MONDO
La rivolta argentina contro Macri
A Buenos Aires, dopo tre giorni di cortei e repressione, oltre trecentomila sono scesi in piazza contro la riforma delle pensioni e i tagli ai sussidi sociali. Una moltitudine che ha fermato l’approvazione della riforma resistendo per nove ore alla violentissima repressione del governo. Circa quaranta arresti, decine di feriti e una doppia sconfitta per il governo: nelle aule del Parlamento e nelle piazze
I movimenti sociali, i sindacati, i pensionati, l’opposizione al Congresso e le organizzazioni popolari hanno fatto saltare la votazione della riforma delle pensioni: dopo oltre una settimana di mobilitzioni e tre giorni consecutivi di pesanti repressioni, prima durante il corteo contro il WTO, poi durante la prima giornata in piazza contro i tagli alle pensioni, infine ieri, la resistenza popolare all’austerità neoliberale di Macri segna una parziale ma importante vittoria. Oltre 300 mila persone sono scese in piazza per opporsi alla riforma neoliberale delle pensioni che il governo Macri vorrebbe adesso imporre senza dibattito parlamentare, con un decreto di urgenza che ha già scatenato le proteste di sindacati e opposizione, con l’annuncio di uno sciopero generale (e di blocchi stradali diffusi in tutto il paese fino al ritiro della legge) già da domani mattina se il governo dovesse procedere. Motivi per cui Macri è dovuto tornare sui suoi passi, aprendo nuove negoziazioni con i governatori delle province argentine. Il tentativo di gestire con la polizia una forzatura parlamentare e anti democratica è stato, almeno per il momento, fermato da una esplosione tumultuosa, degna e moltitudinaria. La ricchezza agli imprenditori e alle multinazionali, le strade alla polizia, sembra dire il governo: nelle piazze di questi ultimi due anni abbiamo visto la costruzione di una capacità collettiva di resistenza che ieri ha segnato un passaggio politico significativo.
Che si sarebbe trattato di una estate caldissima lo si capiva già da settimane, da quando il governo ha promesso al WTO le tre riforma – pensioni, fisco, lavoro – prima di fine anno. Dopo nove ore di violente repressioni, resistenza diffusa nelle piazze e scontri, con l’esercito e la gendarmeria schierati in piazza del Congresso (bloccando anche i deputati che cercavano di entrare) le cui immagini parlano chiaro e ci mostrano una vergognosa militarizzazione della piazza come non succedeva dal 2001, la sessione di voto in Parlamento è stata sospesa per assenza di quorum. Finalmente l’opposizione in parlamento ha fatto veramente l’opposizione, senza negoziazioni politiciste sulle spalle dei settori popolari e dei lavoratori, senza divisioni a fronte di una repressione anti democratica e impedendo una sessione illegittima, sia per assenza di quorum che per condizioni politiche più complessive. Due parlamentari dell’opposizione sono stati feriti dalla polizia mentre difendevano il diritto a manifestare (colpiti da gas e spray al peperonicino in faccia, mentre mostravano i cartellini da parlamentari), nelle stesse ore in cui le immagini della violentissima repressione in piazza facevano il giro del mondo.
Pensionati, lavoratori dell’economia popolare, dipendenti pubblici, studenti: una moltitudine di manifestanti ha dato una lezione di dignità al paese e al governo, una giornata storica dopo due anni di ininterrotte mobilitazioni contro il governo neoliberale che, nonostante la vittoria alla elezioni parlamentari poche settimane fa, non ha ottenuto né la maggioranza parlamentare né il consenso più ampio tra i sindacati e le organizzazioni sociali, che invece stanno aumentando la loro forza di negoziazione e di resistenza nelle strade e nelle piazze. Si incendia il paese in questo nuovo dicembre di rivolte contro il neoliberismo dopo le violente repressioni di Macri, il presidente che sta indebitando l’Argentina ad un ritmo insostenibile e che per questo aveva preso impegni con il FMI e il WTO rispetto all’approvazione in settimana delle tre prossime cruciali riforme (fisco, pensioni, lavoro). In attesa delle prossime mosse del governo, i movimenti e i sindacati sono pronti a tornare in piazza. Intanto, chiedendo la liberazione di tutti gli arrestati, poi esigendo il ritiro delle tre riforme neoliberali e la fine della militarizzazione della città. Le prossime giornate saranno ancora una volta decisive per porre un limite dal basso, tumultuoso e popolare, all’arroganza neoliberale e alla devastazione dei diritti sociali. Intanto, una giornata storica di lotta, resistenza e dignità ha costretto il governo a fare un passo indietro.