EUROPA
La Grecia in lotta contro i Cie
Conclusa la diciottesima edizione del Festival Anti-Razzista di Atene, abbiamo intervistato Yorgos Maniatis, attivista del movimento contro i centri di detenzione e ricercatore sociale. Yorgos fa parte del “Network for Social Support to Refugees and Migrants” (Diktio) e della “Open Initiative against Detention Centres”.
Abbiamo chiesto a Yorgos di tratteggiare una panoramica della detenzione amministrativa dei migranti in Grecia, di raccontarci i principali episodi di rivolte all’interno e, infine, di spiegarci come funziona la “Open Initiative against Detention Centres”.
Il primo elemento evidenziato é la profonda eccezionalitá della situazione greca: “sebbene la detenzione amministrativa esista in tutti i paesi europei, quello che accade in Grecia é fuori da ogni termine di paragone sia per il numero di migranti reclusi, che per le terribili condizioni di detenzione”.
Yorgos racconta come il rapido imbarbarimento della politica dell’immigrazione sia strettamente legato alla crisi e alle misure di austeritá imposte in questi anni. “Il 2012 costituisce un anno di svolta in questo senso”. Infatti, a ridosso delle elezioni politiche (tenutesi prima a maggio e poi a giugno, data l’impossibilitá di formare una maggioranza) si registra un generale spostamento del dibattito pubblico verso discorsi razzisti e un’agenda politica fortemente securitaria. Fatta eccezione per i partiti della sinistra radicale, tutti gli altri (Pasok, Nea Demokratia, Greci Indipendenti e, ovviamente, Alba Dorata) sono coinvolti in questa dinamica. Peggio, sia il Pasok che Nea Demokratia, i partiti che si avvicendano al governo, “inseguono l’agenda e le retoriche razziste imposte dal partito nazista”, con l’obiettivo di ottenere voti a destra e delegittimare SYRIZA attraverso retoriche populiste e nazionaliste.
Ad aprile 2012 nasce il primo CIE vero e proprio sul territorio greco: il lager di Amygdaleza. Sebbene esistessero giá dei centri di detenzione lungo la frontiera con la Turchia e centinaia di migranti fossero giá imprigionati in container, caserme, luoghi improvvisati, questa struttura detentiva e le altre quattro che seguono in rapida successione fanno impennare la capacitá complessiva del sistema. Secondo dati sostenuti da Medici Senza Frontiere, nei CIE greci sono attualmente imprigionati tra 6 e 7 mila migranti (molti di loro richiedenti asilo che in altri paesi europei otterrebbero quasi automaticamente lo status di rifugiati perché provenienti da Afghanistan, Eritrea, Sudan, etc.). É impossibile, invece, avere numeri reali rispetto alla quantitá di migranti detenuti nelle caserme. Una stima realizzata da SYRIZA parla di circa mille migranti attualmente imprigionati in questi luoghi. “Si tratta dei piú sfortunati, perché costretti a subire le condizioni di detenzione peggiori: stanze incredibilmente sovraffollate, assenza completa di assistenza medica, impossibilitá perfino di vedere la luce del sole”. A causa della pratica diffusa di detenere i migranti nelle caserme, la Grecia é stata condannata circa 15 volte dai tribunali europei per il reato di tortura. Ma niente é cambiato.
Sempre a ridosso delle elezioni 2012 altri due importanti elementi determinano l’irrigidimento della politica dell’immigrazione greca: l’operazione “Xenios Deus” e il prolungamento dei tempi di detenzione.
Xenios Deus é una mega operazione di rastrellamento dei migranti che ha investito le principali cittá greche poco dopo le elezioni di giugno. Alcune stime parlano di oltre 200 mila migranti fermati complessivamente. Nel solo mese di agosto 7 mila stranieri sono stati controllati dalla polizia e ben 3 mila sono finiti in detenzione. “Questo maxi-rastrellamento é stato ripreso, trasmesso, rimbalzato, ripetuto dai principali mezzi di comunicazione: la spettacolarizzazione della lotta all’immigrazione clandestina é ovunque parte integrante del gioco”.
Dopo Xenios Deus, inoltre, il periodo massimo di detenzione é stato prolungato: prima da 6 a 12 mesi, poi fino a 18 (il limite previsto dalle direttive europee). Recentemente, un parere consultivo del Consiglio di Stato ha invitato il governo a estendere ulteriormente il limite massimo oltre i 18 mesi nei casi in cui non sia possibile deportare i migranti o questi non collaborino a tal fine. Questo parere, a parte di essere in contrasto con la legge greca e quella europea, rende manifesta la vera funzione governamentale svolta dalla detenzione amministrativa: mentre ufficialmente viene giustificata al fine di identificare ed espellere, in realtá serve a punire e reprimere, svolgendo una funzione di deterrenza dei flussi migratori attraverso la vendetta e la rappresaglia dello Stato nei confronti di migranti e richiedenti asilo e una funzione di rassicurazione della popolazione residente, mostrando che il governo sta lavorando per “difendere la societá”. Nelle scorse settimane un recluso ha vinto una causa contro la detenzione a tempo indefinito. “Al momento, peró, sono ancora centinaia i migranti imprigionati da oltre un anno e mezzo che non vengono liberati, nonostante le leggi, nonostante questa sentenza”. Nel CIE di Corinto pare che circa il 20% dei reclusi sia in detenzione da piú di 20 mesi.
Come é accaduto anche in Italia, ogni volta che il periodo massimo di permanenza all’interno dei lager é stato aumentato sono scoppiati scioperi e rivolte. In particolare, ad agosto 2013 nel CIE di Amygdaleza i migranti si sono ribellati, distruggendo parte della struttura e appiccando diversi incendi. “La repressione della polizia é stata violentissima, con l’ingresso in massa dei reparti speciali e l’arresto di circa il 10% dei rivoltosi con accuse pesantissime”. Fonti informali, raccontano di come, dopo quell’espisodio, le forze dell’ordine sfilino quotidianamente nel lager di Amygdaleza “per mostrare la loro presenza e incutere paura ai reclusi”.
Le rivolte, gli scioperi della fame, le evasioni hanno riguardato molte strutture detentive. Per superare l’incapacitá del movimento di rispondere prontamente a questi fenomeni e per stabilire un piano di intervento politico continuativo, diverse organizzazioni hanno deciso di coordinarsi nella “Open Initiative against Detention Centres”, un network nazionale di assemblee locali contro i CIE. “Il network é composto da gruppi appartenenti al mondo della sinistra, anti-autoritario e anarchico, e vede anche la partecipazione a titolo personale di membri di ONG, avvocati, figure di natura istituzionale”. In ogni cittá la composizione delle assemblee locali é di natura diversa: piú legata all’estrema sinistra o al mondo libertario, a carattere principalmente umanitario o piú decisamente politico. L’attivitá della “Open Initiative” riguarda piú livelli di intervento: dall’organizzazione di mobilitazioni, al supporto delle proteste interne; dalla condivisione di informazioni, al tentativo di monitoraggio dei CIE (particolarmente difficile perché l’ingresso viene permesso solo all’UNHCR o ai parlamentari); fino al lavoro legale di denuncia e anche di sostegno dei singoli casi.
Yorgos sottolinea come “negli anni della crisi la questione della detenzione abbia subito un doppio processo di politicizzazione”: dall’alto, da parte del governo, al fine di deviare l’attenzione pubblica e il dibattito politico dai problemi economici e sociali a quelli relativi alla sicurezza e all’identitá, attraverso retoriche razziste e nazionaliste; dal basso, da parte dei movimenti e di alcuni settori della societá, perché é diventato evidente come la detenzione amministrativa dei migranti rappresenti la “piú alta espressione della generale trasformazione che la societá e le istituzioni greche stanno affrontando”. Molti gruppi politici, infatti, hanno riconosciuto l’importanza della lotta contro i CIE proprio a partire dal “carattere paradigmatico che la detenzione amministrativa e la distruzione dei diritti politici e sociali rivestono nella definizione di un nuovo modello di societá, quello neoliberale, in cui tutti coloro che si trovano al di fuori della norma o in uno stato giuridico incerto devono essere colpiti duramente”. Esempi di questo processo sono le mega-operazioni di rastrellamento che, dopo Xenios Deus, hanno riguardato le prostitute o i tossici (operazione Tethis). O ancora, la generale criminalizzazione e la violenta repressione di tutte le forme di opposizione sociale – dagli anarchici, agli anti-autoritari, alla sinistra radicale – attraverso la teoria degli opposti estremismi, l’uso di una violenza fuori controllo da parte della polizia, gli sgomberi e gli attacchi contro numerose occupazioni, il sostegno e la temporanea copertura dei crimini di Alba Dorata, fino alla recentissima approvazione di una legge per la costruzione di carceri speciali per i detenuti politici.
In questo contesto, sebbene un governo di sinistra radicale, cioé di SYRIZA, sia una necessitá riconosciuta da tutte le componenti del movimento, sarebbe illusorio e velleitario consegnare tutte le esigenze di trasformazione sociale a un partito politico, qualsiasi esso sia. SYRIZA é una formazione politica in cui convivono diverse anime, che ha un crescente bisogno di mostrarsi affidabile di fronte ad attori istituzionali e sociali diversi e che ha di fronte prospettive politiche di natura molto differente. Di certo, é difficile credere che SYRIZA possa giocare un ruolo risolutivo a livello nazionale e soprattutto europeo per la chiusura definitiva di tutti i CIE in assenza di movimenti di massa capaci di radicalizzare le posizioni del partito, spostare i rapporti di forza interni a favore delle sue componenti piú radicali ed affrontare la lotta contro i lager per migranti nello spazio europeo.
Lo slogan “Mai piú CIE” potrá concretizzarsi solo a partire dai conflitti e dai movimenti europei.