EUROPA

La lattuga ha vinto, Liz Truss si è dimessa

Dopo soli 44 avventurosi giorni si dimette la premier più breve della storia britannica, l’ultima di una lunga serie (ancora aperta) di fallimentari primi ministri conservatori. E mentre regnano pioggia e instabilità, l’opposizione sociale prova a coordinarsi in vista dell’autunno.

Piove, governo cade. Ieri alle 13.34 la prima ministra britannica Mary Elizabeth (detta Liz) Truss si è dimessa, dopo aver perso pezzi importanti nei giorni precedenti – il Ministro delle Finanze è stato licenziato dopo un’ondata speculativa sulla sterlina, la Ministra degli Interni si è dimessa l’altro ieri accusando l’ex premier di aver tradito gli impegni presi in campagna elettorale. È un record, in negativo, «la più breve nella storia inglese», commenta sconsolato al telefono un signore elegante che cammina incurante della pioggia a South Bank, sulle rive del Tamigi, nel centro di Londra. È durata meno del sequestro Moro, soli 44 giorni, successa a Boris Johnson che a sua volta era succeduto a Theresa May che a sua volta aveva preso il posto di David Cameron, la lista dei premier Tory inadatti sicuramente continuerà. In pole Rishi Sunak, sconfitto proprio da Truss nelle ultime primarie, che potrebbe essere proclamato già venerdì. Chissà per quanto. Sono proprio la breve durata e la mancanza di stabilità che sembrano sconvolgere di più i britannici, i quali com’è noto amano dare di loro un’idea di sicurezza, stabilità, serietà, sicuramente non pervenute in questo periodo. Circolava un tweet di Alan McGuinness, giornalista di Sky News, «Mio figlio ha già visto quattro cancellieri [i ministri dell’economia], tre segretari dell’interno, due primi ministri e due monarchi. Ed ha solo quattro mesi». Fa ridere ma anche riflettere.  Sono stati mesi intensi e assurdi, con la morte della regina più longeva della storia del Regno (sempre meno) Unito, una violentissima crisi economica (in serio e poco monitorato aggravamento), un susseguirsi inaspettato di governi. La politica inglese si sta italianizzando (la copertina dell’Economist titolava proprio ieri Britaly) – certo avessimo il loro cibo e clima, era la battuta che circolava. 

Il piazzale davanti Westminster

Piove, e questo non è inusuale, nonostante il cambiamento climatico che ha portato caldo e sole anche a queste latitudini. Più inusuale è questa situazione politica. Se il piazzale davanti Westminster, tradizionale sede di proteste e interviste a parlamentari, è stranamente poco affollato, davanti al 10 di Downing Street (la cui inquilina sloggiava ieri) staziona una nutrita folla di turisti, curiosi, feticisti della politica. Bisogna esserci quando si fa la storia, nota un signore che abita in Scozia, di passaggio a Londra. Qualcuno è qui da tempo, come quelli che protestano per le morti dovute ai vaccini del Covid, o contro il governo iraniano. Da venti giorni ci sono anche gli attivisti di Just Stop Oil, che stazionano proprio sotto la statua severa del generale Bernard Law Montgomery (quello del giaccone). Scambiamo due parole con Larch, per cui queste dimissioni sono «un primo passo. Noi di Just Stop Oil chiediamo di fermare nuove licenze per petrolio, gas e carbone. Truss voleva concederne più di cento. Senza Truss speriamo che ci possa essere una politica più ragionevole. Ma sperare non basta. Abbiamo una democrazia in fallimento, dobbiamo farci sentire, dire no a nuove licenze, chiedere case isolate termicamente, trasporto pubblico efficiente e investimenti in energia pulita».

Gli habitué di Downing Street notano come per le dimissioni di Boris Johnson c’era molta più gente, «hanno dovuto chiudere la strada». Adesso non c’è una folla enorme.  Boris per il quale si sta diffondendo una curiosa, inquietante nostalgia e che, secondo indiscrezioni sta per rientrare in campo, «in nome dell’interesse nazionale vista la situazione inedita di instabilità». Certo, per quanto BoJo abbia devastato il paese, basti pensare a Brexit e pandemia, almeno aveva ricevuto, purtroppo, un forte mandato popolare. Nel frattempo passa una turista danese che chiede cos’è successo, per poi dichiarare «non avrebbero dovuto uscire dall’Unione Europea». Circa la metà, forse qualcosa di più, dei cittadini di sua maestà Carlo III probabilmente la pensa come la confusa signora danese. Non succede molto, davanti al 10 di Downing Street, anche se ha smesso di piovere, e quando passa una macchina con i vetri oscurati qualcuno si agita, ma chiaramente non è la premier uscente. Qualcuno ha portato della lattuga, protagonista della storia più divertente di questi giorni: dopo che l’”Economist” aveva notato che Truss sarebbe durata più o come come la lattuga al supermercato, il tabloid “Daily Star” ha messo una parrucca bionda a una lattuga, comprata al supermercato per 60 centesimi di sterlina, e ne ha monitorato in un live stream lo stato di salute, scommettendo che sarebbe durata più di Liz Truss. Ha vinto la lattuga. Un tassista accosta proprio davanti all’edificio governativo  e fa scendere una cliente: «è una vergogna! Avremmo dovuto tenere Boris, we need stability». Shame, embarrassment sono i sentimenti comuni in questa situazione – verrebbe da notare come altre e ben più gravi siano le cose di cui si dovrebbero vergognare. Non mancano gli sparuti sostenitori. Spunta un ragazzo con un cartello «gettata come un agnello ai lupi. Vergognatevi. Non le avete neanche dato una possibilità!! Addio Liz». C’è una sensazione di tristezza, quasi rassegnazione, un po’ da fine impero. Le mezze stagioni stanno sparendo anche da queste parti e neppure gli inglesi sono quelli di una volta. 

L’”Evening Standard”, che viene distribuito gratuitamente nelle stazioni della metro di Londra, alle 15 è già buono per incartare il pesce – posto che si trovi una pescheria in città – con il suo titolo «Truss colpita da un’aperta rivolta in un nuovo giorno di turbolenza» (si fa riferimento alle proteste interne del partito). Mezz’ora dopo spunta la nuova edizione, «Truss si dimette da primo ministro dopo giorni di turbolenze», la foto è la stessa – sguardo vuoto, assente – il resto del giornale pure, cambia solo titolo e articolo principale. 

What’s next

Data l’instabilità politica interna, la crisi inflattiva e il contesto internazionale, a fare delle previsioni sull’evoluzione di questa crisi potremmo fare la fine dell’edizione dell’Evening Standard, con un articolo smentito dai fatti pochi giorni dopo. Partiamo dalla dinamica interna – anzi il disastro interno – che ha caratterizzato questa premiership lampo. La concitata “presidenza” di Liz Truss è stata infatti caratterizzata da un nervosismo crescente all’interno del suo stesso partito. Chi la sosteneva, sempre meno parlamentari, si alternava sui telegiornali a chi la attaccava apertamente (sembrava di vedere il Labour ai tempi di Corbyn, attaccato quotidianamente dai suoi stessi parlamentari). Che la premiership di Truss fosse al capolinea era praticamente chiaro da un paio di settimane almeno. I suoi critici interni al partito non hanno mai taciuto sul fatto che il suo mini-budget (manovra straordinaria diremmo qui in Italia) avrebbe fatto perdere dalla notte al giorno la credibilità e l’autorevolezza che i Tories avevano in materia di economia, almeno dal punto di vista dei mercati finanziari che hanno affossato il governo in meno di una settimana, con  la sterlina ai minimi storici sul dollaro che ha spinto la Banca Centrale ha iniettare 60 miliardi di sterline sui mercati per salvare i fondi pensione.

La politica economica di Truss si è rivelata troppo neoliberale persino per i mercati. E non poteva essere diversamente: i think tank che la sostenevano, ispiratori della sua politica economica, farebbero sembrare la Scuola di Chicago addirittura moderatamente socialista. Una schock economy all’inglese, spietata, che ad agosto arrivava ad affermare che se «i pensionati hanno freddo, brucino i libri». Truss sapeva a cosa andava incontro. O, meglio, aveva valutato (forse a questo punto potremmo dire sperato) che nonostante le resistenze interne e l’opinione pubblica avversa, la sua premiership sarebbe riuscita a navigare attraverso la tempesta. Certo, non aveva messo in conto l’operazione lampo dell’elite finanziaria, che le ha dato il colpo di grazia.

Just Stop Oil a Downing Street da 20 giorni

Alla luce di questo factionalism interno e dell’interventismo dei mercati, ora i Tories proveranno a eleggere un leader moderato che sia in grado di rassicurare i mercati perpetrando l’unica politica economica che il partito conservatore ha dimostrato di sapere mettere in pratica senza eguali: austerità, austerità e ancora austerità. Verosimilmente vedremo tagli alla spesa sociale, alla sanità, ai trasporti, ai sussidi di povertà e agli aiuti a fronte del caro-bollette. Misure che faranno sprofondare nella povertà un paese in cui un bambino su tre già vive nell’indigenza e in cui il 15% degli adulti salta un pasto al giorno per risparmiare in vista dell’inverno dove 53 milioni di britannici rischiano di soffrire di fuel poverty (condizione che si verifica quando una famiglia spende più del 10% del reddito per scaldarsi e il restante non è sufficiente per vivere in condizioni dignitose). Il tutto sarà condito da una stretta repressiva sulla manifestazione del dissenso – è pronto un pacchetto law and order con tanto di multe salatissime per le pratiche di piazza utilizzate da Extinction Rebellion e Just Stop Oil e mandati di arresto preventivi – e da leggi che limitano il diritto di sciopero.

Perché è bene sottolineare che l’opposizione ai Tories non la sta facendo il Labour, capace unicamente di promettere solidità di bilancio (aka austerity spolverata di rosso), di prendere le distanze dagli scioperi e diligentemente impegnato nel portare avanti una purga senza precedenti nei confronti della sinistra del partito (spesso con dossieraggi, espulsioni pretestuose, sabotaggi interni, stalking e accuse di antisemitismo, ben oltre la decenza e le regole democratiche di un partito come emerge chiaramente dai #LabourFiles rivelati da Al Jazeera). La vera opposizione ai Tories si sta articolando nelle piazze e negli scioperi. Ferrovieri, portuali, dipendenti della Tube (la metropolitana di Londra), avvocati, netturbini, professori nelle scuole, lavoratori delle poste: tutti in sciopero da mesi che nelle prossime settimane indiranno scioperi coordinati (nelle stesse giornate) cui potrebbero presto aggiungersi professori e professoresse universitari/e, ricercatori e ricercatrici precari/e, infermieri/e e presidi delle scuole, tutti in attesa dei risultati delle consultazioni – la legge anti-sindacale varata dai Tories nel 2016 prevede che per scioperare si debba superare il quorum del 50% nel referendum fra iscritti. 

La piccola folla di turisti, curiosi, giornalisti davanti al numero 10 Downing Street

La classe dirigente sindacale sembra aver capito il momento storico che sta attraversando il paese e attorno agli scioperi, sostenuti dall’opinione pubblica, sta provando a creare un movimento politico per la redistribuzione della ricchezza: aumenti salariali, tagli delle bollette nazionalizzando le compagnie energetiche, lotta contro fame ed emergenza abitativa e incremento della tassazione ai ricchi. Una piattaforma politica, “Enough is Enough” che non esita a rivendicare la riappropriazione della ricchezza socialmente prodotta: come piu’ volte ha esclamato Mike Lynch, segretario generale della RMT Union (sindacato dei portuali, ferrovieri e autisti di autobus) «The working class is back. We refuse to be meek. We refuse to be humble, We refuse to be poor anymore». 

Insieme a campagne contro il cambiamento climatico (Just Stop Oil e Extinction Rebellion) e contro il carovita (Don’t Pay), questi movimenti sono l’unica vera opposizione ai Tories. L’unica variabile che i Tories, nonostante promesse escalation repressive, non sono in grado di controllare. 

Immagine di copertina e dentro l’articolo di Luca Peretti, Londra 20 ottobre 2022.