cult

CULT

La resistenza contro gli invasori italiani

“Il leone, il giudice e il capestro” di Alessandro Volterra e Maurizio Zinni racconta la resistenza libica, tra Omar al-Mukhtar, politiche di repressione e apparati di giustizia coloniale. Per smentire, una volta di più, l’idea che gli italiani furono ben accolti nelle colonie

Una parte della politica coloniale italiana, in epoca fascista, venne elaborata e sviluppata sotto il nome di «pacificazione della Cirenaica». Di pacifico non aveva nulla, si trattava di una operazione militare che per quattro anni, dal 1928 al 1932, vide l’autorità italiana reprimere con tutti i mezzi a propria disposizione la resistenza libica.

Il nuovo libro di Alessandro Volterra e Maurizio Zinni, Il leone, il giudice e il capestro (Donzelli, 2021) ricostruisce la storia della «pacificazione»; lo fa mettendo al centro del racconto la resistenza libica, tracciandone un profilo che include ma non si limita alla figura iconica di Omar al-Mukhtar, e l’apparato legale e amministrativo che precede e permette, dalla prospettiva della «giustizia coloniale», le politiche di repressione che il governo fascista metterà in pratica in Libia tra la fine degli anni ’20 e il principio degli anni ’30. 

Dopo la guerra del 1911-1912 il controllo italiano sulla Libia non è totale ma si limita ad alcune aree, prevalentemente la regione della Tripolitania e, più in generale, alle aree costiere. Per i primi venti anni l’occupazione coloniale italiana è continuamente messa in discussione dalle azioni della resistenza libica prevalentemente concentrata in Cirenaica e coordinata dalla confraternita della Senussia. Il progetto di «pacificazione» è una vera e propria campagna di conquista che ha l’obiettivo di ottenere il controllo italiano sulla Cirenaica. Se il nemico da combattere è individuato nei guerriglieri della resistenza libica, la «pacificazione» rovescia tutta la sua violenza, fatta di esecuzioni sommarie e deportazioni, sulla popolazione civile della Cirenaica, considerata dalle autorità italiane contigua alla resistenza.

Prima di affrontare le azioni militari, i processi, le deportazioni e le esecuzioni che caratterizzano la «pacificazione della Cirenaica», Volterra e Zinni ricostruiscono i passaggi legislativi che permettono alla «pacificazione» un quadro legale all’interno del quale giustificare la repressione. Già nel 1924 l’ordinamento militare viene impostato come lo strumento attraverso il quale realizzare l’autorità dello Stato italiano nella colonia libica. La giustizia militare, attraverso la quale verrà repressa la resistenza libica, viene amministrata attraverso i tribunali militari coloniali e il tribunale supremo militare. Il volume pone in rilievo l’importanza dell’istituzione dei tribunali volanti, uno strumento che permetteva all’autorità italiana di svolgere i processi nei luoghi in cui venivano catturati i resistenti. 

In un periodo nel quale le azioni della resistenza rendevano evidente la mancanza di un pieno controllo italiano sul territorio, i tribunali volanti oltre al loro scopo pratico svolgevano anche un ruolo simbolico, rappresentando una «giustizia coloniale» capace di raggiungere chiunque si ribellasse all’autorità italiana in qualunque luogo si trovasse. Basato su una ricca documentazione archivistica il volume presenta una eccezionale sezione iconografica; all’interno del volume sono pubblicate oltre un centinaio di fotografie provenienti dalla raccolta di Giuseppe Bedendo, magistrato militare membro del «tribunale volante» che giudicherà Omar al-Mukhtar e altri membri della resistenza libica.

Ricostruendo la pianificazione e l’esecuzione della «pacificazione della Cirenaica», Il leone, il giudice e il capestro ci fornisce nuovi elementi per ragionare su alcuni aspetti fondamentali del passato coloniale italiano. Innanzitutto, il modo in cui il concetto di «giustizia» venne declinato nel contesto coloniale, un modo nettamente diverso, almeno a livello formale, rispetto alle caratteristiche che il concetto aveva nel contesto metropolitano. In colonia non era infatti concepibile una «legge uguale per tutti»; la società coloniale nasceva per natura con una dicotomia fondamentale tra colonizzato e colonizzatore, il concetto di «giustizia» si doveva accordare a questa dicotomia e il risultato pratico era la convivenza di due tipi di «giustizia», una per il colonizzatore e una per il colonizzato. 

Un altro elemento molto importante su cui il libro fornisce elementi di riflessione riguarda il ruolo della resistenza libica nel più ampio contesto della storia sul colonialismo italiano in Africa. Aggiungendosi agli altri studi che hanno trattato il tema della resistenza libica al colonialismo italiano, il lavoro di Volterra e Zinni ci permette di rinnovare una sfida storiografica a una idea molto diffusa nella società ma con pochi riscontri nelle ricostruzioni storiche, quella che il colonialismo italiano sia stato sempre accettato in maniera pacifica ed entusiasta dalle popolazioni colonizzate. Il caso della resistenza in Cirenaica, come anche quello della resistenza etiopica dal 1936, sono dimostrazioni storiche che il colonialismo italiano non fu sempre accettato benevolmente ma che anzi, per potersi affermare nei confronti delle popolazioni assoggettate non poté che affidarsi all’uso della forza.

Immagine di copertina: suonatori. Fotografia scattata in un ex-colonia italiana. Luogo e fotografo ignoti. Collezione privata