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MONDO
La guerra in Ucraina non è poi così lontana dall’Africa
La guerra in Ucraina, geograficamente, può sembrare lontana, ma per molti aspetti è geopoliticamente vicina all’Africa. Un approfondimento sulle conseguenze di questa guerra rispetto alle tensioni sociali, politiche ed economiche del continente africano
La guerra in Ucraina, geograficamente, può sembrare lontana, ma per molti aspetti è geopoliticamente vicina all’Africa. Gli effetti più evidenti e tangibili della guerra sono stati percepiti dalle migliaia di studenti africani che avevano scelto l’Ucraina per i propri studi; infatti l’Ucraina è una meta popolare tra gli studenti africani; è stato stimato che oltre 15.000 studenti provenienti da vari Paesi africani studiavano in città ucraine al momento dell’invasione di Putin. La popolarità delle università ucraine tra questi studenti può essere ricondotta al retaggio sovietico in Africa. Durante la Guerra Fredda, decine di migliaia di militari e politici africani, nonché tecnici e ingegneri civili, hanno studiato nelle università sovietiche. All’epoca, l’Unione Sovietica e i suoi alleati erano stati attivi sostenitori dei movimenti di liberazione nazionale africani che lottavano contro l’imperialismo europeo, americano e gli eserciti coloniali.
Vale la pena citare alcuni nomi di spicco, la cui carriera politica ha avuto origine da una formazione di natura sovietica: L’ex presidente dell’Angola José Eduardo Dos Santos; l’ex presidente del Mozambico e leader militare del Fronte marxista per la liberazione del Mozambico (FRELIMO), Armando Guebuza; o il quarto presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, che ha trascorso tre mesi di addestramento militare sovietico e ha mantenuto legami molto stretti con la Russia post-sovietica fino alle sue dimissioni nel 2018 (non molto tempo prima della sua caduta, Zuma ha firmato un protocollo d’intesa con la russa Rosatom per la costruzione di un nuovo impianto nucleare, progetto poi sospeso).
Al di là del retaggio storico, le università ucraine erano considerate relativamente accessibili per gli studenti e le loro infrastrutture avanzate – anch’esse retaggio del passato sovietico – erano appetibili non solo per i giovani africani ma anche per molti altri del Sud globale.
Gli eventi spiacevoli a cui abbiamo assistito nei telegiornali riguardavano le lotte delle persone in fuga dall’Ucraina, tra cui africani e altri non ucraini che hanno dovuto affrontare discriminazioni razziste al confine con l’Ucraina e nelle stazioni ferroviarie di Kiev e di altre città. Le autorità ucraine hanno cercato di affrontare questo problema imbarazzante con un certo successo, mentre i governi africani, in particolare quelli di Ghana e Nigeria, hanno condannato il trattamento razzista riservato ai loro cittadini. Hanno anche offerto aiuto per riportarli nei loro Paesi d’origine, soprattutto perché molti erano fuggiti nei Paesi vicini prima di poter tornare a casa.
Un altro importante effetto della guerra che gli africani hanno immediatamente avvertito è l’aumento dell’inflazione mondiale. Anche se alcuni Paesi africani possono beneficiare di un momentaneo boom delle materie prime, soprattutto i Paesi produttori di petrolio come la Nigeria e l’Algeria, gli effetti generalizzati delle interruzioni della catena di approvvigionamento alimentare globale e dei conseguenti aumenti dei prezzi sono certamente poco graditi alla maggior parte di essi. Gli africani vivono principalmente in società agricole, ma la maggior parte dei consumatori dipende dalle importazioni di cibo, in particolare di grano, ma anche di alimenti lavorati, fertilizzanti e altri prodotti agricoli.
Sia la Russia che l’Ucraina sono tra i maggiori esportatori di grano al mondo e la guerra sta causando danni devastanti al sistema di approvvigionamento. Molti Paesi africani sono particolarmente esposti da questo punto di vista; l’Egitto, ad esempio, è il più grande importatore di grano al mondo e l’85% delle sue forniture proviene dalla Russia e dall’Ucraina.
Gravi interruzioni in queste catene di approvvigionamento possono portare a violente ripercussioni politiche; basti ricordare come la Primavera araba in Nord Africa sia iniziata nel 2011 in risposta ai prezzi incontrollabili di cibo e carburante. Di fatto, dopo l’invasione, le autorità egiziane hanno già dovuto bloccare i prezzi del pane per evitare l’escalation di tensioni sociali. Anche in Paesi come la Nigeria, l’inflazione del sistema dei prezzi interni – dal carburante ai generi alimentari ai servizi – potrebbe portare gravi conseguenze sociali e politiche a lungo termine. La Nigeria potrebbe trovarsi di fronte a un bivio geopolitico ancora più grande durante lo sviluppo della guerra, poiché l’impennata dei prezzi del petrolio e del gas potrebbe facilmente ribaltare il panorama internazionale, garantendo una maggiore visibilità ai grandi produttori di petrolio.
Come molti opinionisti hanno sottolineato fin dallo scoppio della guerra, l’invasione russa ha messo fine all’ordine internazionale così come lo conoscevamo. La guerra stessa, tuttavia, è stata innescata dalla lunga evoluzione del sistema internazionale del secondo dopoguerra.
La Russia non è l’unica a voler cambiare l’equilibrio delle forze internazionali, anche se a spese di altre nazioni; ecco perché qualsiasi cooperazione tra Russia e Cina – militare o economica – appare così minacciosa per l’Occidente. Quello in cui ci troviamo è un periodo di nuovo imperialismo, con rapporti di forza in evoluzione sia a livello internazionale sia in contesti locali, alimentati da una feroce competizione per l’estrazione delle risorse e dalla ridefinizione delle sfere geopolitiche. Questo nuovo imperialismo è associato a un gioco a somma negativa in cui nessuno vince alla fine, così come nel caso della guerra in Ucraina.
Nel caso dell’Africa, questo nuovo imperialismo viene spesso denominato “new scramble” un riferimento al periodo classico dell’imperialismo alla fine del XIX secolo che ha portato alla spartizione del continente da parte delle potenze coloniali europee. Ora, nuove potenze come i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e attori minori come la Turchia e l’Arabia Saudita stanno entrando in gioco per appropriarsi delle risorse. Ma se i regimi corporativo-militari europei e americani sono stati messi seriamente in discussione in molti Paesi, essi sono comunque rimasti per lo più al loro posto.
Come nel tardo XIX secolo, la ripartizione non avviene solo con le mappe sui tavoli da conferenza, ma soprattutto sui campi di battaglia, dove le strutture di potere vengono sfidate e ridefinite direttamente dagli apparati militari e finanziari. L’Ucraina non è l’unico campo di battaglia in cui le grandi potenze stanno mettendo alla prova le loro capacità. In Siria, Afghanistan e Iraq c’è stato un vero e proprio spargimento di sangue. In quasi tutti i casi, la Russia ha svolto un ruolo attivo di forza motrice a causa del suo desiderio di cambiare il sistema internazionale.
La Russia non è entrata di recente nell’ottica di questa nuova spartizione, ma ha rinnovato il suo interesse in tempi relativamente recenti, con l’arrivo di Vladimir Putin all’inizio degli anni Duemila. Questa prima riproposizione è stata piuttosto simbolica e ha tentato di utilizzare l’eredità del passato sovietico.
Le relazioni diplomatiche tra Russia e Occidente si sono inasprite con i primi attacchi all’Ucraina nel 2014: l’annessione della Crimea e il sostegno militare russo ai ribelli dell’Ucraina orientale. La Russia ha dovuto affrontare una prima serie di sanzioni occidentali, il rublo ha subito una brusca caduta, i prezzi del petrolio sono saliti alle stelle ed è stata minacciata di isolamento diplomatico. I partner della Russia al di fuori della sfera transatlantica hanno acquisito maggiore attenzione e rilievo nei suoi sforzi geopolitici, non solo per controbilanciare il suo isolamento ma anche per radunare alleati per una riconfigurazione del sistema internazionale. Da allora, la Russia e la Cina hanno lavorato più a stretto contatto e la diplomazia russa, seguendo l’attività della Cina in Africa, si è orientata verso l’Africa con proposte di assistenza più energiche, concepite in pacchetti di investimento in stile russo che erano e sono tuttora vendibili tra i Paesi del Sud globale.
Un risultato notevole di questo sforzo commerciale e diplomatico è il vertice Russia-Africa, convocato da Vladimir Putin e co-presieduto dal presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi nella pittoresca località del Mar Nero di Sochi alla fine di ottobre 2019. Sebbene a Sochi non sia stato annunciato alcun progetto concreto, c’è stato comunque un successo diplomatico, poiché all’evento hanno partecipato 43 capi di Stato e rappresentanti dei governi dei 54 Paesi africani. Con questa e altre iniziative, la Russia ha accuratamente evitato qualsiasi interferenza con la Cina, ma sfida volutamente l’attività occidentale in Africa e in Medio Oriente, come nei conflitti siriano e libico.
Possiamo distinguere due elementi importanti che simboleggiano le aspirazioni della Russia a livello globale in Africa. Uno riguarda lo sforzo militare intrapreso dalla Russia per cercare una sorta di riconfigurazione del potere al fine di imporre le proprie alleanze politiche. Questo accade quando c’è un fragile equilibrio locale di forze che è stato spezzato dal malcontento popolare o da colpi di stato militari. Ciò riguarda gran parte dell’Africa occidentale e centrale francofona, dove l’influenza militare ed economica della Francia è in declino da molto tempo. (Il ritiro delle truppe francesi dalla regione del Sahel o la ricerca dell’indipendenza monetaria dalla Francia da parte dei Paesi dell’Africa occidentale ne sono un esempio).
I paracadutisti russi e i mercenari privati sostenuti dal Cremlino – come il Gruppo Wagner, guidato da un alleato di Putin di San Pietroburgo soprannominato il suo “chef” – hanno già condotto vaste operazioni militari in Mali dopo il colpo di Stato, nonché nelle guerre civili di Libia e Repubblica Centrafricana.
In quest’ultimo caso, qualche anno fa la Russia ha persino ottenuto dall’ONU un’esenzione per vendere equipaggiamento militare nonostante l’embargo. Un effetto domino non è del tutto improbabile nella più vasta regione del Sahel, che comprende Ciad, Niger e Mauritania. Ma anche la Nigeria o il Burkina Faso potrebbero potenzialmente rafforzare i legami con la Russia per contrastare le insurrezioni locali e scambiare concessioni economiche. Le compagnie russe desiderano ottenere concessioni minerarie, incrementare la vendita di armi e finanziare progetti infrastrutturali, in poche parole, vogliono accaparrarsi l’accesso alle risorse locali. Ci si può aspettare che questi sforzi si intensifichino non solo nelle aree menzionate, ma anche altrove in Africa, soprattutto se le sanzioni occidentali costringeranno il Cremlino a cercare risorse e sbocchi alternativi per il proprio commercio. Mentre i vecchi sistemi neocoloniali si stanno sgretolando con la disgregazione del sistema internazionale, i Paesi africani sono alla ricerca di capitali e importazioni tecnologiche meno dipendenti da questi vecchi legami istituzionali.
Un altro elemento importante relativo a questi accordi non è esclusivamente legato agli affari: lo sforzo complessivo della Russia di ridurre gli effetti dell’isolamento diplomatico all’interno della comunità internazionale, in particolare nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La Russia ne ha bisogno per le sue attività militari concrete, che sembrano essere finalizzate al ripristino dell’influenza russa nell’universo post-sovietico. Per questo motivo, è interessante notare che la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che denuncia l’aggressione russa in Ucraina, non è stata firmata da 25 Paesi africani (tra 47 assenti e quelli che non hanno partecipato al voto). La popolarità della candidatura russa rivela il fallimento dei sistemi internazionali e regionali progettati dopo la Seconda guerra mondiale per gestire efficacemente la diplomazia internazionale. Nonostante il totale isolamento in Occidente, la Russia è stata in grado di mobilitare con successo gli alleati in Africa, il che riflette il fatto che la Russia ha guadagnato un po’ di spazio nella spartizione. D’altra parte, i tre membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, Gambia, Ghana e Kenya, hanno espresso dure critiche alle azioni della Russia, scegliendo invece di unirsi alla vecchia alleanza transatlantica. La Russia è quindi ben lontana dal diventare una forza unificatrice in Africa, anzi spera di sfruttare queste divisioni a proprio vantaggio.
Un altro importante scopo geopolitico dei pacchetti di investimento concepiti dalla Russia – tra cui la riduzione del debito, i progetti infrastrutturali finanziati dal credito russo, la vendita di armi e gli investimenti tecnologici nei settori dell’energia nucleare, militare e delle telecomunicazioni – è legato alla sua posizione nell’economia globale.
È interessante notare che, a causa delle dure sanzioni finanziarie cui è sottoposta, la Russia potrebbe dover ridurre temporaneamente i suoi investimenti di capitale, peraltro relativamente modesti, in Africa (stimati in circa 20 miliardi di dollari). Ma nelle sue aree di esportazione tradizionali, come le industrie estrattive, l’attività russa potrebbe aumentare. In quanto esportatore di materie prime, l’economia russa non è complementare alle strutture economiche degli esportatori di petrolio in Africa, bensì parallela ad esse. Potrebbe sembrare che le economie di Russia e Africa siano in competizione sul mercato mondiale, ma non è così. La Russia ha cercato a lungo di ottenere il monopolio delle forniture energetiche europee. Se ottenesse il monopolio, sarebbe molto più difficile imporre sanzioni alla Russia e isolarla per ciò che fa nella sua sfera di influenza.
I tentativi russi di monopolizzare l’approvvigionamento energetico europeo hanno avuto come obiettivo le principali fonti energetiche alternative che, nel caso dell’UE, si trovano nell’Africa settentrionale e occidentale. Come già detto, queste regioni sono già state trasformate in una sorta di campo di battaglia in cui le forze russe interferiscono direttamente con la politica locale, come hanno fatto in Libia dopo la caduta di Gheddafi, oppure cercano attivamente di favorire le concessioni con i colossi energetici nazionali di proprietà statale in Algeria, Egitto e Nigeria. L’obiettivo principale non è solo l’industria estrattiva, ma anche le infrastrutture di trasporto, che hanno sempre bisogno di nuovi investimenti. Le aziende russe hanno ottenuto concessioni in Egitto e Algeria e hanno intrattenuto rapporti molto amichevoli con Gheddafi prima della sua caduta. Per la Nigeria il discorso è più complesso a causa delle aspirazioni in Africa occidentale, ma c’è comunque una lunga storia di sforzi sovietici e russi per rafforzare i legami con i governi nigeriani che si sono succeduti.
Un interessante momento storico di questi tentativi è avvenuto al culmine della Guerra Fredda, dopo che la spaccatura sino-sovietica alla fine degli anni Sessanta ha introdotto una dinamica tra le potenze coloniali occidentali, l’Unione Sovietica e la Cina, diversa da quella che vediamo oggi. In risposta alla guerra civile nigeriana che si stava svolgendo in quel periodo, l’Unione Sovietica si schierò con gli Stati Uniti e il Regno Unito a sostegno del regime nigeriano, mentre la Cina e la Francia appoggiarono i combattenti nazionalisti Igbo del Biafra. La Francia, temendo di perdere potere nel suo territorio coloniale, mirava a contrastare la crescente influenza nigeriana e britannico-americana nell’Africa occidentale francofona. Nel frattempo, la Cina cercava di sostituirsi all’Unione Sovietica nel ruolo di grande alleato delle lotte antimperialiste nel Sud globale. L’ascesa della Cina verso l’egemonia era appena iniziata in quel periodo, determinando un confronto con l’Unione Sovietica. Con il crollo dell’Unione Sovietica e il crescente ruolo della Cina nel sistema internazionale, il confronto si è trasformato in una fragile e complicata cooperazione in cui la Russia ha un ruolo più subordinato. La guerra in Ucraina ne è in parte il risultato, dimostrando quanto la Russia sia diventata dipendente dal sostegno della Cina.
La situazione odierna in Nigeria è un riflesso di queste dinamiche di guerra civile. Gli sforzi recenti della Russia hanno riguardato i piani per l’oleodotto trans-sahariano, che mira a collegare le infrastrutture petrolifere in Algeria e Nigeria, creando un importante canale di approvvigionamento per l’Europa.
È probabile che questo oleodotto acquisti importanza nella contesa, creando una nuova area di possibile contrasto tra le grandi potenze, dal momento che sia l’UE che la Cina cercheranno di ottenere una partecipazione in questo progetto cruciale. Come nel caso dell’oleodotto, la russa Rosatom ha cercato di vendere pacchetti nucleari sia alla Nigeria che all’Egitto con scarso successo. Se questi Paesi investiranno maggiormente nelle loro capacità industriali, la Russia dovrà sicuramente affrontare la presenza sempre più evidente della Cina come principale investitore nelle infrastrutture della regione. Come si può notare, queste lotte non sono una novità. Ma con il declino del sistema internazionale e il disperato tentativo della Russia di compensare l’isolamento causato dalla guerra, unito al suo obiettivo di estendere il controllo sulle forniture energetiche europee, questa nuova spartizione potrebbe facilmente trasformare l’Africa nel prossimo palcoscenico delle lotte imperialistiche.
Articolo pubblicato originariamente il 22 marzo 2022 su Africasacountry. Traduzione in italiano di Claudia Basagni per Dinamopress
Immagine di copertina di GCIS via Flickr CC BY-ND 2.0. The first Russia-Africa Summit held in Sochi, Russia 2019