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La rivoluzione è un surf inquieto
“Kamo – L’uomo di Lenin” (P. Greco, 2024) è un libro coinvolgente e suggestivo. La vita inquieta del protagonista e la sua ambivalente parabola rivoluzionaria continuano a interrogare lə attivistə nell’attuale mondo capovolto
Kamo – L’uomo di Lenin racconta la vita di Simon Arshakovich Ter-Petrosyan, affascinante e controverso rivoluzionario bolscevico. L’autore, Jacques Baynac, storico, scrittore e sceneggiatore francese recentemente scomparso, narra in maniera romanzata l’incredibile vicenda del bandito caucasico e la sua complessa relazione con le forze rivoluzionarie russe. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1972 e tradotto in italiano nel 1974, torna oggi nelle librerie: un’epoca molto diversa, in cui la parola “rivoluzione” sembra quasi impronunciabile, soffocata da un regime globale di guerra e dall’offensiva coordinata delle destre.
Fin dalle prime pagine, il ritmo è avvincente. La prima parte è dedicata alla giovinezza del protagonista. Per tentare di disciplinarne l’inquietudine adolescenziale, il padre di Kamo gli assegna un precettore d’eccezione: Iosif Vissarionovič Džugašvili, il futuro Stalin, «tenebroso e taciturno». Questo incontro segna una svolta nella vita del giovane, che «seguì senza ombra di dubbio Džugašvili tra i rivoluzionari». L’ingresso di Kamo nel neonato Partito Operaio Socialdemocratico di Russia è folgorante: «Kamo sentiva di aver trovato molto più di una famiglia: un’associazione volontaria di uomini e donne simili a lui, e ciò lo rassicurava».
Il libro è costellato di riferimenti alla dimensione politica e sociale della Russia dei primi del Novecento. Kamo non è uno spettatore del suo tempo: irrompe sulla scena e contribuisce a darle forma in modo ostinato, rocambolesco e disorganico. Il suo primo campo d’azione è la stampa clandestina, poi le mobilitazioni di piazza nel Caucaso, soprattutto nel 1905, e infine le prime esperienze carcerarie e le evasioni.
Ma è nell’autofinanziamento rivoluzionario che Kamo trova la sua dimensione. Non si tratta di conti e bilanci, ma di bombe. Dopo un intenso dibattito interno, la frazione bolscevica decide di finanziare il partito attraverso espropri, le cosiddette “es”. «Grazie all’abilità tattica di Lenin, che si preoccupava molto di condannare la deviazione teppistica, erano permesse le “es” attuate contro lo Stato a condizione che si verificassero in località sotto il controllo dei rivoluzionari». Nascono laboratori clandestini per la fabbricazione di esplosivi e un ufficio tecnico di coordinamento.
Le pagine dedicate alla rapina alla banca di Tiflis nel 1907 sono tra le più appassionanti. Kamo e i suoi organizzano un assalto in pieno giorno e in grande stile, con lo scoppio simultaneo di sette ordigni: «lo spostamento d’aria spazzò la piazza e fece sobbalzare tutto il quartiere; non un vetro rimase intatto». L’evento è così clamoroso che i leader bolscevichi, pur avendolo sostenuto, finiscono per dissociarsene.
Dopo uno dei suoi numerosi viaggi per il traffico d’armi, Kamo viene arrestato a Berlino. Per evitare la detenzione, inscena la pazzia con ostinazione, tra sezioni psichiatriche e sofferenze, finché riesce a evadere. Ma è un uomo provato. Tornato alla vita politica, fatica a trovare un ruolo nella nuova congiuntura rivoluzionaria che porterà agli eventi del 1917: «egli non era né oratore né scrittore, ed erano questi due tipi di rivoluzionari che ormai occupavano il primo posto» Tornato nel Caucaso, non riesce a inserirsi nell’insurrezione generale: «non era più il tempo dei ribelli vecchia maniera. Bombe e pugnali restavano nel ripostiglio della storia». Alla presa del potere «era necessaria una nuova razza di uomini, la razza dei costruttori. Kamo invece sapeva solo distruggere». La seconda parte del libro esplora proprio questo tema dello straniamento e della perdita di collocazione: paradossalmente, la rivoluzione che Kamo ha contribuito a costruire non ha più posto per lui.
Privo di un ruolo chiaro, «si mise a studiare”. Dopo un breve coinvolgimento in operazioni partigiane contro i bianchi, viene infine inquadrato nell’amministrazione doganale del nuovo regime. L’immagine del funzionario contrasta radicalmente con quella che segna la prima parte del libro, dominata dall’azione e dal furore. Una parabola amara, che richiama la trasformazione della rivoluzione stessa, ingessata e burocratizzata.
Che effetto fa leggere questa storia nel 2024? Il primo rischio è la frustrazione: il confronto con un’epopea rivoluzionaria così intensa e spettacolare può apparire schiacciante. Ma il libro si presta a interpretazioni meno lineari.
Da un lato, mostra che la rivoluzione del 1917 non è il frutto di un disegno impeccabile, ma di un intreccio caotico di coraggio, fortuna, sforzi vani, guerre fratricide e contingenze. Vista da vicino, anche la rivoluzione russa appare più come una serie di tasselli allineati dall’intelligenza collettiva (e dal caso) che come l’opera di leader onniscienti. Questo ridimensiona il mito e al tempo stesso rende la storia più comprensibile, più vicina.
Dall’altro, il percorso di Kamo suscita sensazioni ambivalenti. Nella prima parte, lə lettorə può sentirsi quasi schiacciato dal paragone con la sua determinazione e risolutezza. Nella seconda, emerge la sua profonda contraddizione interiore: non è solo la rivoluzione a cambiarlo lo scenario, è lui stesso a sentirsi fuori posto, incapace di trovare un nuovo ruolo. L’incapacità di percepire la propria utilità, il disagio di fronte a un mondo che cambia: sono questioni che risuonano ancora oggi in moltiə attivistə. E per questa ragione, l’audacia inquieta di Kamo continua a parlarci, forse più che mai.
Foto di copertina: wikimedia commons
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