La paura dell’assalto al cielo
Cittadini od Onorevoli? Il M5S e la sfida della piazza
La sera della rielezione di Giorgio Napolitano, dalle immagini e dalle voci, sembrava che tutto stesse per precipitare nell’arco di pochi minuti. Sfilavano le schede per le mani dei Presidenti del Parlamento, e fuori a Montecitorio centinaia di cittadini – destinati a diventare migliaia in poco tempo – iniziavano a sperimentare quell’insolenza e insensatezza che per anni hanno dovuto sopportare gli studenti e gli operai: la polizia che blocca il passaggio; i palazzi che dovrebbero essere i templi della cittadinanza inaccessibili; decine di transenne che appaiono come per magia a delimitare uno spazio fisico che è anche sociale: da una parte il Potere, dall’altro chi lo dovrebbe possedere e che invece fa i conti con la sua completa impotenza. Sembrava un attimo, e quando l’Aula acclamava re Giorgio, le persone di fuori incominciano a farsi stare stretta la piazza, e vogliono arrivare a bussare alle porte del Parlamento, come per ricordare a chi vive al buio lì dentro cosa c’è fuori, a chi tutto sommato prima o poi dovrà rispondere.
Sono tanti i sentimenti che si mescolavano e che ogni tanto passavano davanti alle telecamere impegnate nella diretta. Non ritornerò sulla complessità e sotto alcuni aspetti l’immaturità dei sentimenti che hanno portato e portano queste migliaia di persone a scendere in piazza quando un Comico grida al golpe. Ma non riesco a continuare ad essere colpito da quella rabbia inspiegabile, spesso agli stessi che la provano; quella stanchezza consapevole di aver assistito di nuovo all’autoriproduzione della politica dei partiti e della rappresentanza, al compimento di quel temuto ma sicuro inciucio che tutti sapevamo sarebbe stato l’esito del momento economico-politico che viviamo. Ma nel profondo, quel desiderio di cambiare la democrazia, di abbandonare quel fantoccio mezzo morto che è la rappresentanza, e costruire una nuova idea di partecipazione attiva alla vita del paese, resta il fulcro di quella rabbia cieca.
Questo sentire, che ancora non è consapevolezza, vive oramai diffusamente nelle menti di tantissimi, che vogliono non il cambiamento, ma un cambiamento, di cui, dopo decenni di stordimenti radiotelevisivi e berlusconiani, si è persa la capacità di dargli forma. Un po’ come ai cittadini del “Saggio sulla Lucidità” di Saramago, colpiti da un’improvvisa “cecità elettorale” che li porta, senza sapere neanche bene spiegare il perché, a votare tutti scheda bianca ripetutamente, senza nessun accordo, senza nessun progetto. Ma è proprio dal sentimento che può nascere il cambiamento vero, quel desiderio che si fa consapevole e diventa progetto politico.
Ancora per il momento, questo desiderio di rinnovamento e di nuova democrazia resta incarnato dal Movimento 5 Stelle nell’immaginario collettivo. Ma ieri notte, forse per la prima volta, il M5S ha dovuto fare i conti con la realtà: non si cambia un paese semplicemente prendendo dei voti, l’opzione riformista del “cambiare da dentro” è incarnata dal PD e dalla sua storia, ed è sotto gli occhi di tutti il risultato. Non basta neanche convincere le persone a cliccare un’icona, perché per fortuna questo è un paese che alla partecipazione non ha mai rinunciato, all’impegno in prima persona soprattutto (basti vedere le ultime statistiche demos ).
Costruire una vera democrazia diretta significa fare i conti con la necessità di essere forza di governo e di piazza, riconoscere che soltanto da quest’ultima potrà venire fuori il cambiamento così come lo si desidera. Invece il M5S si assume il compito di fare da “Cane da guardia” della democrazia rappresentativa, di sedare gli animi, di impedire alla piazza – cioè ai cittadini e alle cittadine di questo paese – di prendere in mano il proprio presente, di agirlo, di rompere una volta per tutte con il passato, dando un segnale forte. Ancora oggi, Grillo grida felice che senza di lui nessuno potrebbe tenere le persone in piazza. Eppure, l’abbiamo visto nell’Africa Mediterranea, quando le persone sono per strada, nelle piazze, significa che la democrazia è viva e forte, e allora si che cambiare è possibile. Con questo i cittadini eletti cinque stelle dovranno fare i conti: vogliono essere al servizio del cambiamento oppure controllarlo e incanalarlo, sedarlo, ponendosi – come i loro colleghi onorevoli – al di sopra delle persone venute a Montecitorio a chiedere un futuro differente?
L’immagine dell’onorevole grillino che, rivolto al capo della digos romana, riferisce di stare parlando per “calmare le folle” è la conferma di quanto detto: la trasformazione da cittadini a onorevoli è veloce, e quelli che prima erano i tuoi simili diventano una massa indistinta di cui vedi soltanto la bava alla bocca, senza riconoscerne tutta la dignità, il coraggio e l’intelligenza di essere in piazza in quel momento.
Per tutti arriva il momento di dover rendere conto del proprio operato. Non c’è soltanto qualche politico da spazzare via, c’è un sistema da rinnovare completamente, una forma di vivere in comune da abbattere e ricostruire completamente. Se è vero che possiamo farcela soltanto tutti insieme, crediamoci sino in fondo e ricordiamoci, la prossima volta che saremo di fronte a Montecitorio ad assistere inermi alla proclamazione di un monarca, che quei palazzi sono la nostra casa e di nessun altro, e che nessuno più di noi ha il diritto di entrarci e liberarlo. Soprattutto dopo tutti questi anni in cui qualche politicante ci ha rubato le chiavi di ingresso dicendoci che l’ingresso è vietato ai non addetti ai lavori. Non si tratta di oltraggiare le istituzioni repubblicane, bensì di liberarle dagli abusivi, di restituirgli dignità ma soprattutto di renderle agli unici sovrani di questo paese: noi tutti. Solo così gli eletti 5S dovranno finalmente prendere una decisione: essere Cittadini, o essere Onorevoli.