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ITALIA
“La sanità è pubblica o non è”: inizia da Palermo la lotta per il diritto alla salute
A un mese dalla manifestazione di Palermo in difesa della sanità pubblica, un’intervista a Giorgio Martinico della Rete degli Ambulatori Popolari sulla campagna “Lo stiamo perdendo”, contro lo smantellamento del sistema sanitario nazionale e l’autonomia differenziata
La manifestazione dello scorso 15 aprile a Palermo ha messo al centro la difesa della sanità pubblica da anni sotto attacco. Quali sono le condizioni che si vivono in città e nella Regione Sicilia rispetto al sistema sanitario? Quali sono state le principali rivendicazioni rispetto all’attuale governo? Che bilancio fai di questa giornata di protesta?
L’idea della manifestazione nasce all’interno delle riunioni della neonata Rete degli Ambulatori di Palermo, all’interno della quale già da un po’ di tempo si voleva prendere parola sulla questione della sanità pubblica e di prossimità e del diritto alla salute. A questa volontà storica che accompagna le nostre attività si è affiancata una crescente preoccupazione del personale medico della rete degli ambulatori che sulla base di un serie di ragionamenti e calcoli negli ultimi mesi hanno espresso una enorme preoccupazione rispetto alla situazione economica relativa ai fondi nazionali destinati al SSN per quest’anno, anche alla luce di quanto avvenuto negli scorsi mesi con le proteste dei privati convenzionati. Negli ultimi mesi infatti in Sicilia i laboratori di analisi hanno manifestato per i tagli al budget per i convenzionati e per chi ha esenzioni ticket. Più in generale, sulla base di una serie di calcoli legati all’aumento del costo della vita e dei costi dei farmaci per le stesse aziende ospedaliere pubbliche, si prevede che già per il prossimo ottobre rischiano di essere prosciugate le casse del servizio sanitario nazionale. Tenendo conto assieme di questa situazione contingente e della situazione strutturale della sanità pubblica in Italia, è venuta fuori l’idea di questa prima manifestazione che vuole lanciare un percorso di più ampio respiro con la campagna che abbiamo deciso di ribattezzare “Lo stiamo perdendo: no allo smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale”.
Questa prima manifestazione ha visto la partecipazione di centinaia di palermitani e palermitane, e la nostra valutazione come organizzatori e come Rete degli Ambulatori Popolari è assolutamente positiva, anche perché per noi che fin qui ci eravamo per lo più concentrati sull’aspetto assistenziale di questa attività, quindi le visite mediche e il supporto alle persone che hanno difficoltà di accesso alle cure, questo primo esperimento di mobilitazione ha rappresentato un salto qualitativo importante che dovrà adesso proseguire in altre forme.
In qualche modo è questo che ci ha spinto a lanciare la manifestazione del 15 aprile, in cui abbiamo provato a coinvolgere non solo il mondo della sanità, che in realtà in questi trent’anni seppur in forma sindacale e di rappresentanza comunque in alcuni momenti si era mosso, ma provare a mettere assieme il mondo degli operatori e delle operatrici sanitarie con il mondo dell’utenza e dunque coinvolgendo la cittadinanza, cosa per niente semplice dato che su questi temi difficilmente è stata coinvolta in massa negli ultimi decenni. Questo perché lavorando quotidianamente nei nostri ambulatori con le persone che vivono nei nostri quartieri popolari, abbiamo avuto una immagine chiara del dramma che stiamo vivendo, perché la situazione è sotto gli occhi di tutti anche senza bisogno di leggere i seppur ben fatti studi di fondazioni, enti di ricerca e osservatori.
La pressione e le richieste di consulti in grande aumento negli ultimi mesi e le notizie che arrivano purtroppo dai CUP e dunque dai centri di prenotazione delle aziende ospedaliere pubbliche sono drammatiche, come un po’ in tutta Italia ma ovviamente con una aggravante per il fatto di essere al Sud e in Sicilia, dove le liste di attesa sono veramente infinite, mesi e mesi per avere accesso a una visita specialistica. Inoltre i centri di pronto soccorso sono sempre più affollati, anche perché sono diventati l’unico modo di avere accesso agli ambulatori ospedalieri visti i costi e le liste di attesa. Mentre i laboratori di analisi non riescono a coprire il fabbisogno degli esenti per svolgere esami di laboratorio, per quanto riguarda la chirurgia e gli interventi soprattutto siamo addirittura di fronte a tempi di attesa che arrivano a due anni o due anni e mezzo per avere una operazione di cui si ha diritto.
Come sottolineato da uno studio della Fondazione Gimbe, in Italia in generale – ed è ancora peggiore la situazione al sud – in questo momento abbiamo a disposizione 3 posti letto ogni mille abitanti rispetto ad una media dei paesi europei, ed alle stesse indicazioni dell’OMS, di un minimo di 5posti letto ogni mille abitanti. La drammatica situazione è sotto gli occhi di tutti, se a questo panorama aggiungiamo le difficoltà economico-sociali di ampi settori della popolazione a cui viene tolto anche quel poco di welfare di cui avrebbero potuto godere. Se infine consideriamo l’andamento delle politiche salariali in questo paese, con una sempre maggiore difficoltà persino per chi ha un lavoro a sostenere le spese sanitarie, individuali o familiari, ecco che il quadro si fa drammaticamente terribile.
Oltre alla data di piazza, un aspetto importante riguarda il processo politico organizzativo, territoriale e non solo, che ha portato a questa mobilitazione, a partire dalla Rete degli Ambulatori Popolari, dalla loro nascita, fino alle relazioni tra esperienze di mutualismo, autorganizzazione e sindacati, movimenti sociali e cittadinanza. Come sono nati gli ambulatori a Palermo e come si è dispiegato questo processo organizzativo che ha portato alla manifestazione?
La storia degli ambulatori popolari a Palermo è una vicenda che mette in connessione fondamentalmente il mondo della militanza politica palermitana e il mondo dei professionisti della sanità e da qualche anno a questa parte anche il mondo del terzo settore, dell’associazionismo, o almeno di una piccola parte di esso. A Palermo il primo ambulatorio popolare nasce all’interno degli spazi del centro sociale Anomalia, per idea e iniziativa dei militanti del centro sociale dopo aver letto una serie di statistiche pubblicate dopo la crisi economica greca, ormai dodici anni fa, e aver visto come negli anni successivi si registrava in tutto il sud Europa un drammatico crollo nella percentuale di accesso alle visite specialistiche, soprattutto per i bambini e per certe fasce sociali ed economiche della popolazione.
A partire da questa osservazione e dalla conoscenza diretta di un paio di compagni medici e operatori della sanità si è attivato il processo di allargamento e di coinvolgimento di altri operatori sanitari e dopo alcuni mesi di lavoro venne inaugurato all’incirca sei anni e mezzo fa il primo ambulatorio popolare di quartiere Borgo Vecchio, all’interno del centro sociale Anomalia. Questo ambulatorio ha rappresentato in quegli anni un esperimento ma anche e fin da subito un faro, non solo per la popolazione che ne ha potuto fruire in termini di servizi materiali ma anche per chi in città su altri fronti portava avanti politiche di lotta e autorganizzazione dal basso.
Non a caso durante la pandemia è stato possibile strappare le autorizzazioni per la realizzazione della campagna vaccinale per il quartiere all’interno dell’ambulatorio Borgo Vecchio e dunque di uno spazio autogestito e occupato come il centro sociale Anomalia; caso più unico che raro, in cui gli stessi militanti e i medici hanno trasformato il centro sociale in un hub vaccinale contro il Covid.
Vista la portata dell’esperienza in tanti in città hanno cominciato a guardare al centro sociale Anomalia con interesse e così sono nati altri ambulatori prima all’interno del centro sociale Ex Carcere, ambulatorio che nasce in maniera autonoma e che poi si è legato in questi ultimi mesi alla costituenda rete degli Ambulatori Popolari. Interessante il contraccolpo anche sul mondo dell’associazionismo, in particolare a partire da una esperienza che lavora da vent’anni all’interno del quartiere Zen e si chiama Zen Insieme. Dopo aver conosciuto le militanti e i militanti di Anomalia questa associazione ha deciso di replicare, seppure in modo un po’ più formale, cercando dei finanziamenti, uno spazio autonomo sanitario e riuscendo, dopo un lungo lavoro, a costruire un nuovo presidio sanitario nel quartiere della Zen. Lo ha fatto affidandosi alla rete che Anomalia aveva costruito tra operatori sanitari, medici e anche aziende di forniture e attrezzature elettro-medicali e condividendola con l’esperienza della Zen, che esiste da un anno e mezzo, Proprio in queste settimana si sta per inaugurare un quarto ambulatorio popolare a Sant’Erasmo, vicino Brancaccio, sempre per iniziativa di un’altra associazione, il CISS, Centro Internazionale Sud Sud.
Con queste nuove esperienze stanno crescendo in modo esponenziale anche il numero di medici volontari, infermieri e di operatori e operatrici sanitarie che hanno formato una assemblea assieme a collettivi e associazioni, la Rete degli Ambulatori Popolari. Questa sta organizzando sia le prossime mobilitazioni, che ci impegnano dal punto di vista politico, sia la razionalizzazione degli interventi sociosanitari nei quartieri popolari.
L’assemblea per esempio si occupa di organizzare gli organigrammi dei medici nei quattro distretti, valutare le esigenze e i bisogni sanitari in termini di tipologie di specializzazioni da negli ambulatori, oltre che di stipulare accordi e convenzioni con realtà del territorio. Per esempio in questo momento stiamo dialogando con una importante azienda ospedaliera che ci ha contattato per provare a costruire in forma di convenzione un rapporto per completare il nostro percorso di accesso alle cure, al momento limitato al consulto e alla diagnostica di base, quindi ai primi screening e all’orientamento sanitario. Ciò renderebbe possibile realizzare all’interno dei laboratori interventi o esami attualmente non praticabili.
Tutti questi ambulatori si organizzano autonomamente rispetto alla loro sostenibilità: se da un lato i due ambulatori nati da esperienze associazionistiche hanno un tipo di lavoro alle spalle legato a progettazione, finanziatori, fondazioni, bandi, e si muovono attraverso questi canali per reperire i fondi necessari alla loro sostenibilità, gli ambulatori nati all’interno dei centri sociali si basano su forme più classiche per sostenere le spese, per esempio le raccolte fondi con il crowdfunding o le attività all’interno dello stesso centro sociale, forme di autofinanziamento, cene sociali, serate e concerti che permettono reperire i fondi necessari per i materiali monouso, le attrezzature e di tutto quanto in termini medici e sanitari serve ai volontari degli ambulatori.
L’esperienza della rete degli Ambulatori Popolari è in fase di costituzione e si sta dotando di infrastrutture informatiche comuni tra i vari ambulatori, quindi contemplando la possibilità di centralizzare i profili sanitari degli utenti e i bisogni sanitari dei territori, per fare quindi anche inchiesta socio-sanitaria nei territori in cui operiamo, in un quadro in cui tutti i partecipanti alla rete, seppur con qualche ovvia differenza di cultura e approccio politico, condividono i presupposti di base, che la sanità deve essere sociale, solidale, universalistica, pubblica e di prossimità e dunque anche territorializzata. Condividendo questi principi, chiunque tra medici e operatori può partecipare agli spazi collettivi di questa rete che si sta costruendo in questi mesi.
Quali sono le principali sfide da qui in avanti rispetto alla costruzione di una ampia mobilitazione sul tema a livello sia territoriale che nazionale? E quali le possibili articolazioni e convergenze sociali e politiche?
Nel tentativo di costruzione di una mobilitazione di questo tipo ovviamente la sfida principale è la capacità di coinvolgimento popolare, se così lo possiamo definire, la rottura di ogni barriera e separazione ideologica sociale e partecipativa tra chi opera nel settore in qualità di lavoratore o lavoratrice e quindi professionista del mondo della sanità e il mondo dell’utenza, della cittadinanza. Solo la rottura di queste barriere e quindi il coinvolgimento delle masse, avremmo detto una volta, potrà portare a casa possibilità di risultato e di efficacia di questa lotta.
Le possibili convergenze sono infinite, per esempio sulla sanità vale il discorso che facevamo tanti anni fa come compagni e compagne dei collettivi all’università rispetto al sistema di formazione universitaria: di fronte alla privatizzazione e all’aziendalizzazione che ha prodotto la tragedia dello smantellamento odierno del sistema della sanità pubblica, seppur con le dovute proporzioni e differenze così, possiamo affermare che sia avvenuto un processo simile a quello di scuola e università. Quando mettevamo in discussione la scuola e l’università neoliberale e dicevamo “riappropriamoci dei saperi”, in realtà quella formula, come affermava Romano Alquati, voleva dire tutto e niente. Tutto nel senso che riappropriarci anche solo del carattere pubblico e universalistico e depurare la sanità da concetti quali azienda, profitto, bilanci, significa rivoluzionare il concetto intero di sanità oggi prevalente.
Non è una sfida semplice, ogni tema è collegato, ma alcuni elementi hanno una portata molto maggiore degli effetti materiali concreti sulle persone, per esempio la questione delle liste di attesa e del loro abbattimento: tra le nostre proposte abbiamo inserito l’obbligo per le aziende ospedaliere di sospendere ogni attività intramoenia dei medici se l’azienda non è in grado di soddisfare le richieste dell’utenza nei tempi che spettano di diritto.
Chiaramente c’è anche la questione del finanziamento generale del servizio sanitario, sempre insufficiente, e la questione dei numeri chiusi nelle università e nelle scuole di specializzazione per giovani medic* che a vent’anni di distanza sta provocando effetti catastrofici sul numero di professionisti da inserire nel Servizio Sanitario Nazionale.
Poi c’è la questione dei medici di medicina generale – questione che il mondo degli ordini non apprezzerà particolarmente – ovvero che i nuovi medici di Medicina Generale non possono essere semplicemente liberi professionisti in convenzione ma devono essere dipendenti del SSN. Abbiamo inoltre aggiunto il rifiuto pieno e inderogabile della proposta di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, che peggiorerebbe ulteriormente il divario tra i vari Servizi Sanitari regionali attualmente esistente in Italia. Le partite da giocare sono davvero tante, per esempio quella del personale che ha lavorato nella fase Covid e del personale sanitario in generale: sappiamo come tutte le aziende ospedaliere siano sotto-organico, soprattutto al Sud sia in termini di medici che di infermieri e di operatori socio-sanitari. Eppure ci vogliono mesi di mobilitazioni e sciopero solo per affermare che gli amministrativi, gli operatori sociosanitari e gli infermieri che hanno lavorato durante il periodo del Covid sacrificandosi in prima linea debbano restare all’interno del SSN, che vadano stabilizzati e internalizzati.
Bisogna riaffermare che la sanità o è pubblica o non è, la Sanità privata non può essere sostitutiva in termini di prestazioni e di servizi rispetto al pubblico, nemmeno può essere favorita dal ceto politico che insiste, nonostante la terribile lezione del Covid, a proporre modelli in cui si esalta la bellezza del privato rispetto al pubblico. La partita è davvero lunga e infinita.
C’è un aspetto contingente, noi ne siamo convinti, cioè che da qui al prossimo autunno le casse della sanità pubblica saranno svuotate e le prestazioni negate a tantissimi cittadini, dall’altra parte c’è una questione storica di lotta contro l’aziendalizzazione e la privatizzazione del diritto alla salute.
In diversi paesi europei sono in corso importanti lotte sul tema della sanità; in particolare nella comunità di Madrid da diversi mesi le mobilitazioni sul tema della difesa della Sanità pubblica e della ripubblicizzazione degli enti privatizzati negli scorsi anni hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone, mentre per mesi ci sono stati scioperi e proteste dei medici e del personale sanitario. Ci sono stati momenti di scambio e ci possono essere spazi possibili di connessioni transnazionali delle lotte per la sanità pubblica in Europa.
Rispetto alle possibili convergenze transnazionali e non solo, non c’è stata ancora una occasione di dialogo e incontro con esperienze che si muovono sulle stese tematiche fuori dall’Italia. Ovviamente seguiamo con grande interesse quanto sta succedendo a Madrid e ogni tipo di iniziativa di questo tipo, del resto la stessa attivazione delle nostre esperienze di ambulatori popolari ha preso spunto da esperienze extra-italiane, la Grecia post-crisi. Realtà dal basso come la nostra che si occupano del diritto alla salute si sono venute a creare da più parti, ma in questo momento il nostro obiettivo principale è provare ad allargare a livello nazionale la battaglia che abbiamo intrapreso.
Cercheremo in qualche modo di costruire un movimento sul tema, aperto alle soggettività organizzate, sindacali, ma anche collettivi, associazionismo e movimenti: deve essere un movimento di massa perché senza queste condizioni non potrà darsi nessun risultato reale effettivo se non qualche briciola da elemosinare al politico di turno.
Ci stiamo muovendo molto e siamo felici degli inviti e sostegni che otteniamo a livello nazionale e saremmo felici di incontrare anche esperienze internazionali a cui ci ispiriamo, intanto ci interessa moltissimo provare a offrire anche la responsabilità che ci siamo assunti chiamando la manifestazione del 15 aprile, offrire questo coraggio militante di una rete di ambulatori, e non di sindacati e partiti, che ha deciso comunque di provare a mettersi alla testa di questo processo organizzativo e di mobilitazione.
Questo attualmente per noi è un obiettivo centrale, perché non ci interessa rimanere legati a contesti iperterritorializzati, alla Sicilia in particolare, per quanto sappiamo che la Regione Sicilia è per noi una controparte con cui dialogheremo e contro cui lotteremo, ma sappiamo che la portata del tema o assume una dimensione nazionale o magari anche internazionale oppure difficilmente otterremo delle vittorie in questo ambito.
Immagini di copertina e nell’articolo da Ambulatorio Borgo Vecchio e Centro Storico.