di respiro volutamente “internazionale”, di buon livello qualitativo, a volte politicamente controverso, capace di sopportare traduzioni in tutte le lingue e di essere trasferita in adattamenti cinematografici più o meno felici. E che, almeno in teoria, in numerosi Nobel aveva in qualche modo trovato, almeno sino ad alcuni anni fa, pieno riconoscimento. Lettori medi, dicevamo: senza che questo termine suoni diminutivo o riduttivo per chi a pieno diritto non ama convalidare col proprio assenso avanguardie troppo spinte o sperimentazioni letterarie troppo ardite. E il cui parere consolida per lunghi anni la fama e la fortuna di un autore mainstream mai veramente legato a una singola opera, ma più a una “carriera” complessivamente assai lunga e felice. Una carriera, ovviamente, come quella del Nostro: a cui non poca solidità, tra le altre cose, ha recato anche l’essere “scrittore ebreo-americano” lungo un filone tra i più stabili e fortunati della letteratura e della narrativa di tutto il Novecento.
Di Philip Roth, dunque, sui cui meriti di romanziere appare dunque davvero superfluo discutere, i lettori di una certa età ricorderanno soprattutto il terzo romanzo, quel Lamento di Portnoy del 1969, di grande successo anche all’esordio italiano, e poi, via via, i vari racconti e romanzi dedicati a un alter ego tra i più riusciti della narrativa contemporanea, quel Nathan Zuckerman che appare comunque in secondo piano in quasi tutte le opere anche a lui non dedicate.
I più giovani si rifaranno invece a romanzi “importanti” come Pastorale Americana, Ho sposato un comunista, La macchia umana, L’animale morente, Il complotto contro l’America. Personalmente vorrei qui citare, come appassionato lettore “medio” di Roth, quel racconto lungo, o romanzo breve, che mutuando il titolo di un morality play di Paul Bunyan (1530), Everyman, narra della vita e della fine di un personaggio senza nome tra amori, matrimoni, professione, paternità, passioni, sentimenti, soprattutto senso della morte come sempre più prossima. Bellissimo.