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La pratica artistica come indagine sulle questioni di genere, razza e sessualità

Il collettivo artistico Radha May, composto da Elisa Giardina Papa, Nupur Mathur e Bathsheba Okwenje, racconta il progetto When the Towel Drops: un lavoro in tre capitoli in cui vengono indagati i temi della censura e della femminilità nel cinema in Italia, India e Sud Africa

Come e perchè è nato il collettivo Radha May?

Radha May è un collettivo formato da tre artiste, Elisa Giardina Papa, italiana, Nupur Mathur, indiana e Bathsheba Okwenje, ugandese. Ci siamo incontrate nel 2012 alla Rhode Island School of Design mentre seguivamo un master in arte e abbiamo cominciato a lavorare insieme per un interesse comune sulle questioni di genere, di razza e della sessualità, la relazione tra potere e archivi, i confini, e le narrative storicamente definite come subalterne.

Fin dall’inizio abbiamo cercato di sperimentare con una pratica artistica collaborativa che potesse unire la complessità e la dissonanza dei nostri diversi background culturali, identità ed esperienze. Ovvero abbiamo cercato di creare uno spazio creativo comune, ma aperto, in cui queste dissonanze potessero coesistere senza necessariamente diventare coerenti. In questo periodo stiamo lavorando a distanza collegandoci online tra Brooklyn (U.S.A.), Bandung (Indonesia) e Sant’Ignazio (Sicilia).

 

When the Towel Drops Vol 1 è un’installazione video sui temi della censura e della femminilità nel cinema italiano del dopoguerra e riporta alla luce centinaia di documenti d’archivio e di scene tagliate da film italiani e stranieri degli anni Cinquanta e Sessanta. Com’è nata l’idea di affrontare le tematiche sulla rappresentazione della femminilità attraverso la censura nel cinema?

Nel 2013 il direttore del Dipartimento di Studi Italiani della Brown University, Massimo Riva, ci ha parlato dell’archivio della censura cinematografica Italiana. Un deposito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali dove sono conservati i tagli effettuati dalla Revisione Cinematografica a partire dal 1913. Si tratta di tagli effettuati su circa 6.000 pellicole italiane o straniere distribuite in Italia.

La stessa estate siamo andate a Bologna e abbiamo trascorso circa due mesi nell’archivio per digitalizzare le scene in 35mm e consultare il database di CineCensura e Italia Taglia, in cui sono anche raccolti i documenti ufficiali che descrivono nel dettaglio le ragioni della censura di ogni film.

 

When the Towel Drops, Vol 1 | Italy, Radha May (Elisa Giardina Papa, Nupur Mathur, Bathsheba Okwenje), 2015-2019. Vista della Cineteca di Bologna, dove parte dell’archivio della censura cinematografica è preservato. Per gentile concessione delle artiste e Cineteca di Bologna

 

Quando abbiamo passato in moviola metri e metri di pellicole censurate ci siamo accorte che le scene che ci interessavano di più erano quelle che parlavano di piacere femminile e queer, di atti provocatori e di sfida verso le istituzioni. Una volta viste in sequenza, le immagini sembravano raccontare di come il corpo femminile fosse stato regolato e irreggimentato nel corso della storia italiana.

Sembravano dire che la «donna accettabile», per i canoni dell’Italia del dopoguerra, non potesse esprimere piacere sessuale, ballare in modo provocante, avere relazioni interrazziali, sfidare le autorità e, di fatto, neppure partorire. Abbiamo quindi deciso di dedicare un film a questa «donna non accettabile» che fosse esclusivamente basato sulle scene che l’avevano vista protagonista della censura.

 

Come si è sviluppata la ricerca? In base a quale criteri avete selezionato i film?

Le scene censurate e i documenti che ci hanno colpito immediatamente sono quelle in cui la donna— il suo corpo, la sua sessualità ed il suo desiderio—sembravano essere un territorio conteso tra registi, case di distribuzione e censori su cui demarcare i confini di accettabilità e devianza. Ovvero un territorio in cui discutere la necessità di riaffermare o meno i ruoli di genere tradizionali, i valori dell’eteronormatività, o la struttura familiare patriarcale.

Per esempio una delle prime scene che abbiamo immediatamente selezionato è stata quella di un parto tagliata da Alle soglie della vita di Ingmar Bergman. Nonostante la donna partoriente sia quasi completamente coperta —si vedono solo le gambe fino alle ginocchia—i censori italiani decidono che la scena debba essere tagliata a causa del suo «carattere impressionante» e che l’intero film debba essere vietato ai minori di sedici anni per «la scabrosità della materia».

La società di distribuzione fece richiesta di appello ricordando al Comitato di Revisione che non solo «il film [aveva] ottenuto al festival di Cannes il primo premio per la regia al sig. Ingmar Bergman», ma che la richiesta del divieto ai minori presupponeva «che essi [fossero] rimasti di fatto di educazione familiare ai tempi dei tempi».

 

Le scene tagliate dai film originali che nella vostra installazione sono montate una dietro all’altra, cosa rivelano dell’atto censorio delle istituzioni italiane e dell’atteggiamento nei confronti della femminilità?

In realtà rivelano molto anche dell’atteggiamento verso la mascolinità. Nel visionare le pellicole censurate infatti ci siamo accorte che il vero tabù del cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta non fosse il corpo della donna, ma quello dell’uomo. Nelle scene tagliate che abbiamo recuperato, le figure maschili sono sempre completamente vestite. Con giacche e cravatte, cappotti e cappelli, gli uomini di questi film guardano, baciano e rincorrono protagoniste femminili che sono invece spesso appena coperte da sottovesti, pagliaccetti e lingerie di varia fattura. Il contrasto è paradossale.

 

When the Towel Drops, Vol 1 | Italy, Radha May (Elisa Giardina Papa, Nupur Mathur, Bathsheba Okwenje), 2015-2019. Fermo immagine dal video. Scena censurata e rimossa da Zabriskie Point, Michelangelo Antonioni (1969). Per gentile concessione delle artiste e MiBACT.

 

Il massimo concesso agli uomini sembra limitarsi a nervosi allentamenti dei colletti o a veloci comparsate in pigiama e vestaglie. Per vedere un corpo maschile svestito è necessario arrivare al 1970, con Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni e la famosa scena censurata del threesome girata nella Valle della Morte, in California. Oppure bisogna aspettare la metà degli anni Settanta, con le scene di nudo maschile integrale tagliate da Il fiore delle mille e una notte (1974) di Pier Paolo Pasolini —a quel film furono imposti tagli di censura per un totale di circa 190 metri— o Satansbraten di Rainer Werner Fassbinder.

 

Dove si pone il confine tra la rappresentazione della femminilità “genuina” e l’oggettivazione del corpo delle donne? Stante il fatto che non era certamente questo lo scrupolo dei censori nella loro azione di taglio di scene ritenute da loro inadeguate.

È difficile, forse impossibile definire una femminilità “genuina” in relazione ai film e alle vicende censorie italiane degli anni Cinquanta e Sessanta. La quasi totalità delle opere cinematografiche di quel periodo sono infatti scritte, prodotte, girate e poi anche censurate da uomini. I modi del vedere ed il piacere del guardare di quegli anni sono unicamente strutturati attraverso uno sguardo maschile.

Il cosiddetto male gaze, come l’ha definito la teorica di cinema Laura Mulvey. In Visual Pleasure and Narrative Cinema, Mulvey infatti analizza come le donne non avessero altre alternative, in relazione al cinema classico, che quella di immaginarsi e osservarsi attraverso lo sguardo dell’uomo. Una donna di fronte a un film —ad esempio un classico film hollywoodiano che secondo Mulvey si basa soprattutto su meccanismi di voyeurismo, scopofilia e feticismo— non può che assumere un punto di vista maschile. Deve farlo per evitare sia una posizione masochistica (trarre piacere dalla propria oggettificazione sessuale) sia una posizione narcisistica (trarre piacere dal divenire il proprio oggetto del desiderio).

È una posizione scomoda e impossibile da superare in un contesto, come quello del dopoguerra in cui l’industria cinematografica era appunto quasi esclusivamente di dominio maschile. Il testo della Mulvey, quindi, è una sorta di “chiamata alle armi” per iniziare una produzione cinematografica inclusiva. Film in cui le donne potessero finalmente immaginarsi, darsi forma e voce al di là di modelli stereotipati preesistenti.

 

When the Towel Drops Vol.1 | Italy è una ricerca storica e d’archivio complessa che somma in sé una parte video, composta dalle scene tagliate, e una parte testuale, in cui sono spiegate le motivazioni dei tagli. L’installazione stimola una riflessione che potrebbe, attraverso un processo di contestualizzazione forzato, essere in qualche modo depotenziata perché questo andrebbe a giustificare quei tagli in base alle convenzioni sociali dell’epoca. Quali sono invece gli elementi presenti nell’opera che possono essere rintracciati anche nella società contemporanea.

Il rapporto tra immagini e documenti ministeriali è fondamentale nel progetto. Con When The Towel Drops abbiamo cercato di mettere in mostra l’intero sistema di relazioni che ha motivato i tagli, non solo le immagini “proibite”. La videoinstallazione infatti anche nelle sue scelte formali cerca di non spettacolarizzare le scene tagliate. Questo perché l’archivio della Revisione Cinematografica Italiana nasce da un paradosso costitutivo: l’atto di censura ha finito per preservare ciò che invece desiderava eliminare.

Di conseguenza, le immagini contenute in questa collezione storica hanno subito un processo di feticizzazione proprio a causa della censura, non a priori. Ovvero, la censura stessa, trasformandole in oggetti illeciti e inaccessibili, gli ha attribuito un surplus di valore che le ha rese estremamente desiderabili. Quelle stesse immagini in un contesto diverso o in anni diversi potrebbero essere lette come ironiche, innocue, o semplicemente passare inosservate.

 

When the Towel Drops, Vol 1 | Italy, Radha May (Elisa Giardina Papa, Nupur Mathur, Bathsheba Okwenje), 2015-2019. Taglio di pellicola censurata. ​Alle soglie della vita, Ingmar Bergman (1958). Per gentile concessione delle artiste e MiBACT.

 

È attraverso il testo delle giustificazioni, la logica istituzionale della loro eliminazione, che si riesce a dare senso a ciò che si vede. L’effetto destabilizzante tra un’immagine, che a noi oggi può sembrare innocua, e il documento, che invece la definisce “moralmente scabrosa o “contro natura” suggerisce che la struttura di pensiero che sta alla base delle nostre certezze morali potrebbe non avere l’inevitabilità che tendiamo ad assegnargli. O meglio, di fronte a When The Towel Drops ci rendiamo conto che l’insieme complessivo delle relazioni che unisce le nostre pratiche di pensiero e che rende certi comportamenti accettabili o inaccettabili è sicuramente cambiato e, quindi, può cambiare ancora una volta.

Quando partecipiamo a dibattiti contemporanei sulle questioni di genere e della sessualità, prima di essere così certi e veloci nel definire cosa sia naturale o normale nelle relazioni o nell’amore dovremmo sempre tenere questo in mente.

 

I volumi 2 e 3 del progetto When the Towel Drops saranno strutturati nello stesso modo? Ci state già lavorando?

Quello che accomuna le tre tappe e che in parte trascende i diversi contesti culturali (Italia, India e Sud Africa) è la scelta di concentrarsi su momenti storici di forte trasformazione politica e culturale. In periodi di questo tipo, l’apparato ideologico della censura cinematografica diventa chiaramente visibile. Ad esempio, il volume dedicato all’Italia indaga un lasso di tempo che va dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta, quindi un periodo che inizia con la liberazione dal regime nazifascista e finisce nel mezzo delle lotte studentesche, operaie e femministe del Sessantotto. Molte cose in questi venti-trent’anni furono messe in discussione e tra queste, sicuramente, la rappresentazione del genere e della sessualità.

Seguendo questa logica, abbiamo deciso di sviluppare la successiva fase del progetto sull’India concentrandoci sul periodo appena successivo alla dichiarazione di indipendenza dall’Impero Britannico, avvenuta nel 1947. Quindi, in un periodo storico in cui la nazione, che in India viene spesso immaginata e metaforizzata al femminile, è in via di definizione. Per il terzo volume, invece, ci concentreremo sul Sud Africa dell’ultimo periodo dell’Apartheid: la politica di segregazione razziale istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca e rimasta in vigore fino al 1991.

Il volume dedicato all’India, When The Towel Drops Vol.2 | Bollywood, è quello su cui abbiamo già iniziato a lavorare. Dopo tre anni di tentativi abbiamo finalmente avuto accesso ai dossier preservati dal Central Board of Film Certification (CBFC). Purtroppo però non siamo riuscite ad avere accesso ai tagli di pellicola, sembra che molti siano andati persi, di conseguenza questo nuovo volume sarà diverso da quello italiano. Il video giocherà proprio sull’impossibilità di vedere ciò che è stato censurato. Diventerà una sorta di esercizio collettivo, tra noi e il pubblico, nell’immaginare le scene eliminate in base alle immagini dei film originali che precedono e seguono i tagli di censura, e in base alle parole derivate dai frammenti dei documenti testuali a cui invece abbiamo avuto accesso.

 

Avete già riscontrato delle differenze tra la rappresentazione della femminilità concessa o non concessa dalla censura italiana rispetto a quella indiana e sudafricana?

Abbiamo iniziato solo da pochi mesi a lavorare sui dossier del Central Board of Film Certification indiano. Ma la prima differenza significativa risiede nel fatto che la censura indiana rispetto a quella italiana è ancora estremamente attiva. È uno strumento governativo che continua ad essere ampiamente utilizzato per scoraggiare comportamenti femminili che non sono in linea con l’agenda del governo.

Di conseguenza, ci troveremo a trattare vicende censorie anche molto recenti e tuttora dibattute nella società indiana. Ad esempio, sette anni fa, nel 2016, il Central Board of Film Certification ha rifiutato di rilasciare il nulla osta per il film Lipstick Under My Burkha, scritto e diretto dalla regista Alankrita Shrivastava. La motivazione ufficiale del CBFC è stata che «[l]a storia è orientata alle donne, alle loro fantasie di vita. Ci sono continue scene sessuali, parole offensive, un sonoro pornografico e il film tocca temi sensibili relativi ad una particolare sezione della società».

Un altro esempio di atto censorio recente e quello relativo al film Fire (2013) della regista Deepta Mehta. Il film affronta il tema di una relazione queer tra due donne sposate, ed è stato accolto con forti proteste da parte del gruppo religioso Shiv Sena. Il gruppo indù, di orientamento politico di destra, ha cercato di bloccare la distribuzione del film dichiarando che la pellicola avrebbe rovinato le donne indiane e addirittura portato al crollo dell’istituzione del matrimonio.

 

Oltre a When the Towel Drops avete in mente altri lavori che vi piacerebbe realizzare come collettivo?

Stiamo iniziando un progetto sugli archivi del colonialismo storico, prestando una particolare attenzione alle vite delle persone che sono documentate all’interno di queste collezioni con modalità che le hanno completamente recise dal loro contesto e dalla loro storia personale. La loro presenza nell’archivio è spesso poco più di una mera traccia di esistenza che non permetterà mai di recuperare la ricchezza e la complessità delle loro vite. Stiamo quindi provando a immaginare cosa voglia dire lavorare con questa impossibilità, cosa voglia dire lavorare su ciò che non si potrà mai completamente recuperare.

Con un approccio che intreccia teoria critica, ricerca storica e finzione speculativa cercheremo di raccontare queste storie lavorando simultaneamente “con e contro” l’archivio. Ovvero ne useremo i documenti, ma allo stesso tempo ci confronteremo con il potere e l’autorità dell’archivio stesso e i limiti che esso pone su ciò che può essere conosciuto, quale prospettiva è da ritenere importante e chi è dotato della gravità di diventare un attore storico. In questo progetto siamo influenzate dalle ricerche e dalle teorie di studiose come Ariella Azoulay e Saidiya Hartman.

 

 

Foto di copertina da When the Towel Drops, Vol 1 | Italy, Radha May (Elisa Giardina Papa, Nupur Mathur, Bathsheba Okwenje), 2015-2019. Vista della video installazione, ICA Milano, 2020. Per gentile concessione delle artiste. Nel testo, senza didascalia, Visto di censura di I delfini, Francesco Maselli (1960). Per gentile concessione del MiBAC.