ITALIA
La lotta per difendere le Alpi Apuane non si ferma
A dieci mesi dall’ultimo corteo per difendere la Alpi Apuane dall’estrattivismo il collettivo Athamanta mobilita nuovamente il territorio. Anche se la pandemia da Covid-19 ha impedito il corteo nazionale l’attenzione rimane alta. Un’intervista a “Nico” del collettivo Athamanta di Carrara
Il 24 ottobre era previsto a Carrara il corteo nazionale promosso dal collettivo Athamanta per difendere le Alpi Apuane dall’estrattivismo marmifero. Le restrizioni legate alla pandemia da Covid-19 non hanno reso possibile il normale svolgersi della manifestazione nazionale ma nonostante ciò l’attenzione per salvare dalla devastazione in cuore montano della toscana rimane molto alta. Per conoscere meglio il percorso che ha portato a questa attivazione territoriale DinamoPress ha intervista “Nico” del collettivo Athamanta di Carrara.
A quasi un anno dall’ultimo corteo contro la devastazione delle Apuane come prosegue la mobilitazione?
Senza dubbio il 4 gennaio scorso è stato un momento cruciale per dare una dimostrazione visibile e percepibile che effettivamente c’era una grandissima massa di persone che aveva a cuore la questione delle Apuane, pronta a battersi contro questo estrattivismo selvaggio che tutt+ conosciamo bene nel territorio ma che è sempre più conosciuto anche fuori. Quel momento è stato costruito dalle realtà ambientaliste classiche, come il CAI e alcune associazione locali, ma è stata anche un’occasione per noi come “Athamanta”. Quel corteo ci ha dato la prima possibilità di riconoscerci, di organizzarci e senza dubbio la mobilitazione non si è certo fermata in questi mesi. Anzi, i mesi dal 4 gennaio a oggi sono stati mesi d’intenso lavoro, sia di autoformazione sia di costruzione del gruppo, di tessitura d’una serie di contatti sia sul piano locale che sul piano nazionale e ora, forse, anche internazionale. È stata una mobilitazione che è andata crescendo costantemente, con alcuni picchi di accelerazione soprattutto durante quest’estate. Per fortuna siamo riuscit+ a sopravvivere a questo periodo di lockdown come percorso Athamanta, facendo un lavoro anche di ricerca rispetto al regolamento degli agri marmiferi che ci ha permesso di farci strada e andare avanti nonostante questo momento difficile. Adesso chiaramente la cosa sta diventando sempre più seguita ed evidente.
L’emergenza Covid vi ha costrett+ a rimodulare la mobilitazione del 24 ottobre ma com’è continuata la tessitura territoriale in questi ultimi dieci mesi?
L’emergenza Covid-19 ci ha un po’ costrett+ a rimodulare quella data, abbiamo comunque cercato di salvare capra e cavoli come si suol dire. Abbiamo provato a mantenere una presenza fisica sia in montagna che in città, cosa che per noi era molto importante perché una mobilitazione fisica per una città come Carrara è qualcosa del tutto inusuale. Ci mobiliteremo in forme decisamente ridotte rispetto alle adesioni che avevamo ricevuto e ai numeri che avremmo potuto portare in piazza se si fosse potuto organizzare il corteo nazionale in condizioni normali. È comunque importante riuscire a portare in piazza delle persone e riuscire a mostrare che esiste una costruzione di collettività che si sta formando grazie al collettivo Athamanta e in generale alla contrapposizione all’estrattivismo nelle zone Apuane. In questi ultimi dieci mesi la costruzione di questo percorso è stata intensa e non sempre facile, come sempre quando ci si confronta tra realtà tra loro molto differenti.
Le organizzazioni che compongono Athamanta, come ho detto, sono molto eterogenee e provengono da orizzonti diversi, come i movimenti sociali, le realtà dell’associazionismo o dell’ambientalismo classico. Ma si sono avvicinat+ anche tanti singoli che non avevano mai avuto esperienze di attivismo prima.
Chiaramente, in un contesto come questo, ci possono essere tutta una serie di differenze, che sono sì un valore in tanti momenti ma che possono essere anche essere difficili da gestire. Detto ciò quello che ha tenuto insieme tutto questo percorso sono state le basi teoriche di autoformazione che abbiamo costruito, durante la due giorni del febbraio scorso ma soprattutto in questi mesi. Il fatto di esserci appoggiati sulle elaborazioni teoriche dell’ecologia politica, il fatto di aver costruito molto del nostro discorso intorno al concetto di estrattivismo, che si applica in maniera così perfetta al contesto apuano, ci ha permesso di avere già una struttura teorico-analitica che offrisse anche gli strumenti per capire il perimetro del discorso che stavamo facendo. Allo stesso tempo l’autoformazione ci ha offerto la possibilità di avere un confronto con realtà che su quel tipo di analisi non erano particolarmente ferrate ma che condividevano la nostra sensibilità per questi temi.
Nel dibattito intorno alle cave il discorso ambientalista è spesso attaccato da chi sostiene di difendere “il lavoro”, la mobilitazione è riuscita a delineare delle possibili alternative socio-economiche che potrebbero superare lo sviluppo basato sull’estrazione di marmo e di carbonato di calcio?
Senz’altro il conflitto lavoro-salute-ambiente, o ambiente-salute-ambiente, è sicuramente uno di quelli centrali in tutte le lotte ambientali in Italia e nel mondo. È un po’ un baluardo che viene agitato contro chi fa opposizione, perché si dice che senza queste grandi opere devastanti non si potrebbe lavorare. In realtà il capitalismo estrattivo ci mostra che non solo i danni che vengono prodotti sono irreparabili, e quindi nessun tipo di occupazione li giustificherebbe, ma anche che quel sogno d’un ricchezza diffusa che il capitalismo aveva a lungo sventolato in realtà non esiste. Quindi questi territori oltre a essere devastati sono anche impoveriti: il calo occupazionale drastico, la disoccupazione galoppante e la povertà diffusa in questa provincia ne sono la dimostrazione più assoluta.
Rispetto a questo noi diciamo sempre che la vera contraddizione non è quella tra ambiente e lavoro ma quella tra capitale e vita e questo risponde anche un po’ alla domanda nei termini propositivi che ponevi.
È difficile immaginarsi delle alternative dentro questo tipo di sistema socio-economico. È difficile farlo anche come movimento sociale, che elabora una critica sistemica all’estrattivismo e quindi non si limita a vertenze sulla singola cava o sulla singola gestione. È complesso pensare a delle alternative all’interno di quegli stessi parametri che si pongono in termini in contrapposizione con la vita. Di conseguenza è chiaro che si possano immaginare economie altre per queste zone, fondate su tanti settori specifici. Abbiamo però sempre scelto di non presentarci noi come quelli che offrono una alternativa sul piatto. Intanto perché pensiamo che quello che abbiamo da offrire è uno spazio di elaborazione politica e di confronto per far sì che quella transizione inevitabile, perché il marmo finirà e il sistema cave finirà a un certo punto, avvenga in un contesto in cui c’è una elaborazione diffusa, dove ci sono degli spazi di partecipazione politica dal basso per costruire un domani alternativo. Non vogliamo proporre delle soluzioni a tavolino già pronte che sicuramente avrebbero un sacco di limiti.
In tutto il mondo si moltiplicano le mobilitazioni contro i grandi progetti estrattivisti con enormi impatti ambientali, come immaginate la lotta contro le cave nel contesto globale?
Sul rapporto tra locale e globale abbiamo ragionato molto ed è un cruccio che ci portiamo dietro fin dall’inizio. Spesso diciamo che dovremmo provare a superare un po’ questa dicotomia e assumere ogni lotta locale come una lotta globale perché è evidente che le cave sono una parte di questo modello estrattivista che devasta il pianeta. Vediamo questa lotta contro il sistema estrattivo a Carrara come parte di una lotta globale su questo specifico terreno. È evidente che il momento attuale ci impone di costruire questo tipo di ragionamento, di far sì che ogni lotta territoriale e ambientale sia anche globale, sia anche una battaglia per la giustizia climatica, ecologica e che tutte insieme formino un coro di voci che all’unisono attacchino un nemico ben definito che sappiamo essere il capitalismo estrattivo. Sappiamo che questo sistema socio-economico si pone in contrapposizione con il proseguimento della vita tutta. Quindi ogni lotta in questo senso deve essere tanto globale quanto locale.
Foto di Gianluca Briccolani