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MONDO
La marea verde torna in piazza in Argentina, l’aborto legale è approvato al Congresso
Con 131 favorevoli, 117 contrari e 6 astenuti, è stata approvata dopo venti ore di dibattito parlamentare al Congresso la proposta di legge per l’interruzione volontaria di gravidanza in Argentina. Il 29 dicembre, il voto decisivo al Senato, mentre la marea verde torna ad inondare le strade. Una cronaca dalla moltitudinaria mobilitazione a Buenos Aires
Erano passati solo pochi minuti dal voto, arrivato la mattina di venerdì dopo oltre venti ore di dibattito parlamentare, e si parlava già di cosa potrà accadere il 29 dicembre quando il Senato deciderà se trasformare in legge oppure no il progetto per la “Regolazione dell’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza e l’assistenza per l’aborto” appena approvato alla Camera. Se fino a giovedì scorso non c’era alcun margine di sorpresa, dato che alla Camera si considerava già scontata l’approvazione del progetto di legge, al Senato lo scenario è ancora incerto: si parla di un pareggio virtuale che nel caso si dovesse concretizzare, dovrà essere risolto dalla posizione della viciepresidente della Nazione Cristina Fernández de Kirchner, in qualità di presidenta del Senato.
Dentro l’aula, alle ore 11:12 di giovedì 10 dicembre il presidente della Camera Sergio Massa ha annunciato il quorum di presenze dei parlamentari, con 150 deputati presenti – 105 fisicamente e 45 in remoto – dei 257 che compongono la Camera, dando così inizio alla sessione che, quasi un giorno dopo, ha consacrato la sua approvazione in attesa del verdetto del Senato.
Il testo era stato presentato alla Camera lo scorso 18 novembre, per la prima volta dal presidente stesso; è la nona volta che si presenta il progetto al Congresso, la seconda che viene approvato dalla Camera. La prima approvazione parziale del progetto avvenne nel 2018, quando il Senato ha poi impedito la sua approvazione definitiva, per cui l’iter legislativo è dovuto ripartire dall’inizio.
La differenza di questo progetto rispetto al precedente riguarda l’obiezione di coscienza, che non sarà solamente una scelta del singolo medico ma anche delle instituzioni sanitarie nel loro complesso.
Al momento del dibattito, è emerso chiaramente come «le parole possano stancarsi ed ammalarsi, così come si stancano e si ammalano gli uomini», proprio come scrisse l’argentino Julio Cortazar; gli oratori non sono stati al centro dell’attenzione di tutte quelle che aspettavano il voto nelle piazze, nelle strade o nelle proprie case, a parte alcune eccezioni.
Ed è così emerso chiaramente come una serie di parole quali “personcina”, concezione, vita, famiglia, maternità ed anche lo stesso aborto, a «forza di essere ripetute, e spesso usate male, finiscono per esaurisi, fino a perdere la loro vitalità», parafrasando ancora Cortazar. Ed è così che i settori “anti-diritti”, autodenominatisi “pro-vita”, hanno ripetuto ancora una volta le stesse premesse di sempre, focalizzando l’attenzione sul momento della concezione e sulla volontà di Dio, ed hanno rinnovato il proprio discorso solamente per dire che l’aborto fa parte di una cultura dello scarto e che in un momento di crisi e pandemia come quella che il paese sta attraversando le priorità dovrebbero essere altre.
Nel movimento per l’aborto legale ci sono state invece alcune innovazioni nei discorsi, sono passati in secondo piano gli slogan come “il corpo è mio” oppure “le donne ricche o di classe media abortiscono nelle cliniche private mentre quelle povere muoiono in clandestinità”, e si è invece scelto di approfondire la discussione se l’aborto sia traumatico in sé o se sia la clandestinità a renderlo tale; se il movimento (o i movimenti?) stanno vivendo una fase di bassa o no, ma soprattutto è stato messo al centro del discorso il desiderio: “la maternità sarà desiderata o non sarà”.
Un altro aspetto che mostra la decisione di andare nella direzione di una proposta capace di affrontare complessivamente le diseguaglianze, riguarda l’attenzione nei confronti delle attività di cura e di quelle riproduttive.
Si tratta di una questione che è emersa ancora di più durante la pandemia e il distanziamento sociale. Questo tema è stato infatti affrontato con la presentazione di un’altra proposta di legge che è stata discussa e approvata durante la stessa sessione parlamentare, subito dopo l’aborto: una proposta di legge su “Assistenza e cura complessiva della salute durante la gravidanza e la prima infanzia”, conosciuta anche come “il piano dei mille giorni”, che punta a prendersi cura “della salute complessiva delle persone gestanti e dei figli e delle figlie fino ai tre anni di età”. In sintesi, chi decide di avere figli deve avere garantite le risorse basilari da parte dello Stato almeno per i primi anni.
Fuori dall’aula, sulla immensa Avenida Callao che parte dalla piazza del Congresso e si estende verso il nord della città di Buenos Aires, si dispiegava l’ala verde della mobilitazione con concerti dal vivo e dj che si alternavano ai maxischermi dove venivani proiettate le immagini del dibattito parlamentare, spesso coperto dalla musica dei diversi palchi.
Ma la vigilia della parziale approvazione della legge è stata attraversata anche un clima contraddittorio: c’era un’aria di festa, con tante ragazze in reggiseno – un po’ per affrontare il caldo, un po’ come gesto di libertà – tante birre ed anche canti che alludevano a Maradona, ma al tempo stesso si respirava anche una sorta di insofferenza, per il fatto di dover ripetere ancora una volta quello stesso passo che era già stato superato due anni fa grazie alla forza delle mobilitazioni e alla presenza femminista nelle aule parlamentari. Una insofferenza non tanto legata all’ennesima giornata in piazza per la stessa battaglia, ma piuttosto motivata dal dover stare a sentire ancora una volta quelle parole stanche e malate a cui poche e pochi sembravano ormai fare attenzione.
Quelle che sono tornate a ripetersi anche questa volta, ma ogni volta con un portato specifico legato ad ogni esperienza singolare, sono state le testimonianze di un aborto vissuto in prima o in seconda persona.
Fanny ha 68 anni, e la prima cosa che mi dice dopo avermi raccontato che milita “da sempre” nelle organizzazioni per i diritti umani e che da quando è molto giovane si sente femminista, è che ha abortito: «Ho abortito due volte: la prima quando mia figlia aveva un anno e mezzo, perché sentivo che non c’era spazio per altri figli in quel momento, e poi dopo aver avuto la seconda figlia sono rimasta di nuovo in gravidanza, e mi sono resa conto che non volevo una terza figlia».
Con gli occhi pieni di lacrime, sistemandosi la mascherina, racconta che in quel momento ha avuto le risorse necessarie per abortire in una clinica privata. Ricorda soprattutto il primo aborto: «Sono stata maltrattata all’interno del consultorio. Quando è finito l’effetto dell’anestesia mi sono messa a piangere e i medici mi hanno detto: “non venire qui a pinagere, dovevi pensarci prima, e ora sbrigati ad andare che tuo marito ha fretta”. E’ stato tutto così violento» ricorda, ma assicura che nonostante non si tratti di una scelta da prendere alla leggera, non si pente. «Questo è un diritto umano e ce lo devono garantire» racconta quando sono ormai le undici di sera e il dibattito al Congresso è iniziato da dodici ore.
«Stiamo mandando un messaggio ai deputati che stanno discutendo lì dentro, sul perché è importante saldare questo debito che i governi hanno con le donne e con i corpi gestanti» dice Vivivana, 46 anni, che porta del glitter verde attorno agli occhi.
Viviana critica la maternità forzata e aggiunge: «Credo che tutte le donne abbiamo nella nostra memoria i racconti di altre donne che hanno abortito. Mia madre ha abortito due volte e ha vissuto una situazione frustrante, ha dovuto occultarlo, ha provato vergogna e nonostante questo ha potuto decidere della propria vita e pianificare la propria famiglia. Conosco casi di amiche che hanno praticato l’aborto chirugico e altre che ho accompagnato da molto vicino che lo hanno fatto con il misoprostol. Tutte abbiamo vicino a noi esperienze e racconti più o meno vicini, questo è innegabile, per queste ragioni credo che questa realtà deve essere riconosciuta a livello di legge». Accanto a Viviana c’è sua figlia Ana di quattordici anni, che ha l’eyeliner verde, e mi dice «io appoggio totalmente» questa causa, che a scuola è un tema presente e per questo il suo collettivo di studenti stava partecipando alla manifestazione.
Norma Quiróz si trova nel lato verde della manifestazione, ma lo vive in modo contraddittorio, così come accade a molte altre.
Seduta su una sedia a sdraio ed attorniata dalla sue compagne con le quali è arrivata in piazza a mezzogiorno dalla Matanza, una delle località più popolari e popolate dell’area metropolitana di Buenos Aires, racconta così: «Personalmente non sostengo l’aborto e sono a favore della vita, ma comprendo anche che in casi di stupro bisogna far si che l’aborto sia legale perché sennò poi muoiono delle ragazzine e questo anche è terribile».
Racconta che ha cinque figli propri e due figli del cuore, con cui parla dei metodi contraccettivi, ma che l’episodio più difficile lo ha vissuto con una nipote di 11 anni che ha dovuto accompagnare durante una gravidanza non desiderata, e lascia intendere che la gravidanza fosse legata ad abusi sessuali da parte di un parente: «I medici non hanno potuto fare niente, ha portato avanti la gravidanza ma è morta durante il parto assieme al bebé, questo è stato molto triste e ci sono molte bambine che vengono abusate da familiari o addirittura dal proprio padre. Per questo deve esserci questa possibilità» dice mentre prende in mano una catenina con una croce che pende dalla sua collana, aggiungendo che crede in Dio. Intanto, le passa accanto una delle tante persone svenute in questa notte di veglia infinita con una media di trenta gradi di temperatura.
Monica cammina lentamente, con una mano si appoggia alla figlia trentunenne e con l’altra tiene un cartello verde piegato. E’ docente, ha 68 anni, è madre di tre figli e nonna di quattro nipoti: «Per tutti loro sto lottando, affinché possano decidere. Affinché abbiano accesso ad una buona educazione sessuale fatta da maestri onesti e non dalle imprese che vendono tamponi [cosa che spesso accade nelle scuole delle grandi città argentine] e che gli insegnano solo come mettere un tampone. Voglio che gli insegnino a scegliere, ma con ospedali aperti, un sistema sanitario di qualità e l’aborto legale».
Paula ha 33 anni e racconta di essere presente in piazza perché «l’aborto è una questione di diritti umani e di salute pubblica» e racconta che ha accompagnato «una amica che è come una sorella per me» che aveva abortito in condizione di clandestinità nella provincia di Mendoza.
Continua Paula: «ho vissuto molto da vicino le complicazioni di salute che ha avuto a causa dell’aborto realizzato in condizioni rischiose, e poi è rimasta totalmente da sola, il sistema sanitario e i medici l’hanno lasciata da sola. Non abbiamo potuto dire cosa aveva vissuto quando era in ospedale, per paura di esere perseguitate», ed aggiunge «è come se non succedesse, invece succede e ci sono donne e identità non binarie che abortiscono. E’ un tema che deve essere affrontato come questione di salute complessiva perché ha a che vedere con il desiderio».
Candela ha 15 anni, è seduta in cerchio con le sue amiche in mezzo ad una strada parallela al Congresso, stanno mangiando qualcosa ed è già mezzanotte inoltrata: «Sappiamo che l’aborto legale significa giustizia sociale, per questo stiamo sostenendo da qui fuori la proposta di legge, affinché sia chiaro che questa è la volontà popolare e che deve essere approvato dentro al Congresso», e racconta anche di sentirsi privilegiata a frequentare una scuola della provincia di Buenos Aires che dipende da una università pubblica nazionale, che le permette avere una «buona base di educazione sessuale» che però dovrebbe essere un «diritto per tutti e tutte e non un privilegio di pochi».
Alla fine il voto è arrivato pochi minuti dopo le sette di mattina di venerdì. Tra i deputati presenti al momento del voto, 131 hannovotato a favore della legge, 117 contro e 6 si sono astenuti.
Il Frente de Todos, la coalizione di governo e la forza di maggioranza in Parlamento, ha contribuito con 82 voti a favore, 32 contrari e 3 astensioni (ha un totale di 119 deputati, ma uno era assente), il PRO, la seconda forza parlamentare legata all’ex presidente Macri, ha contribuito con soli 11 voti favorevoli, mentre sono stati 40 quelli contrari e un solo astenuto (per un totale di 53 parlamentari) mentre i suoi alleati, la forza politica con cui ha governato fino al 2019, l’Unione Civica Radicale, si è divisa sul voto, esprimendo una maggioranza di voti favorevoli alla legge, 27, contro 18 voti contrari e un astenuto (sono in totale 46 i deputati di questa forza politica). Il resto dei voti si sono divisi tra forze minoritarie alleate di uno dei due poli, o spazi indipendenti come quelli della sinistra trotzkista.
Il prossimo 29 dicembre si aprirà un nuovo capitolo di questa serie iniziata decenni fa in Argentina, e speriamo che l’approvazione della legge sia per lo meno la fine di una stagione.
Con la certezza che la parola scritta sulla carta, quelle parole che a forza di ripeterle possono diventare stanche, potrà essere rivitalizzata e garantita solo attraverso nuove battaglie, che si terranno non solamente nelle piazze ma anche nelle cliniche, contro le obiezioni di coscienza, nelle scuole dove non si portano avanti i programmi di educazione sessuale, nella distribuzione delle attività di cura e riproduzione, nei luighi di lavoro e così via. Se lo slogan “ni una menos” rivendicava la difesa della vita contro la violenza patriarcale, la lotta per l’aborto legale rivendica la capacità delle donne non solo di disporre del nostro corpo ma anche dei propri modi di abitrare il desiderio. Questa lotta è appena finita, eppure comincia adesso.
Immagine di copertina e foto nell’articolo: La Vaca
Traduzione di Alioscia Castronovo per Dinamo Press.