DIRITTI
La metropoli sulla frontiera
In Francia le mobilitazioni dei migranti non si sono mai fermate, tra occupazioni, accampamenti illegali, solidarietà e sgomberi. Domenica corteo antirazzista a Parigi. Leggi anche Siamo dentro la guerra di E. Balibar, Guerra civile nel cuore d’Europa di redazione e Cos’è lo stato d’emergenza? di Paris-luttes
La crisi migratoria esplode a Parigi a metà giugno, quando gli accampamenti di migranti di La Chapelle e della Gare d’Austerlitz si gonfiano a tal punto da non poter essere più ignorati. È in quel momento che i migranti decidono di prendere visibilità in città, con presidi e manifestazioni, ed un nutrito gruppo di francesi solidali scende in piazza con loro.
Per tutta l’estate nascono quindi accampamenti che rifiutano di subire l’invisibilizzazione, accampamenti su cui lo stato interviene con bastone e carota: sgombera quelli dove la dinamica politica è più intensa, divide i gruppi di migranti più affiatati in centri di alloggio separati e distanti, cerca di dividere il corpo migrante trattando separatamente con le differenti comunità nazionale, , moltiplica le promesse di alloggio ed asilo salvo poi tradirle e ritirarle in moltissimi casi.
Rue Pajol, Rue d’Eole, Gare d’Austerlitz, Marie du 18, metro La Chapelle, Place de la Republique, sono solo alcuni dei luoghi di una geografia metropolitana in continuo mutamento, i luoghi dove i migranti si trovano, parlano, si organizzano, si accampano e vivono. Questa geografia ha il suo centro, tra agosto ed ottobre, nell’ex-liceo occupato Jean Quarré, a Places de Fetes. In questo stabile progettato per contenere non più di 200 studenti, arrivano a vivere in alcuni momenti anche 700 migranti, in pessime condizioni igienico-sanitarie e con la costante minaccia di sgombero. La minaccia però rimane solo formale fino al 24 di ottobre: al di là delle trattative e delle posticipazioni imposte dal tribunale cittadino, le ragioni politiche sono sotto gli occhi di tutti, il municipio ed il governo non hanno pronta una strategia per allontanare dalla capitale così tanti migranti, e non vogliono accogliere in luoghi prossimi a Parigi tutte quelle soggettività imprevedibili. La posticipazione serve a predisporre un piano di accoglienza che allontani tutte quelle persone dalla capitale, per nascondere la contraddizione lampante delle retoriche “umanitarie” a confronto con il dispositivo di inclusione marginalizzata (o di nuda e cruda esclusione) che lo stato mette in atto.
Come vedremo questa strategia di allontanamento ha solo parzialmente successo.
Il ruolo dell’associazionismo
In tutto questo, un ruolo particolare lo rivestono le associazioni sociali-umanitarie che gestiscono i centri di accoglienza per conto dello stato francese, o i gruppi statali (come la Croce Rossa) che forniscono alcuni servizi primari. Il loro è un ruolo di mediazione e spoliticizzazione: attraverso meccanismi assistenzialisti si cerca di minare alla radice l’organizzazione comune dei migranti. Contemporaneamente si aggrediscono anche direttamente le istanze di lotta: è il caso ad esempio dell’associazione Emmaus, che ha denunciato quattro persone per “sequestro di persona” per aver partecipato ad un sit in all’ingresso di un centro d’accoglienza, in solidarietà ai migranti che protestavano per la qualità del cibo. Oppure dell’associazione Aurore, che impediva ai migranti di avere visite in uno dei centri, e di riunirsi nelle sale comuni fuori da alcuni orari: in questo caso uno sciopero della fame ha ottenuto numerose retromarce dell’associazione.
Non bisogna dimenticare che anche in Francia il sistema dell’accoglienza è costantemente monetizzato, attraverso il metodo ben conosciuto della quota fissa per migrante concessa dallo stato alle organizzazioni in servizio ai centri: se il ricavo è costante, si fa profitto tagliando pulizia, cibo o biglietti per i trasporti, se in Italia la forma assunta da tutto questo è quella para-mafiosa, anche nella più legalitaria Francia l’accoglienza diventa un business sulla pelle di chi arriva.
Sinergie di lotta
Il 24 ottobre il liceo Jean Quarré viene sgomberato: la retorica del municipio parigino ci dice che lo sgombero avviene pacificamente, senza l’impiego delle forze dell’ordine. La realtà è che la BAC (Brigade Anti Criminalité, polizia addestrata per gli interventi “duri” a Parigi ed in banlieue) si “traveste” da operatori sociali e controlla dall’interno le operazioni di ingresso nei bus dei migranti, la polizia circonda il quartiere e allontana il presidio che monitorava lo sgombero quando le operazioni sono vicine al termine (cioè nella fase più tesa), infine circa un centinaio di migranti non vengono fatti salire sugli autobus che conducono ai centri di alloggio. La cronaca dei giorni successivi parla di moltissimi migranti che decidono di tornare a Parigi, anche a costo di stare in mezzo a una strada: fuggono dall’isolamento imposto in centri sperduti nella campagna, da condizioni di alloggio pessime, da una frammentazione che li rende deboli nella lotta per i loro diritti.
Per alcune settimane successive allo sgombero, moltissime persone si accampano quindi in Place de la Republique subendo quotidianamente le angherie della polizia: ogni due-tre giorni le tende e il materiale vengono distrutti, il telo per riparare il presidio dall’acqua viene vietato e sistematicamente rimosso quando i migranti lo appendono, gli sgomberi sono frequenti, e particolarmente violenti, soprattutto negli orari in cui la cittadinanza “legittima” è assente (poco prima dell’alba). Nonostante ciò i migranti resistono, chiamano a raccolta le persone solidali in due presidi consecutivi partecipati da centinaia di persone, in queste situazioni riconquistano la piazza, e con un corteo negli stessi giorni arrivano fin sotto all’Hotel de Ville per rivendicare il loro diritto ad un tetto ed ai documenti, ai pieni diritti di cittadinanza.
Attorno alle esperienze del liceo Jean Quarré e di Place de la Republique (luoghi simbolo di geografie molto complesse, difficili da trattare nel dettaglio in un testo come questo) si organizza una sinergia sempre più stretta tra migranti e militanti europei, emerge una linea comune di rifiuto del sistema delle frontiere. L’ “accoglienza” decantata dallo stato francese si dimostra giorno dopo giorno un metodo di governo, che mira a lasciare i nuovi arrivati in condizione di perenne indefinitezza, dipendenza, solitudine: pronti ad essere espulsi oppure ad essere inseriti agli ultimi posti della catena di sfruttamento, senza diritti. La risposta è un tentativo di organizzazione dei migranti per i migranti, in cui la costruzione di una soggettività nuova ed autonoma si innesta sui percorsi di resistenza già presenti nella metropoli parigina. In questo senso ci appare fondamentale l’esperienza di Merhaba (“Benvenuto!” in lingua araba) [link: https://www.facebook.com/mer.haba.921?fref=ts]. Un giornale pubblicato ad intervalli di due-tre settimane in lingua francese, inglese, araba e farsi, un giornale dove accanto ad aggiornamenti sulla militarizzazione della città e sull’organizzazione dei presidi di solidarietà, si trovano testimonianze di persone residenti o in transito a Parigi, Calais, Marsiglia, Ventimiglia e molti altri luoghi della mappa delle frontiere dell’europa fortezza. Accanto ad un lavoro di contro-informazione si cerca di sviluppare una riflessione comune sul sistema delle frontiere e di narrare le lotte contro quello steso sistema.
In conclusione un giornale che cerca di coniugare la costruzione di una rete di appoggio e informazione dei e per i migranti, allo sviluppo di un piano pubblico connesso, con l’aspirazione di andare oltre la semplice dimensione cittadina e di connettersi alle altre esperienze NoBorders che si stanno sviluppando nei luoghi attraversati dalle rotte migranti.
Dopo gli attentati: lo stato d’emergenza come chiusura dello spazio pubblico
L’ultimo accampamento a Republique era stato sgomberato esattamente il 12 novembre, giorno precedente degli attentati che hanno insanguinato Parigi. Una delle prime conseguenze dello stato d’emergenza prontamente instaurato dal governo francese è stato il ritorno alla completa invisibilità delle persone che ancora si trovano sulle strade della capitale. Le manifestazioni vengono vietate, gli spazi pubblici chiusi e presidiati. Nel clima di guerra, che lo stato francese intende senza dubbio cavalcare, la tematica delle frontiere è gestita col pugno di ferro, i migranti sono un soggetto scomodo che può far esplodere tutte le contraddizioni di questa “guerra al terrorismo” in salsa transalpina, ed allora vanno allontanati dalla scena.
Se la manifestazione dei migranti sgomberati a Republique, prevista per domenica 15 novembre, è stata vietata, ancora non è stato fatto altrettanto per la grande manifestazione unitaria prevista la prossima domenica 22 novembre. Collettivi, partiti e sindacati chiamano a riunirsi per il diritto all’accoglienza, e quella data acquisisce un significato particolare perché sarà anche il primo momento di rottura del clima di unità nazionale e di non-conflitto calato sulla città. Non a caso si moltiplicano le pressioni della prefettura e del comune per dividere il fronte degli organizzatori e portare ad un annullamento spontaneo.
Sulla linea del confine che corre dentro la capitale francese ed in tutte le metropoli europee, sta nascendo la lotta per nuove libertà e nuovi diritti, contro il sistema delle frontiere e contro la guerra.