ITALIA

La salute di chi? Contro il G7 di chi devasta la salute, l’ambiente e i territori

Il contro-summit di Ancona contro il G7 salute si è concluso con una street parade di “sanificazione” della città dalla chiacchiere e dai divieti che avevano caratterizzato la celebrazione ufficiale blindata

Ad Ancona dal 9 al 11 ottobre si è svolto il vertice interministeriale del G7 sulla salute, in un’atmosfera blindata e militarizzata. Il tutto è avvenuto in un contesto in cui la sanità pubblica è di fatto al collasso – come testimonia il rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale – e sta scivolando verso le tanto “care” politiche neoliberali fatte di privatizzazioni e austerità.

Il rapporto sottolinea la difficoltà per 4,5 milioni di persone i accedere alle cure mediche, di queste 2,5 milioni a causa di motivi economici, le altre cause sono i lunghi tempi di attesa e le difficoltà di accesso alle strutture mediche. Anche la situazione della Regione Marche è problematica, considerando che nel 2023 il 9,7% della popolazione marchigiana ha dichiarato di aver rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici, pur avendone bisogno.

La scelta del capoluogo di regione, avvenuta ormai un anno fa, è imputabile agli eccellenti rapporti del Governo con l’amministrazione comunale anconetana. La decisione di far atterrare il G7 ad Ancona è stata politica: il Governo sapeva che l’amministrazione comunale e il presidente della regione avrebbero portato volentieri a termine la missione in cambio non solo del cosiddetto ritorno d’immagine, ma anche dei 2 milioni di euro necessari al rifacimento di alcune strade di  Ancona su cui sarebbero passati i ministri della salute.

Il problema è che ad Ancona e nelle Marche la sanità è in netto peggioramento a causa di liste di attesa interminabili, carenza di strutture e personale medico. Inoltre il territorio è attraversato da numerose criticità tra cui: un dis-funzionamento generale del sistema sanitario regionale, la mancanza di strutture accessibili e l’elevata presenza di medici obiettori, l’inquinamento ambientale, e in ultimo, ma non per minore importanza, l’intenzione di costruire a Falconara un Centro di Permanenza per il Rimpatrio.

Il summit anconetano ha dimostrato ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, che gli incontri tra i sette grandi del pianeta, più che affrontare questioni rilevanti da un punto di vista locale, nazionale e globale, sono solo una passerella ipocrita, dispendiosa e securitaria. La militarizzazione della città in questi tre giorni – una delle misure più scenografiche è stata la comparsa dei cecchini sui tetti del centro storico – ha portato all’edificazione di una zona rossa, deputata al summit. Anche se l’organizzazione del G7 non è nuova a questo tipo di misure, la gestione dell’ordine pubblico è sembrata ancora più tetra e repressiva, quasi una prova generale in vista dell’entrata in vigore del ddl sicurezza 1660. La risposta non si è fatta attendere ed è stata popolare e plurale.

Fuori il profitto dalla salute

Le tre giornate di intensa mobilitazione, culminate in una manifestazione importante che, partita da piazza Cavour ha attraversato la città ed è arrivata in piazza Roma, si è svolta nel pomeriggio di venerdì 11 ottobre per ribadire la contrarietà alla sfilata interministeriale svoltasi ad Ancona. Una grandissima partecipazione al corteo, tremila persone in tutto, ha ripreso possesso della città liberata dall’indesiderata presenza del vertice.

Lo striscione che apre il corteo è emblematico – “NO G7 NOT ON MY BODY, FUORI IL PROFITTO DALLA SALUTE” – così come il primo intervento: «Al centro di tutto vi è  “il concetto di  salute” che parla il linguaggio della libera autonomia dei corpi intesa nel senso più stretto e riferita all’accesso alle cure mediche, alle strutture ospedaliere, al diritto all’aborto, ma che si estende e va ad abbracciare il diritto alla casa, la cura dell’ambiente e dei territori messi in pericolo da opere dannose e nocive e che sia volta ad espropriare l’idea della sanità privata per affermare che la sanità deve essere pubblica».

Il corteo ha messo al centro tematiche di interesse pubblico e collettivo che si muovono dal locale, il processo per disastro ambientale imputato all’Api, il banchinamento del Molo Clementino, il progetto Edison per un impianto di trattamento di rifiuti pericolosi , al nazionale – ddl 1660 e Servizio Sanitario Nazionale –  fino ad arrivare al livello internazionale e globale – la vicinanza espressa al popolo palestinese e la messa in discussione dell’Accordo Trips sui brevetti per la produzione e commercializzazione dei medicinali. Un corteo realmente ricco di rivendicazioni, interventi, musica, colori e striscioni tra i quali si legge: «Il sistema è la malattia, la ribellione è la cura».

Da sottolineare uno degli ultimi interventi conclusivi del corteo pronunciato da Vittorio Agnoletto che, dopo aver ricordato che l’Italia è il paese che spende in sanità meno di tutti gli altri paesi dell’Unione europea, solo il 6,2% del Pil, afferma che: «il diritto alla salute sta dipendendo sempre di più da pareggi di bilancio e che i governi hanno relegato la salute a una concessione e non a un diritto fondamentale, la lotta per la difesa della salute è una questione che contraddistinguerà la lotta sociale di tutti i paesi».

La manifestazione è stata importante, sia per sottolineare che la salute non è una merce e che la sanità non è un’azienda e, sia per tenere a mente che l’Italia ha un servizio sanitario nazionale pubblico e non un sistema che spinge alle privatizzazioni e trasforma le cure in qualcosa di inaccessibile per moltissime persone.

La propaganda regionale, nazionale e internazionale ci racconta di un modello di salute centrato sul concetto di One Health che dovrebbe ricomprendere ciò che  l’OMS ha delineato, ovvero: «un approccio integrato e unificato che mira a riconoscere la salute delle persone, degli altri esseri viventi ed ecosistemi come strettamente collegati e interdipendenti». Ad oggi dell’approccio proposto dall’OMS non ve n’è traccia nei programmi dei governi che rimandano ogni tipo di decisione in termini di transizione ecologica e ogni tipo di intervento mirato a prendere in considerazione nuove politiche di Welfare e di rischi sociali.

Il fatto che nel nostro paese la discussione su come garantire cure universali non sia all’ordine del giorno è alquanto problematico. L’esigenza di mettere al centro la salute e informare i cittadini del progressivo smantellamento della sanità pubblica, che comporta di fatto l’abolizione dell’articolo 32 della Costituzione, e tutela il diritto alla salute per tutti e tutte, deve essere posto al centro delle nostre rivendicazioni.

La campagna della ReteAzioneNoG7Salute: “Not on my Body”

Da quando è partita la campagna “Not on My Body”, che ha tenuto insieme tante realtà di lotta territoriali e non solo, si è deciso di fare fronte comune e organizzare al meglio queste giornate di contro-summit. Infatti all’inizio della manifestazione viene ribadito che: «La piazza al G7 non chiede nulla e non vuole nessuna interlocuzione con chi si riunisce una volta all’anno per decidere di politiche che mettono al centro il profitto di pochi a discapito del diritto alla salute delle persone, dei territori e di chi li abita».

La risposta popolare e plurale scesa in piazza ci dimostra che i diritti fondamentali devono essere concepiti come inviolabili e inalienabili per il semplice fatto che, come viene ribadito dallo spezzone dei medici: «la lotta per la difesa della salute è un diritto universale e che non può esistere salute senza un servizio sanitario pubblico».

La comunità di intenti dimostrata da tutti coloro che erano in piazza tra comitati, movimenti, sindacati, medici, centri sociali e cittadini, provenienti anche dal resto d’Italia, ha voluto sottolineare la voglia di riprendersi quegli spazi stretti da restrizioni e dalle dichiarazioni dell’amministrazione comunale che ha ribadito che: «certi sacrifici sono necessari e importanti per la crescita di Ancona, in questi giorni al centro del mondo per il G7 salute». La campagna contro il G7 nelle Marche è nata da un’intensa attività costituita da una molteplicità di realtà che hanno costruito nei mesi precedenti una grossa mobilitazione con tanti incontri, dibattiti, un campeggio per chi è arrivato da fuori città e da altre regioni, e che è stata chiusa, il 12 ottobre, con una street parade, “La Smash Repression”, per le vie della città.

La parata organizzata da Smash Repression Marche ha portato in strada sette carri tematici, ognuno ha portato con sé una rivendicazione politica (contro la guerra, transfemminista, per il contrasto al cambiamento climatico, per la salute e il lavoro, anticarcerario e per la tutela della salute mentale) e generi musicali diversi e migliaia di persone a ballare. La street ha attraversato la città da zona Tavernelle fino all’ex-Fiera della pesca (dietro la Mole Vanvitelliana). Tra musica a tutto volume e balli, per centinaia di metri, si è creata una vera e propria zona temporaneamente autonoma che ha attirato l’attenzione di tanta gente.

La “sanificazione della città” dal passaggio del G7 – espressione ribadita più volte durante queste giornate di intense mobilitazioni e tesa a sottolineare che il vertice in città non era il benvenuto – è stata attuata passando per una molteplicità di momenti: più propriamente di rivendicazione politica grazie all’organizzazione di un ricco programma di assemblee e dibattiti fino ad arrivare a quelli più artistici e di libera espressione dei corpi tramite l’organizzazione di una street parade che, simbolicamente, ha attraversato le vie della città interdette nei precedenti giorni dal summit. Ciò ha dimostrato che la lotta può avere forme molteplici e plurali, in grado di avvicinare e far confluire su tematiche di rilevanza sociale realtà e soggetti politici che, negli ultimi anni, hanno faticato a incontrarsi.

Tutte le immagini sono dell’autore

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